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Cannabis

Cos'è cambiato in Canada dopo la legalizzazione secondo 5 italiani che ci vivono

Il 17 ottobre il Canada ha legalizzato la cannabis per uso ricreativo Abbiamo chiesto un parere ad alcuni italiani che ci vivono nel Paese.
legalizzazione della cannabis in canada
Foto di Cannabis Culture via Flickr (CC BY 2.0): marcia del 2012 e del 2013 a Vancouver.

Il Canada, secondo paese al mondo dopo l’Uruguay ad aver scelto di legalizzare la cannabis anche per uso ricreativo, sarà un banco di prova: se tutto andrà come previsto—riduzione del mercato nero, aumento di entrate pubbliche grazie alla tassazione, restrizioni per i minori, meno arresti e meno processi—altri governi potrebbero scegliere di seguire l’esempio.

Il modello scelto dal Canada è improntato sull’esempio del Colorado, con una sostanziale differenza: mentre in Colorado il consumo è vietato in tutti i luoghi pubblici, in Canada è consentito ovunque sia possibile fumare una normale sigaretta (va precisato però che il Canada in materia ha restrizioni maggiori rispetto alle nostre).

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A poche settimane dalla legge C-45 (Cannabis Act), la maggioranza dell’opinione pubblica resta favorevole, ma i nodi irrisolti sono ancora tanti: per esempio le difficoltà a ottenere una licenza (fino a 341 giorni) in rapporto a una domanda che al momento è enorme, ma il cui andamento futuro è difficile da prevedere. Inoltre, non tutti i prodotti a base cannabis sono da considerarsi già legali: se l'olio, per esempio, può essere acquistato per vie sicure, alternative come vaporizzatori, infusi, concentrati e alcune varianti edibles sono ancora vietate.

Considerando che in Italia il dibattito pubblico è a questo livello, abbiamo chiesto ad alcuni expat italiani in Canada quali sono le loro impressioni, che idea si sono fatti del confronto Canada-Italia, com’è la qualità dell’erba legale.

VITTORIO, 28 ANNI, RISTORATORE, VIVE IN CANADA DA DUE ANNI

VICE: È vero che in Canada fumano tutti?
Vittorio: In Canada l’uso di cannabis è parte fondante della società. Quando la prima volta arrivai a Vancouver rimasi esterrefatto: la città era letteralmente intrisa del profumo d'erba. Infatti è chiamata “Quiet City” perché piove molto e la gente fuma altrettanto. Giovani, meno giovani e vecchi hanno un approccio ricreativo e medico a questa sostanza.

Quindi, a differenza dell’Italia, non c’è mai stato uno stigma nei confronti della marijuana?
Qui fumare cannabis è da sempre tollerato. A differenza degli Stati Uniti, dove finisci in gabbia per semplice possesso, qui spesso lasciano correre.

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Perché in Italia è diverso?
I problemi secondo me sono due: i vecchi e la sinistra che non fa la sinistra. L’Italia ha un altissimo livello culturale ed è piena di idee nuove e buone, ma che si scontrano sempre con la grande percentuale della popolazione, che è, appunto, vecchia. Oggi in Italia tantissime persone fumano cannabis rivolgendosi al mercato nero, ma se si facesse un referendum, credo che la maggior parte della popolazione anziana voterebbe contro. In Canada siamo molto giovani, ed è quindi più semplice portare avanti progetti come la legalizzazione. Per quanto riguarda la sinistra: dovrebbe riappropriarsi di concetti e battaglie tipicamente di sinistra, e forse così risorgerebbe.

Con il Cannabis Act la marijuana potrà essere fumata negli stessi luoghi in cui è possibile fumare le sigarette. È vero, però, che in Canada il divieto di fumo è molto esteso?
I divieti sono molto rigidi: è vietato fumare nei pressi e nelle vicinanze di edifici, bar, negozi, ristoranti e anche nei parchi. Il limite territoriale è esattamente di sei metri. Girando per la città puoi vedere segregati negli angoli gruppetti interi di persone intente a fumare la propria sigaretta.

Pensa che il mio appartamento ha un magnifico terrazzo, ma non ci posso assolutamente fumare, perché se i miei vicini sentissero puzza di fumo informerebbero immediatamente il management del palazzo e verrei multato. Come appunto è accaduto un mese fa.

