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Perché Sulla mia pelle ha avuto una partecipazione mai vista prima

Dalle proiezioni 'clandestine' alla riapertura del dibattito sul caso Cucchi, il film è diventato una forma di elaborazione collettiva.
Still dal film.

Ho visto Sulla mia pelle, il film che racconta gli ultimi giorni di Stefano Cucchi, al cinema la settimana scorsa. Pur essendo abbonata a Netflix, l’ho fatto per due motivi: il primo è che a quella proiezione sarebbero stati presenti Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo che difende la famiglia, il secondo è che non volevo vederlo da sola.

Come me, conosco diverse persone che si sono riunite a casa con amici per vedere il film, e tra questi anche chi raramente aveva interesse per questioni come gli abusi in divisa. Personalmente, ho scelto il cinema non perché avessi paura di qualcosa—avevo seguito il caso, non c’era molto che non sapessi di quanto è stato rappresentato nel film—ma in qualche modo sentivo la necessità di condividere anche con sconosciuti l’effetto che mi avrebbe fatto.

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Una volta terminata la proiezione sulla sala è sceso un silenzio irreale: prima che ricominciasse un brusio di sottofondo siamo rimasti tutti zitti per diversi minuti, guardandoci in faccia l’un l’altro.

E probabilmente è anche questa necessità di condivisione, unita alla distribuzione simultanea su Netflix e nelle sale dal 12 settembre, ad aver fatto sì che sin da quando lo scorso 29 agosto il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia si siano moltiplicati gli eventi di proiezioni pubbliche in diverse parti d’Italia, organizzati da associazioni, collettivi e gruppi cittadini che in pochi giorni hanno ricevuto migliaia di adesioni.

Gli eventi sono stati velocemente fatti sparire da Facebook per questioni di copyright, mentre gli organizzatori erano stati avvertiti da Netflix Italia di non portare avanti le iniziative, ma quelli effettivamente realizzati hanno avuto un successo incredibile—dai grandi centri a Parma, a Brescia, a Trento.

A Roma una visione collettiva del film è stata organizzata dal collettivo studentesco Sapienza Clandestina sul pratone dell’Università. All’evento erano previste 700 persone, ma ne sono arrivate oltre 2000, lasciando diversi spettatori in piedi o confinati lontano dallo schermo.

“Abbiamo deciso organizzare questa proiezione per diversi motivi. Quello principale è sicuramente voler riportare al centro del dibattito la storia di Stefano, una storia che per quasi dieci anni è stata oggetto di menzogne da parte di media e politici e soprattutto soggetta all'indifferenza dello Stato,” mi hanno spiegato gli esponenti di Sapienza Clandestina. “Noi pensavamo che fosse fondamentale dare l'opportunità a tanta gente, studenti, grandi e piccoli di vedere questo film gratuitamente ma soprattutto in maniera collettiva. Alla fine è andata molto bene, e c’erano emozioni contrastanti: rabbia, ma anche tristezza.”

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A Milano, per la proiezione organizzata dal collettivo LUME - Laboratorio Universitario Metropolitano in piazza Oberdan, lo scorso 13 settembre si sono raccolte più di mille persone.

“Appena abbiamo saputo che sarebbe uscito questo film su Netflix ci è sembrata subito un’ottima occasione per creare consapevolezza collettiva intorno alla storia di Stefano Cucchi e temi come gli abusi in divisa o le morti in carcere,” mi racconta Giovanni di LUME. “Volevamo proiettarlo, ma sapevamo che Netflix non avrebbe visto di buon occhio una proiezione clandestina. Problema che abbiamo scavalcato sinceramente, perché l’importanza del tema ci sembrava superiore.”

A proposito delle critiche alle iniziative mosse da Alessandro Borghi—che nel film interpreta Cucchi e che ha successivamente corretto il tiro dicendo "A vedere una foto con 2.200 persone sul prato a vedere il film mi viene da piangere. Quello che succede va al di sopra del cinema"—Giovanni aggiunge: “da un professionista una critica sulla proiezione fatta in un certo modo la accogli in modo pacifico. Detto ciò, a parte i problemi della serata in sé [ a Milano la piazza era troppo illuminata, e la pioggia ha interrotto la proiezione], bisognerebbe forse ricordare l’importanza di aver riempito una piazza di gente che era lì per riunirsi e coltivare un minimo di spirito critico intorno a una vicenda come quella Cucchi. Ci siamo presi il diritto di ascoltare questa storia.”

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Ora: se mi sforzo, le obiezioni sulla qualità delle proiezioni o sulla loro natura "clandestina" da un certo punto di vista le capisco. Capisco che se hai lavorato come un matto per fare un film ti possa scocciare che non si percepiscano i dettagli acustici, visivi o interpretativi, che ne perda la qualità. Capisco in qualche modo anche la questione degli incassi, e penso che il cinema vada sostenuto—altrimenti ci meritiamo le fiction tipo Carabinieri. Capisco tutte queste cose in generale; ma non posso condividere che diventino polemiche in questo caso particolare, perché non stiamo parlando di un film che racconta una storia a caso.

La vicenda di Stefano Cucchi è una storia talmente spaventosa da faticare a crederci. Una storia che per anni è stata portata sulle spalle principalmente dalla famiglia. E in cui per lungo tempo hanno regnato menzogne, omertà e depistaggi.

Per anni Cucchi nel racconto mainstream è stato dipinto come un drogato che in qualche modo se l’era cercata, uno che “sarebbe morto lo stesso,” forse per fame e sete. Per arrivare a parlare del violento pestaggio a cui è stato sottoposto ci sono voluti anni, e per la precisione quasi otto per avere un processo che chiamasse in causa i carabinieri.

Se migliaia di persone si riuniscono in una piazza o in uno spazio, vuol dire che c’è la necessità di capire e conoscere questa storia. E la pellicola di Cremonini è stata l'occasione per una mobilitazione tra organizzatori e spettatori che ha coinvolto tutta l'Italia; e che oltre alle proiezioni ha suscitato dibattiti sugli abusi in divisa e sulle condizioni delle carceri, interventi di avvocati e attivisti, e momenti di riflessione a partire dalla storia di Stefano. Una di quelle cose a cui il cinema dovrebbe aspirare.

Non a caso alla sorella Ilaria preme “che questo film venga visto da più persone possibile," anche nelle proiezioni pubbliche—come forma di "ribellione civile al cinismo imperante figlio dell'indifferenza e della pseudo paura. Tutto nel nome di Stefano, ultimo tra gli ultimi." Il resto, francamente, mi sembrano dettagli.

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