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Talebani controllano le strade di Herat, in Afghanistan, dopo l'occupazione del 15 agosto 2021. Foto: Mir Ahmad Firooz Mashoof/Anadolu Agency via Getty Images.
Attualità

Da dove arrivano i soldi con cui i talebani hanno riconquistato l’Afghanistan

I talebani hanno accumulato 1,6 miliardi di dollari nel 2020—un fattore decisivo nella rapidità con cui hanno ripreso il controllo dell'Afghanistan.
Pallavi Pundir
Jakarta, ID

Nelle strade di Kabul, subito dopo la conquista della città da parte dei talebani, le persone correvano da un bancomat vuoto all’altro. I prezzi sono schizzati alle stelle e gli Stati Uniti hanno congelato 9,5 miliardi di dollari di capitali, mentre i talebani assegnavano a una figura relativamente sconosciuta il compito di gestire la banca centrale per risolvere i “problemi della popolazione.”

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Di Haji Mohammad Idris, il nuovo responsabile della DAB (Da Afghanistan Bank) si sa molto poco—se non che la sua investitura riflette il sofisticato sistema finanziario che il gruppo estremista tiene in piedi da più di vent’anni.

Pur trovandosi in uno dei paesi più poveri del mondo—dove quasi la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà—i talebani sono notoriamente ricchi. Le loro risorse sono state un fattore fondamentale nella rapidissima riconquista dell’Afghanistan, stando a diversi esperti.

“C’è il mito per cui i talebani siano jihadisti arretrati che vivono nelle caverne e conducono le loro operazioni da lì,” spiega a VICE World News Gretchen Peters del CINTOC (Center on Illicit Networks and Transnational Organized Crime). “È un’idea completamente errata.”

Una delle ricostruzioni più chiare dei capitali di cui il gruppo dispone è contenuta in un rapporto confidenziale commissionato dalla NATO e trapelato nel 2020, che VICE World News ha visionato. Sulla base di alcune interviste a fonti interne ai talebani e al governo precedente, il rapporto stima che i talebani abbiano accumulato 1,6 miliardi di dollari nel solo 2020. L’obiettivo finale, sempre secondo gli autori del report, è diventare “un’entità miliare e politica indipendente” in grado di sopravvivere senza l’aiuto dei propri sostenitori—governativi o privati—fuori dall’Afghanistan.

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Poiché i talebani non pubblicano nulla di simile a resoconti trimestrali, le fonti di tale ricchezza sono difficili da individuare. Tuttavia, molteplici indagini suggeriscono che una parte significativa arrivi da mercati neri e “grigi” di miniere illegali, droghe e proprietà immobiliari.

Sorprendentemente, una porzione importante delle loro entrate—il 15 percento, ovvero più di 240 milioni di dollari—deriverebbe da generose “donazioni”. Alcune di queste provengono da finanziatori in Pakistan e nel Medio Oriente, nonché da “una rete di individui, aziende, moschee e madrase note per fornire soldi e servizi di riciclaggio facendo le veci dei talebani,” sostiene un report del 2019 del Consiglio sulla sicurezza delle Nazioni Unite. Molte di queste organizzazioni compaiono sulla lista di gruppi che finanziano il terrorismo—talebani compresi—stilata dal Dipartimento del Tesoro americano.

“Anche la regione del Golfo resta importante per i talebani, in quanto zona dove i proventi della droga possono essere ripuliti attraverso strutture legali che appartengono ad afghani espatriati,” spiega l’Onu, aggiungendo che queste reti hanno portato i talebani a una “stretta relazione con la criminalità organizzata afghana.”

Tra i contribuenti più generosi figurano anche dei privati. Stando alle Nazioni Unite, una delle mogli del leader talebano Sirajuddin Haqqani, che vive in Arabia Saudita, invierebbe donazioni annuali da 60 milioni di dollari. Ad Haqqani, che è a capo della Rete Haqqani—una fazione insurrezionalista alleata con i talebani, nota per condurre attacchi di alto profilo contro gli alleati occidentali in Afghanistan—è stata affidata la sicurezza di Kabul dopo la presa della città nell’agosto 2021.

