Attualità

Com'è lavorare per le industrie più 'malvagie' al mondo

Abbiamo chiesto a tre giovani del settore del petrolio, tabacco e armi nucleari come conciliare morale e lavoro.
Giacomo Stefanini
traduzione di Giacomo Stefanini
Milan, IT
A man who works in oil and gas with his tie on fire
Immagine: Lily Lambie-Kiernan

Rispondere quando ti chiedono che cosa fai di lavoro è sempre un problema. A chi fa piacere ricordarsi delle mail non lette, della schiscetta pessima di martedì scorso o dell’ultimo comunicato incomprensibile arrivato dalla dirigenza? Ma per chi lavora in settori controversi—o addirittura immorali—come quelli dei combustibili fossili, del tabacco e delle armi nucleari, rispondere a questa domanda può suscitare profondo disagio e far maledire all’ascoltatore il momento in cui l’ha posta.

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Ben lavora nel settore petrolchimico da più di dieci anni, e sta cercando disperatamente di uscirne. “Cerco di non entrare nei dettagli sul mio posto di lavoro,” dice. “Quando era piccolo dicevo a mia nipote che lavoravo in una fabbrica di cioccolato, perché tornavo a casa tutto sporco di olio. Provo vergogna per quello che faccio.”

Dopo una breve pausa di riflessione, in cui ha fatto del suo meglio per spostarsi in un settore diverso, si è trovato assunto in un ruolo nuovo da rappresentante tecnico—sempre nel petrolchimico. Come tutte le altre persone che ho intervistato per questo articolo, ha richiesto l’anonimato per paura di ripercussioni da parte dei suoi datori di lavoro.

“Ho molta esperienza, ma non ha alcun valore al di fuori dell’industria petrolchimica,” dice. “Durante il periodo che ho passato via, ho riflettuto su quanto mi faccia schifo quello che faccio. Ero molto depresso e pensavo a tutti gli anni della mia vita che ho dedicato a questa cosa. Non mi sembra un buon investimento.”

Millennial e Gen Z sono comunemente percepiti come politicamente impegnati e con posizioni progressiste su temi come il clima e la giustizia sociale, e il 62 percento di questi ultimi trovano una carriera nel petrolchimico indesiderabile. Ma la verità è che nessuna di queste industrie sarebbe in grado di sopravvivere senza costanti iniezioni di nuovi talenti, o almeno di giovani disposti a mettere da parte temporaneamente i propri valori in cambio di una busta paga, anche se in media quella busta paga—almeno nel campo di Ben—è ben più leggera di quella di chi lavora nella pubblicità, nella finanza e nella ricerca.

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George, 27 anni, lavora nel settore del tabacco—una vera e propria “industria del peccato” che provoca più di 8 milioni di morti all’anno ed è stata accusata di deforestazione di massa e inquinamento su scala globale. È entrato nelle fila di una delle maggiori aziende di tabacco del mondo dopo la laurea e ha “colto immediatamente l’opportunità” di un alto salario di partenza nel ramo vendite, anche se sapeva che il tabacco non sarebbe rimasto il suo “lavoro della vita.”

La questione morale non è mai stata tale per lui, ma “ricordo che sono stato preso in giro molto dai miei amici perché sono un venditore di sigarette,” mi racconta. “Se c’era una persona nuova a una festa, io venivo presentato come ‘quello delle sigarette,’ proprio nel senso di ‘lo teniamo con noi in caso ci servano sigarette’, tipo.”

Quando George è arrivato a una posizione dirigenziale, rispondere alle domande sul suo lavoro è diventato più difficile. “Mi è capitato di uscire con persone che non la prendevano bene. Mi chiedevano come facessi a lavorare in questo settore e considerarmi una brava persona. Così ora evito di dire cosa faccio.” Alla fine, il martellante pensiero che il tabacco dovesse rappresentare soltanto una veloce fermata nella sua carriera è diventato impossibile da ignorare—era giunto il momento di passare oltre.

Come Ben, George ora sta cercando altrove, ma è preoccupato circa la sua appetibilità per altre aziende. “So che mi saranno preclusi certi settori—come quello della salute—ma chissà se mi accetteranno nel campo dello sport o della tecnologia? In passato, la paura di venire giudicato da un futuro datore di lavoro è sempre stata capace di fermarmi.”

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Uno dei punti più bassi della carriera di Ben è arrivato quando gli è stato chiesto di licenziare oltre 60 persone nel 2020, un anno in cui la sua azienda ha totalizzato profitti da record. “Le compagnie petrolchimiche stanno facendo più soldi che mai,” dice, “ma quando la gente richiede più combustibili, le compagnie lo trattengono, perché se dovessero saturare il mercato i prezzi si abbasserebbero e il margine di profitto scenderebbe.” Alla fine, spiega, sono le persone normali a pagare il conto—e lui non vuole più far parte di questo sistema.

Katie si occupa di armi nucleari—nello specifico, è la direttrice di un programma per la progettazione e la manutenzione di nuovi sottomarini nucleari.

“Sono cresciuta negli ultimi anni della Guerra Fredda, quindi fin da bambina sono stata morbosamente curiosa rispetto al funzionamento di queste cose,” spiega Katie. Che della sua professione dice: “Io non costruisco le testate nucleari, lavoro soltanto sui sottomarini che le trasportano—non sono io che disegno la cosa che uccide le persone. Per come la vedo io, è tutto pagato dal governo in ogni caso. Cambia qualcosa se a prendere quei soldi sono io?”

Soltanto di recente si è trovata costretta a riflettere più profondamente sul suo ruolo in questo settore. “Con le notizie che arrivano dalla Russia in questo momento, mi ritrovo a pensare: ‘Sto peggiorando la situazione in qualche modo?’ Inoltre, se qualcosa dovesse andare drammaticamente storto, il posto in cui lavoro verrebbe sicuramente bombardato. Se mi trovassi in ufficio il giorno che Putin decidesse di dare il via alle danze sarei fritta.”

Settori come questi, ammette Katie, creano così tanti posti di lavoro che “sarebbe un’impresa titanica cambiare.” Secondo lei, tutti noi—dal costruttore di testate nucleari all’autotrasportatore fino al cittadino che finanzia le operazioni con le sue tasse—contribuiamo all’esistenza dell’industria nucleare.

Queste industrie hanno dovuto affrontare una forte opposizione da parte dell’opinione pubblica e controlli sempre più approfonditi. Prendiamo, ad esempio, la valanga di problemi legali che ha investito le compagnie petrolchimiche dopo i loro tentativi di greenwashing o l’ultima iniziativa del presidente USA Joe Biden volta a costringere le marche di sigarette a ridurre la quantità di nicotina nei loro prodotti. Anche il Parlamento Europeo è stato bersaglio di critiche per aver approvato un piano che classificherebbe l’energia nucleare come “sostenibile.”

Ma si tratta spesso di spinte insufficienti contro industrie che godono di immenso potere, influenza e controllo economico. Anche Ben non sarebbe “in grado di pensare a nulla che io, o anche 10.000 me, potremmo fare per invertire la marcia in questo momento.”