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Cibo

Lo strano caso delle etichette italiane sull'origine che saranno vietate dall'Europa

Una nuova legge europea potrebbe vanificare il lavoro fatto sull'origine del cibo in etichetta e dovremmo preoccuparcene.
Andrea Strafile
Rome, IT
Foto di Pizza Bike via Flickr

Qualche giorno fa ho letto un titolo interessante e mi è quindi sembrato giusto proseguire.
Bene, alla sesta prova, quella in cui ero ormai sicuro che l’autore avesse scritto una cosa e il suo esatto contrario, entrambe ben motivate da una retorica giornalistica del cazzo, ho allora deciso di approfondire più del necessario.

In realtà non si capiva assolutamente nulla per due motivi: numero uno, i quote di avvocati all'Azzeccagarbugli credo siano riportati con il solo scopo di far passare un tornado tra le tue sinapsi lasciandoti intontito per diversi minuti. Numero due, a noi italiani non frega un granché delle nuove norme europee che riguardano il cibo, né tantomeno quelle nostrane.
Leggiamo tipo che non ci faranno più lavorare la mozzarella di bufala e diciamo: “ah, beh, sì, ma che vuoi che sia. Chissà quando. Ma figurati se.”

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Non ce ne curiamo finché non accade. A quel punto ci rivoltiamo per un giorno o due e tutto torna come prima (vedi alla voce adesso di quelle buste bio non parla più nessuno).

La cosa però, a ben vedere, era più interessante e meritava qualche riga.
Se dovessi dare un titoletto, sarebbe: L’etichetta sull’origine dei prodotti è a rischio.

Ora, passo indietro. Piano piano.

I ministri Martina e Calenda si sono spesi per una legge, entrata in vigore ad aprile scorso, che rendesse chiare le etichette di latte e derivati sulle loro origini. Molto presto la stessa cosa sarebbe toccata a riso e pasta. E così via. Ora, dopo mesi di consultazioni, la Commissione Europea potrebbe spazzare questo piccolo grande passo verso il consumatore con una legge simile ma perversamente malvagia.

Ci siete? Ok.

In pratica con questa nuova ipotetica legge europea si dovrà indicare il luogo d’origine della materia prima qualora non coincida con il luogo di lavorazione. Quindi: pasta fatta a Bari, grano vietnamita? Ci sarà scritto, anche se non vi interessa.
Ma. Potranno non indicare l’origine quei marchi registrati riconducibili a un determinato paese. Se un’azienda tedesca ha da sempre venduto prodotti vagamente italiani e sulla confezione riporta la bandiera tricolore, la stessa azienda potrà non indicare l’origine della materia. Basterà scrivere piccolo piccolo “Not Made in Italy” e mettere una gigantesca bandiera italiana.
Stesso discorso vale naturalmente per i prodotti DOP e IGP: nessuna indicazione se la roba viene da quelle aree.

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Voi direte: e dove sta la fregatura?

Beh, la fregatura sta nel fatto che le grandi industrie, italiane e non, potranno sfruttare il marchio Made in Italy confondendo terribilmente il consumatore. Il cosiddetto Italian Sounding si accentuerà, si farà più forte perché, provate a immaginare se scrivessero su un formaggio qualsiasi in terra straniera “Parmesan” seguito da un qualche simbolo italiano tipo un bel mandolino. Se la gente lo gira e non c’è scritto nulla della provenienza, automaticamente penserà di portarsi a casa un autentico prodotto del Belpaese.

Al di là del fatto che a causa della giusta legge varata dal nostro governo, gli stabilimenti che avevano appena investito nei macchinari per le nuove etichette dovranno buttare tutto e ricomprare da capo, se ci fosse anche solo una minima possibilità di andare a Bruxelles a protestare, dovremmo farlo.

“L’unica probabile nota positiva di Bruxelles è di essere a soli tre ore da Parigi”.

Grazie Bill Bryson, sai sempre esattamente cosa dire.