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Il paziente in coma che si è “risvegliato” con uno psicofarmaco

Un breve momento di triste ritorno alla vita.
​Immagine: Wiki

​Nessun medico si sarebbe mai aspettato che una minima dose di un comune psicofarmaco chiamato Midazolan avrebbe fatto molto di più che sedare il loro paziente per sottoporlo a una risonanza magnetica. Ma questo paziente, che si trovava da due anni in uno stato di minima coscienza a causa di incidente in moto che gli aveva provocato gravi danni cerebrali, ha iniziato a interagire e a parlare, dal nulla. Si è messo a chiacchierare con l'anestesista, ha chiamato sua zia al cellulare e ha fatto le congratulazioni a suo fratello che si era appena laureato.

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Dopodiché il paziente è tornato all'improvviso nello stato semi-vegetativo in cui si trovava, in cui la sua relazione con il mondo era mediata soltanto da una flebo.

Questo "risveglio", accaduto all'ospedale di Pisa, è stato descritto da un team di neuroscienziati su Restorative Neurology and Neuroscience. Dopo l'evento, il team ha cercato di replicare la circostanza con lo stesso farmaco: il paziente ha di nuovo iniziato a parlare e a interagire in modo "appropriato" dopo alcune richieste comportamentali e verbali. Il paziente non aveva alcun ricordo dell'incidente e nessuna consapevolezza del suo stato attuale. Per lui la sua vita normale si era fermata il giorno prima.

Svanito l'effetto della medicina, il paziente è ritornato di nuovo in uno stato di minima coscienza.

Con l'aiuto dell'EEG i neuroscienziati si sono concentrati sull'attività in due regioni cerebrali del paziente: la rete TPN (Task-positive network) e l'area del linguaggio. "Ci siamo focalizzati su queste aree perché crediamo che il loro miglioramento funzionale abbia contribuito in modo sostanziale a determinare la reazione di risveglio del paziente," hanno scritto nella ricerca.

"Il TPN ha a che fare con la capacità di affrontare e risolvere compiti cognitivi che richiedono esplicite reazioni comportamentali, mentre l'area del linguaggio ha a che fare con la comprensione e la produzione del linguaggio," hanno spiegato i neuroscienziati.

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"I "risvegli" come questo non sono una novità. Ci sono stati alcuni altri casi avvenuti grazie all'uso di benzodiazepine (antidepressivi generici come lo Xanax) e con l'Amantadina, a volte usata per curare i sintomi del morbo di Parkinson. Il paziente in questione non aveva reagito a nessuno di questi altri farmaci.

Quindi perché ha funzionato il Midazolam? Probabilmente la risposta risiede nelle frequenze d'onda del cervello. Lo "spettro d potenza" di queste frequenze è molto particolare nei pazienti catatonici o minimamente coscienti; il picco della frequenza in questo paziente era intorno ai 7 Hz. Il Midalozam pare abbia smussato la potenza dello spettro, limitando gli aspetti dannosi.

Che cosa significhi questo evento per la cura degli stati di minima coscienza rimane da vedere, ma il team di Pisa ipotizza che possa essere provato in altri pazienti, in particolare quelli che possiedono una frequenza d'onda cerebrale simile.

"Questi pazienti potrebbero essere candidati a una cura continua di benzodiazepine per via orale," conclude il team, "o teoricamente per un protocollo più aggressivo, come la continua somministrazione in endovena di Midazolam, una pratica comune nei reparti di terapia intensiva per interrompere gli attacchi epilettici prolungati."