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VALENTINA, 33 ANNI, RICERCATRICE, VIVE IN CANADA DA TRE ANNI

VICE: Come si è arrivati al Cannabis Act?
Valentina: Hanno contribuito molti fattori. Innanzitutto, l’argomento è entrato nel dibattito pubblico grazie alle campagne pro-legalizzazione, che univano gruppi diversi, dagli ex hippy alla comunità giamaicana. Un altro fattore è stato l’influenza di stati come Washington, Colorado e California; nei confronti degli Stati Uniti il Canada ha una vera e propria dipendenza culturale, nel bene e nel male. Poi c'è l’elemento politico. Justin Trudeau, primo ministro dal 2015, ha fatto della cannabis una vera scommessa elettorale: ha introdotto la legalizzazione nel suo programma per “svecchiare” il partito liberale e avvicinare una nuova fetta di elettori, approfittando del fatto che il partito democratico al momento è molto “moscio” e parla solo di austerity.

La popolazione quindi è quasi tutta a favore?
Mi pare di aver letto che il consenso fosse intorno al 70 percento. In Nord America negli ultimi anni la gente muore d'eroina, quindi la cannabis non è certamente demonizzata. Alcuni conservatori sono contrari, ma il tema non è comunque in cima alla loro agenda.

Com’era la situazione prima che la marijuana diventasse legale?
Qui vengono fuori le contraddizioni del Canada. Il Canada ha una storia pesante di razzismo istituzionale contro le comunità nere e la popolazione indigena: vengono sistematicamente fermati dalla polizia, sono sovra-rappresentati in prigione, in particolare per i piccoli reati di spaccio e possesso di droga. Entrano nel sistema penale e quando ne escono non trovano lavoro per lo stigma che ormai li accompagna. Insomma, the same old story.

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Dall'altra parte, da quando la legalizzazione ha iniziato a concretizzarsi, tanti personaggi, dai super conservatori ai capi della polizia—in pratica quelli che fino a ieri erano gli sceriffi delle drug war—si sono buttati nel business. Discorso simile per gli smoke shop fighetti, gestiti da nuovi imprenditori (in genere hipster bianchi), che hanno più soldi da investire e spingono fuori dal mercato chi ha portato avanti per anni le campagne per la legalizzazione. Per esempio la comunità rastafariana, come ha spiegato la nipote di Bob Marley, che vive a Toronto.

Cosa succede a chi è finito in carcere prima del 17 ottobre?
Le persone più politicizzate stanno chiedendo un’amnistia per chi sta scontando reati collegati alla cannabis. Il governo dice che ci sta pensando ma bisogna capire se e come la metterà in pratica.

Ogni provincia decide come gestire la distribuzione. La tua come si è organizzata?
Inizialmente si era pensato di fare come con l’alcol, che si può comprare solo in negozi gestiti dal monopolio statale. Il Quebec, ad esempio, sta facendo così. Qui in Ontario invece è appena stato eletto un presidente conservatore, Doug Ford, che è un soggetto molto sopra le righe (stile Trump) e che sostiene di voler lasciare libera iniziativa ai privati, ma di fatto non ha ancora preso una decisione. Per ora, si compra via internet da un sito provinciale (che vende anche i bong, fa molto ridere).

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Guarda il nostro documentario sulla marijuana legale in Italia:


LEONARDO, 35 ANNI, RICERCATORE, VIVE IN CANADA DA SETTE ANNI

VICE: Si vedono già dei cambiamenti rispetto a prima della legalizzazione?
Leonardo: Qui in Ontario a livello di consumo non troppo, anche perché la legalizzazione della marijuana a scopo medico aveva di fatto già creato le condizioni per ottenere il prodotto in modo legale. Anche prima del 17 ottobre non era difficile ottenere un’autorizzazione medica per comprare marijuana legale, anche per semplici problemi di insonnia.

C’è chi si oppone per motivi ideologici?
Non c’è nessuna demonizzazione della sostanza, se non presso alcuni settori conservatori. Ma anche in questo caso, è più un fattore di appartenenza politica che un vero e proprio stigma.

Prima del Cannabis Act Italia e Canada avevano una legislazione molto simile sul consumo ricreativo. Secondo te il proibizionismo sta per finire anche in Italia?
Anche in Italia le droghe leggere sono molto più diffuse di quanto la politica voglia ammettere. Credo che prima o poi si arriverà alla legalizzazione anche in Italia. Tuttavia, l’influenza delle mafie nel settore degli stupefacenti (e nella politica) di fatto blocca questo processo.

