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È passato un mese dalle elezioni e non è successo un bel niente

Alla vigilia di nuove consultazioni, i partiti non riescono ad accordarsi per formare un governo—e la situazione non sembra destinata a cambiare.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Thumbnail via Twitter.

Lo scorso 4 marzo, stando alle trionfanti dichiarazione di Luigi Di Maio, è nata la “Terza Repubblica”—quella dei cittadini, quella dove il governo sarebbe stato finalmente “al servizio della gente.” Contemporaneamente, tra un grappino in Friuli e una stretta di mano davanti alla Lambo della polizia, Matteo Salvini ripete da circa un mese che la Lega ha ottenuto una “vittoria straordinaria” e che “gli italiani hanno premiato il futuro.”

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Ora, nessuno può mettere in dubbio il fatto che Lega (incluso il centrodestra) e il M5S siano i partiti andati meglio alle urne. Però, ed è un grosso PERÒ, nella realtà nessuno ha vinto per davvero. Nessuno, cioè, ha la maggioranza parlamentare per formare un governo. Questo era chiarissimo fin dai primi exit poll, e lo è ancora di più adesso che l’intero scenario politico italiano assomiglia all’ultima scena de Le Iene—giusto un attimo prima che tutti tirino il grilletto.

Le consultazioni della scorsa settimana, ossia gli incontri del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con i leader dei vari partiti, sono finite in uno scontato nulla di fatto. Ed era tutto talmente prevedibile che l’unico vero sussulto è arrivato da un combattimento tra gabbiani fuori dal Quirinale (non sto scherzando, giuro: ci sono stati persino lanci di agenzia e video).

Stando a quanto riportano vari giornali, è molto probabile che anche le prossime consultazioni—previste per domani e dopomani—finiscano così. Nonostante Di Maio si sia detto “fiducioso” di riuscire a stipulare un “contratto di governo” con Lega e/o Partito Democratico, nei giorni scorsi il centrodestra ha annunciato che questo giovedì si presenterà unito.

La decisione, chiaramente, ha un valore politico ben definito: non solo si ribadisce che la coalizione esiste e resiste, ma che Silvio Berlusconi non va messo in discussione. E sebbene Matteo Salvini abbia ribadito che esiste un “51 percento di possibilità” di fare un governo con i Cinque Stelle, Luigi Di Maio non ha preso benissimo questa rinnovata centralità di Berlusconi. Tant’è che su Twitter e Facebook, il “capo politico” del M5S ha scritto che “c’è lo zero per cento di possibilità che il MoVimento 5 Stelle vada al governo con Berlusconi e con l’ammucchiata di centrodestra.”

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In tutto ciò, nel Partito Democratico—il grande sconfitto di queste elezioni—continua a prevalere la linea dell’opposizione dura e pura: nessun accordo né con il M5S, né con il centrodestra. Sempre nei giorni scorsi, tuttavia, singoli esponenti del partito hanno messo in discussione questa linea. Dario Franceschini, ad esempio, ha detto che bisogna “guardare agli interessi del Paese e all’Europa” e “non consegnare i Cinque Stelle nelle mani della Lega.” Il ministro della Giustizia uscente Andrea Orlando, pur dicendo che “le possibilità di realizzare un percorso di governo serio sono remote,” ha affermato che “l’idea di stare a guardare mangiando pop corn non mi piace, in democrazia nessuno è spettatore.”

Al momento, insomma, lo stallo è totale. E questo, stando ad alcuni retroscena, non piace un granché a un Mattarella sempre più innevorsito. “Dinanzi a leader fermi immobili sulle rispettive posizioni,” scrive Ugo Magri su La Stampa, “inchiodati ai soliti giochi tattici, […] Matterella potrebbe decidere che l’attesa è stata sufficiente e passare dunque alla fase successiva”—quella dei “pre-incarichi.” Il presidente potrebbe affidare a Salvini o Di Maio un “mandato esplorativo,” che in queste condizioni ha un rischio di fallire piuttosto elevato; nella pratica, è l’equivalente politico di avere il proprio nome scritto sul Death Note.

Si tratterebbe, con ogni evidenza, di una forma di pressione estrema per superare i veti incrociati dei vari partiti e “invogliare tutti a prendersi le proprie responsabilità.” Se nemmeno quest’arma in mano a Mattarella dovesse funzionare, allora entreremmo in un fase ancora più incerta. E qui le ipotesi sul campo sono le più svariate: un “governo del presidente,” un “nome terzo” a capo di una vasta maggioranza (proprio in queste ora sta circolando il nome del presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick), e così via.

La legge non prevede una durata massima per le consultazioni, e in passato si è arrivati anche a più di due mesi. Se non si riuscisse a trovare un accordo Mattarella sarebbe costretto a sciogliere le camere e indire nuove elezioni, probabilmente il prossimo ottobre.

Solo che una prospettiva del genere non è vista di buon occhio, perché non è mai successo prima nella storia della repubblica e ci farebbe andare al summit dell’Unione Europa su euro e immigrazione (previsto per il prossimo 28 giugno) senza un governo nel pieno dei suoi poteri. E tra l’altro, visto com’è andata tra gennaio e marzo, sono piuttosto sicuro che una nuova campagna elettorale popolerebbe gli incubi di molte persone—i miei, almeno, di sicuro.

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