Come vedono dall'estero il governo Salvini-Di Maio

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Come vedono dall'estero il governo Salvini-Di Maio

Abbiamo parlato con il giornalista inglese Paul Mason dell'attuale governo, delle prospettive economiche, del rapporto con l'UE e dell'incerto futuro della sinistra italiana.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Juta
illustrazioni di Juta

Le elezioni del 4 marzo hanno indubbiamente stravolto in profondità il panorama politico italiano. Può sembrare una banalità da dire, eppure non lo è affatto: i tre mesi di formazione del governo giallo-verde hanno dimostrato quanto sia diventata difficile leggere questa nuova realtà politica, e le prime settimane di governo giallo-verde hanno aggiunto ulteriori livelli di difficoltà.

Questo non vale solo per noi, ovviamente, ma a maggior ragione per chi ci guarda da fuori. Salvo la nota eccezione—qualcuno ha detto Berlusconi?—negli ultimi anni l’Italia è stata ben lontana dai riflettori internazionali. Ora, invece, l’attenzione intorno è decisamente salita; e infatti, le analisi e i tentativi di comprendere quello che sta succedendo hanno avuto una bella impennata.

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Finora, l’angolo prediletto è stato quello dei “populisti al potere”; c’è chi evidenzia le gravi responsabilità dell’Unione Europea, e chi parla addirittura di un possibile “lato luminoso del populismo.” C’è però da dire che molti editoriali sono fuori focus, o troppo stereotipati, e i leader di Lega e Cinque Stelle non hanno mai perso l’occasione di riprendere quelli più funzionali alla narrativa dell’”abbiamo tutti contro!”

Nonostante questo, credo che sia molto utile tener conto dello sguardo dall’esterno—magari per illuminare aspetti che tendiamo a sottovalutare; oppure per inserire la nostra attualità in un contesto più ampio, e soprattutto depurato dal bombardamento propagandistico a cui siamo sottoposti quotidianamente.

Paul Mason è uno dei giornalisti di sinistra più apprezzati e più in vista in Europa, capace di unire solide analisi economiche e politiche con il lavoro sul campo. Da inviato televisivo (prima per BBC Newsnight, poi per Channel 4) ed editorialista per il Guardian (e molte altre testate) ha coperto tutte le maggiori crisi scoppiate in giro per il mondo. Inoltre, è anche autore di saggi di successo come Why It’s Kicking Off Everywhere e il recente Postcapitalismo.

Abbiamo fatto una chiacchierata sui partiti che formano l’esecutivo, sulle prospettive economiche dell’Italia, sul rapporto con le istituzioni europee e sul futuro—mai come ora incerto—della sinistra italiana.

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VICE: Ciao Paul. Recentemente hai scritto che “ogni tappa della crisi dell’Euro” suona come un memento mori per il progetto d’integrazione europea. Nel pezzo citi, in successione: il movimento delle piazze del 2011; la crisi greca del 2015; e ora il governo di coalizione in Italia. Perché hai inserito quest’ultimo nella tua analisi?
Paul Mason: Le crisi ci ricordano che il sistema non è infallibile. Certo: raramente fallisce del tutto, in un sol colpo, ma l’Unione Europea e l’Eurozona stanno andando entrambe verso il fallimento. Dimentichiamoci dell’Italia per un momento, e immaginiamo due possibili scenari catastrofici: primo, la Francia diventa fascista con l’avvento di un governo Le Pen; e il “centro” crolla come è successo in Italia. Secondo: Angela Merkel perde il controllo di CDU/CSU e così passano a una coalizione con AfD, com’è successo in Austria tra ÖVP [il Partito Popolare Austriaco, conservatore] e FPÖ [il Partito della Libertà Austriaco, molto più di destra e nazionalista].

Ora, proviamo a immaginare cosa potrebbe portare alla realizzazione di uno di questi due scenari. La risposta è: un altro grande paese si ritira dal Trattato di Lisbona. L’Italia potrebbe essere sul punto di farlo; la Polonia ci sta provando; ed è anche possibile che accada di nuovo in Grecia. Il neoliberismo economico ha indebolito il consenso generale intorno al Trattato di Lisbona, e la crisi dei migranti ha peggiorato ulteriormente la situazione.

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Tra l’altro, a quest’ultimo proposito, è facile immaginare che Erdogan riapra il flusso di profughi e migranti, oppure che un conflitto nell’Africa settentrionale faccia apparire "ridicoli" i problemi con cui ci scontriamo oggi. Lo scopo di proiettare questi scenari tragici per l’Europa è principalmente quello di scongiurarli—ed è proprio questo il punto: né Merkel né Macron sembrano oggi in grado di mettere in piedi un meccanismo di difesa dal fallimento.