La cannabis legale è più o meno buona di quella “illegale”?
Da consumatore posso dire che la qualità della cannabis legale è immensamente superiore a quella disponibile sul mercato nero.

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Cosa ne pensi dell’inasprimento delle sanzioni per l’acquisto illegale e delle pene per la vendita ai minorenni?
Le ritengo molto giuste, perché il mercato nero degli stupefacenti è uno dei mezzi tramite i quali il crimine organizzato si rafforza, anche a livello politico. E penso anche che i minori debbano essere tenuti lontani il più possibile da qualunque forma di stupefacente, perché non sono in grado di gestirne l’uso in modo consapevole.

ALESSANDRO, 36 ANNI, RICERCATORE, VIVE IN CANADA DA TRE ANNI

VICE: Quanto sono diverse secondo te l’opinione pubblica canadese e quella italiana in materia di droghe leggere?
Alessandro: L’opinione pubblica canadese è largamente favorevole, anche perché, negli ultimi anni, c’è stato un dibattito serio sul tema, a differenza dell’Italia, dove la politica affronta il problema in modo totalmente isterico. E poi qui Trudeau ci ha investito molto a livello politico: il suo partito era allo sbando, sembrava dovesse arrivare addirittura terzo alle elezioni, ma con questa proposta è riuscito ad avvicinare molti giovani.

Cosa dicono i media canadesi?
Stanno affrontando l’argomento in modo molto pragmatico. Da mesi escono quotidianamente articoli che parlano della legalizzazione, soprattutto in termini di business (“la nascente industria della cannabis”, “come partecipare”, “quanti soldi ci farà fare”…) e dal punto di vista della regolamentazione: come fare a garantire che la legalizzazione avvenga in modo efficiente, senza rischi per i bambini etc.

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Quali possono essere secondo te gli aspetti critici del Cannabis Act?
L’unica questione che mi viene in mente riguarda gli attori del mercato, chi cioè può produrre e vendere. La distribuzione è decisa dalle singole province, quindi in alcune sono considerati legali solo i negozi gestiti dallo stato, in altre, invece, i privati possono entrare nel business liberamente. Questa discrezionalità ha creato diverse tensioni.

Poi, si sono buttati al volo nel nuovo mercato tanti proibizionisti accaniti. E mentre questi personaggi investono e guadagnano, nelle province in cui il commercio è limitato al monopolio statale, tutte le persone che si sono battute per la legalizzazione sono state automaticamente escluse dal business. E sono incazzate nere. È come se Giovanardi entrasse nel business della marijuana.

ANDREA, 31 ANNI, ART DIRECTOR, VIVE IN CANADA DA QUATTRO ANNI E MEZZO

VICE: È vero che le scorte sono finite subito?
Andrea: Nelle province in cui i negozi sono accessibili di persona, come ad esempio la British Columbia, le scorte sono finite il primo giorno di apertura. Ma vivendo in Ontario non posso confermarlo, perché qui l’accesso alla cannabis avviene per ora solo online e i dispensari illegali—rimasti aperti fino al giorno della legalizzazione, sfruttando leggi poco chiare—hanno chiuso e stanno aspettando la licenza ufficiale.

Sei un consumatore?
Non sono un consumatore e non ho mai provato la cannabis legale. Mi hanno detto però che è inferiore alle aspettative. Tra l'altro sembra che alcuni fornitori selezionati dal governo trattino le piante chimicamente, forse per aumentarne la produzione.

C’è chi rimpiange il proibizionismo?
Ci sono reazioni diverse. Alcuni preferivano l’illegalità, perché fumare cannabis a scopo ricreativo in Canada non è mai stato un tabù, e le sanzioni entravano in vigore solo in casi estremi (fumare nei pressi di scuole o parchi giochi per bambini, o venderne grosse quantità…). C’era già molta indulgenza, ora invece, se la polizia ti ferma e il test risulta positivo, ti possono anche ritirare la patente. Insomma, più libertà in un verso ma meno nell’altro.

E l’Italia come dovrebbe comportarsi?
Dovrebbe legalizzare la cannabis ad uso ricreativo e, come il Canada, stabilire norme chiare per regolamentarne l’uso, esattamente come succede per l’alcol.