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I detenuti americani non vogliono più fare gli 'schiavi' per Starbucks e Victoria's Secret

I detenuti di più di 20 stati americani si sono rifiutati di compiere le mansioni per cui sono costretti a lavorare per meno della paga minima — o, a volte, anche gratis.
Foto by Jim Lo Scalzo/EPA

Venerdì i detenuti di più di 20 stati americani hanno iniziato uno sciopero coordinato, in cui si sono rifiutati di lavorare e con cui chiedono la "fine della schiavitù in prigione." La protesta - messa in atto del giorno del 45esimo anniversario della rivolta carceraria di Attica del 1971 - è uno degli scioperi in carcere più significativi degli ultimi decenni.

"La schiavitù è viva e vegeta nel sistema carcerario, ma entro la fine dell'anno non lo sarà più," si legge in un comunicato dei Lavoratori Industriali del Comitato mondiale dei lavoratori detenuti (IWOC), il gruppo che ha organizzato e annunciato lo sciopero.

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Potrebbe non sorprendere che gli oltre due milioni di detenuti statunitensi lavino per terra o puliscano i cessi nelle prigioni, ma la popolazione carceraria americana è anche una risorsa poco costosa e, negli stati come il Texas, può essere anche usata come manodopera gratuita.

Negli ultimi anni i budget statali si sono ridotti, e le prigioni hanno lanciato nuovi programmi per il lavoro. I detenuti riparano le fognature pubblico, ripuliscono le strade dagli animali investiti, gestiscono gli spazi pubblici come i cimiteri e fanno addirittura le saldature subacquee.

"Pensate a quanto costi incarcerare qualcuno," ha detto nel 2011 il senatore repubblicano John Ensign, che chiedeva un aumento di programmi simili. "Vogliamo che stiano in prigione con le mani in mano, facendo sollevamento pesi, diventando violenti e pensando al prossimo crimine? O vogliamo che abbiamo uno scopo nella vita e imparino delle nuove capacità?"

La vera entità del lavoro nelle prigioni, però, va oltre la crescita personale e i lavori socialmente utili: fa bene agli affari, in particolare a quelli delle grandi società americane. I detenuti puliscono i prodotti di Wal-Mart, impacchettano il caffè di Starbucks, cuciono i vestiti di Victoria's Secret e gestiscono i call center di AT&T.

Le grandi multinazionali hanno fatto accordi con le prigioni sia pubbliche che private, che gli permettono di usufruire di una forza lavoro che non ha alcuna scelta ed è costretta a lavorare per, ad esempio, 20 centesimi all'ora. Le grandi imprese e i governi, nel frattempo, risparmiano molti soldi.

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"Alla prigione di Holman, c'è un impianto per la produzione di targhe, che produce le targhe delle auto per tutto lo stato, e anche una fabbrica tessile," spiega Robert Horton, che si occupa di pubbliche relazione per il Dipartimento per le prigioni dell'Alabama. Secondo Horton, le operazioni non sono state interrotte dallo sciopero.

Ai detenuti non è permesso aderire a un sindacato, dato che le leggi sul lavoro non li classifica come dipendenti. È un fatto che l'IWOC sta cercando di cambiare, cercando di far aderire clandestinamente i detenuti a un'associazione a cui non si applicano gli obblighi di un sindacato.

"Non si può cambiare questa situazione tramite un sistema per i reclami che non funziona… O tramite dei tribunali che ci sono chiaramente contro… o tramite delle petizioni a politici a cui non importa di noi perché non possiamo votare… o tramite scioperi della fame contro i funzionari delle carceri che vogliono vederci morire di fame… o tramite lettere ai giornali che hanno ignorato la nostra situazione per decenni," si legge sul sito internet del gruppo.

"Sappiamo cosa accadrà se NON aderirete all'associazione. Vediamo cosa succederà se lo FARETE."

"Alla Holman, per esempio, si producono targhe e si cuce," ha spiegato Robert Horton dell'Alabama Department of Corrections, aggiungendo che le operazioni non sono state inficiate dallo sciopero.


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