Il MoVimento 5 Stelle è il partito con più consensi in Italia, ma rimane un po’ un mistero anche per noi. Com’è percepito, all’estero? E sulla Lega, invece, qual è il tuo giudizio?
Personalmente, come altri intellettuali di sinistra, cerco di evitare il termine “populista”—è usato in modo dispregiativo dal centro neoliberista, ormai sconfitto, per stigmatizzare le persone che riconoscono apertamente problemi come corruzione, disuguaglianza, criminalità organizzata, stupido interventismo militare, e altro.

Detto ciò, definirei la Lega come un partito autoritario di destra, conservatore e xenofobo. Mentre il M5S è un vero enigma: è un mix confuso di politiche anti-elitarie di destra e sinistra. Tuttavia, qualsiasi movimento politico deve essere valutato in rapporto ai principali gruppi di interesse nel proprio paese di riferimento: cui bono? è la vera domanda che dobbiamo porci.

Ad oggi, la risposta è: la Lega, e le destre, sostengono apertamente politiche selvagge di mercato. A livello nazionale, invece, il M5S non ha spiegato chiaramente che tipo di capitalismo—o anticapitalismo—vorrebbe creare, quindi finirà per essere bistrattato da classi rivali e potenze di settore fino a che non si spacca. Credo che questo sia lo scenario a cui dovrebbe prepararsi la sinistra in Italia.

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In queste prime settimane, la figura che è emersa di più è sicuramente quella di Matteo Salvini. Cosa ne pensi di lui?
Il problema con Salvini è che per ora sembra abile, deciso e bravo a comunicatore. Le sue politiche sono facilmente criticabili, ma il vero problema della sinistra è che continua a eleggere leader che agli occhi dell’elettorato risultano incompetenti, indecisi e sono dei pessimi oratori.

In un altro pezzo che hai pubblicato sul New Statesman, hai usato la frase “neoliberismo in un paese” per descrivere l’attuale fase politica italiana. Cosa intendi con quell’espressione?
Per trent’anni abbiamo avuto un neoliberismo globalizzato. Tutti pensavano che le due cose fossero inscindibili. Ma Trump, la Brexit e ora la Lega dimostrano che si vuole salvare un modello di stato poco invasivo, votato al libero mercato e con un alto tasso di finanziarizzazione. Se necessario, si è anche disposti a staccarsi dal sistema globale. Un’altra parola che descrive questo fenomeno è “Thatcherismo in un paese”.

Può funzionare: Trump ha creato posti di lavoro e programmi di welfare finanziati dallo stato semplicemente aumentando il debito. Questo significa, però, fare quello che ha fatto Trump: identificare gli ex collaboratori del sistema globale come nemici, e dichiarare loro una vera e propria guerra economica. Ad impedire questo, in Italia, ci sono i trattati di Maastricht e Lisbona—ecco perché il governo Lega/M5S deve entrare in rotta di collisione con Bruxelles e Francoforte se vuole completare un programma di crescita attraverso lo sforamento del deficit.

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Quello che vorrei dire alla sinistra italiana è: uscite da Lisbona, affrontate BCE/UE e rivendicate il diritto a costruire un programma di modernizzazione e crescita basato sul deficit. Se possibile, riformando l’Eurozona; altrimenti, pianificando attentamente e non impulsivamente il prossimo passo strategico per andare avanti.

Secondo te, il “contratto di governo”—se implementato, ovviamente—potrebbe portare a una sorta di bancarotta delle finanze italiane e ad uno scontro piuttosto pesante con le autorità dell’Eurozona?
Sì, è molto semplice. Anche se il deficit è basso, basta che la BCE smetta di acquistare titoli di stato italiani per far salire i costi del finanziamento alle stelle e gettare il paese in una situazione assimilabile a quella della Grecia.

Tuttavia, questo non significa seguire pedissequamente i criteri di Maastricht—e penso che sia una vergogna che siano stati Lega e M5S a dire “basta Maastricht.” Questo dovrebbe far parte del programma della sinistra. Quando le persone in tutta Europa mi chiedono “qual è il segreto del successo di Corbyn,” io rispondo così: il trattato di Lisbona non grava ossessivamente su ogni sua decisione politica.

Visto che hai seguito la crisi greca per molti anni, ci sono delle similitudini la situazione politico-economica della Grecia e quella dell’Italia?
Ovviamente si tratta di due tipi di debito differenti. Il debito greco era di proprietà di altri stati europei; il debito italiano è principalmente di proprietà degli italiani. Inoltre, lo scontro tra Grecia ed Europa era portato avanti da una popolazione pronta a mobilitarsi, e in larga parte di sinistra. Nonostante il PD oggi sia indebolito, i sindacati italiani, e la sinistra in senso più ampio nella società civile, sono ancora piuttosto forti—eppure, non penso che siano disposti a mobilitarsi così tanto, anche sotto un governo guidato da Salvini.

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Penso, inoltre, che la Grecia avrebbe dovuto prendersi più tempo: firmare un accordo sul breve periodo, giocarsela più intelligentemente e preparare una valuta parallela. Salvini e Di Maio hanno sicuramente imparato da questa vicenda.

Dal punto di vista culturale, poi, è stato molto più facile per la Germania accusare la Grecia di essere il terzo paese più “pigro” al mondo, di quanto non sarebbe stigmatizzare l’Italia allo stesso modo. Di sicuro, tutti gli stereotipi ci sono—e sono esattamente gli stereotipi che la destra padana ha usato contro il mezzogiorno italiano—ma poi ci sono Fiat, Pininfarina, Ferrari e le grandi squadre di calcio.

Non dimentichiamo che se, come me, voleste trasformare l’Eurozona in un autentico motore di crescita, la battaglia principale si combatterebbe in Germania. L’Italia è uno Stato che ha la capacità di sfruttare il proprio soft power e la diplomazia, cosa che non aveva la Grecia. L’unico modo per farlo è mettere in atto una strategia diplomatica attenta—e ricordiamoci che al tempo la sinistra greca era paralizzata dai propri diplomatici e funzionari pubblici, mentre la destra italiana potrebbe utilizzare tutte le leve statali a sua disposizione.

Il New York Times, insieme ad altri grandi quotidiani internazionali, ha descritto il nuovo governo italiano come “una minaccia per l’Europa” e anche per l’Euro. Per te, è davvero una minaccia?
Per l’Europa di Maastricht sì, lo è. Ma più in generale, in tutta Europa stiamo assistendo all’ascesa di élite nazionali e che riscoprono gli interessi nazionali. La vera minaccia per l’Europa risiede nel fatto che la Germania non assume del tutto la leadership, ma non permette nemmeno alla periferia di crescere.

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Al contempo, c’è il ritorno ad una politica meramente simbolica, come nel caso della crisi dei migranti: Merkel ha imparato che se decidi di fare un gesto simbolico come quello di stracciare il Trattato di Dublino, dall’altro lato devi essere pronto a dare prova di una forte leadership geopolitica. Quasi tutti i problemi dell’Europa sono riconducibili alla Germania—e alla popolazione tedesca, non solo ai suoi politici, ostile all’idea di spendere e prendere soldi in prestito.

Steve Bannon—ex capo di Breitbart ed ex consigliere strategico di Donald Trump—si è incontrato con dirigenti leghisti e con Matteo Salvini in persona, e in un’intervista ha detto che l’Italia è tornata a contare perché è diventata una sorta di laboratorio politico a livello planetario. Ritieni che questo nuovo governo potrebbe avere un impatto globale, o quanto meno europeo?
Non è un’esagerazione. Hanno il potere di fare pressione per ottenere una riforma dell’Eurozona, sia avviando un processo di sostituzione del Trattato di Lisbona con un trattato a favore "pro-crescita," sia facendo saltare l’Eurozona.

Ora, personalità forti come Bannon, Trump e Putin sono—a mio parere—deleteri, e sfrutteranno questo scontro con l’Europa per indebolire il continente europeo sul piano geopolitico, e per indebolire quei valori che figure come Salvini e Di Maio dicono di sostenere: il razionalismo, l'illuminismo e la sovranità democratica.

Ma in definitiva, Bannon ha ragione. Il G7 ha segnato l’inizio di un processo di frammentazione del sistema globale, e l’Italia ha un forte impatto a livello geopolitico. Questo significa che qualsiasi cosa farà, sarà significativa.

Dopo le elezioni, il centrosinistra e la sinistra italiana sono praticamente in frantumi. C’è una via d’uscita per loro, o sono destinate a perdere ancora terreno?
Se ci sono forze all’interno del Partito Democratico pronte ad abbandonare il neoliberismo e la tecnocrazia, allora potrebbe esserci una speranza—guarda quello che è successo con Sanchez in Spagna: ha rischiato tutto e ha vinto tutto. Ma se, al contrario, Renzi dovesse proporsi come un nuovo Macron, tra il suo rifiuto categorico di spostarsi a sinistra e la fissa dei suoi leader di spostarsi più a destra, il PD vedrà un ulteriore crollo dei consensi.

Per il resto, all’interno del partito laburista britannico ci chiediamo spesso: “dov’è la sinistra nel PD?” Eppure se tutte le forze di sinistra sono già uscite dal PD, allora dovranno ricominciare da capo. La sinistra radicale italiana dovrebbe quindi raccogliere la sfida, uscire dalla propria comfort zone di frasi fatte, bandiere e interminabili fissazioni teoriche, e iniziare a parlare la lingua del popolo.

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