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Il primo regime talebano—caratterizzato dalla messa al bando di qualsiasi forma di intrattenimento, dalle dure punizioni e dall’accesso ristretto a Internet—è stato definito come “l’era oscura.” Ma diversi report dell’intelligence degli Stati Uniti mostrano come il gruppo se la passasse in realtà piuttosto bene.

“Per anni i comandanti talebani hanno vissuto in costosi complessi residenziali in Pakistan, guidando Land Rover e mandando i figli in scuole private,” spiega Peters, aggiungendo che la percezione falsata di un presunto stile di vita austero ha fatto sì che “nessuno si preoccupasse davvero dei loro soldi.”

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Foto di Muhammed Semih Ugurlu/Anadolu Agency via Getty Images.

Il report della NATO mostra che nel 2020, prima che i talebani riprendessero ufficialmente il controllo sull’Afghanistan, il 29 percento delle entrate del gruppo (ovvero 464 milioni di dollari) proveniva da estrazioni minerarie illegali; 416 milioni venivano invece dal traffico di stupefacenti, mentre altri 480 milioni da esportazioni, tasse e investimenti immobiliari.

Vanda Felbab-Brown, esperta di finanza alla Brookings Institution, spiega a VICE World News che non è facile ricostruire il flusso di denaro, in particolare quello proveniente dal Medio Oriente.

“I finanziamenti sono fondamentali per i talebani,” dice. “Determinano il peso di determinate fazioni all’interno del gruppo, e servono nelle contrattazioni interne. Gli Stati Uniti, d’altro canto, hanno cercato di contrastarli con operazioni di intelligence finanziaria senza riuscire però a fermarli del tutto.”

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Peters del CINTOC dice di avere le prove del fatto che i talebani ripuliscano i loro soldi persino negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Alcune indagini dell’Onu hanno scoperto che la “hawala —un sistema di trasferimento di denaro che si avvale di intermediari—è ampiamente praticata dai talebani, ma il governo afghano la monitorava pochissimo. Le Nazioni Unite hanno insistito a più riprese sulla necessità di ottenere più informazioni sui conti bancari talebani, l’hawala e i facilitatori finanziari.

Qualcosa è stato fatto, ad esempio con l’istituzione dell’Afghan Threat Finance Cell che—sotto la giurisdizione del Dipartimento del Tesoro e di quello della Sicurezza americani—doveva controllare i finanziamenti ai talebani. Ha svelato diversi casi di corruzione, scoprendo legami tra i talebani e il precedente esecutivo. Eppure, ribadisce Peters, i controlli non sono stati sufficienti.

“In uno sforzo bellico che è stato segnato più dai suoi fallimenti strategici che dai suoi successi, uno dei più gravi è stata la mancata comprensione di come i talebani si procurino denaro, dove lo nascondano e come lo usino,” dice. “È stato un fallimento totale e devastante per l’intelligence degli Stati Uniti e degli alleati.”

Haroun Mir, direttore del Center of Research and Policy Studies dell’Afghanistan, ha confidato a NPR di aver chiesto al ministro degli esteri del Bahrain cosa si potesse fare per interrompere il flusso di denaro dai paesi del Golfo ai talebani. Il ministro ha risposto che non c’era “alcun meccanismo nella regione che regolasse e registrasse le donazioni.”

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La cattiva notizia per i talebani è che le loro finanze vanno bene per un gruppo di insurrezionalisti, ma non per un’istituzione governativa. Diversi analisti ritengono che gli stessi metodi di gestione del denaro che li hanno alimentati finora potrebbero non bastare più. Felbab-Brown sostiene che le donazioni private arrivano finché è in corso una ribellione, ma non quando devi governare uno stato.

I talebani sono noti per gestire un sistema intricato in cui raccolgono tasse da qualsiasi cosa, compresi i convogli di soccorso che entrano nel paese dall’estero. Alcune persone hanno raccontato che all’aeroporto di Kabul i rappresentanti talebani avrebbero estorto denaro alle persone che cercavano di salire sugli aerei.

“I talebani hanno esperienze limitate con i sistemi finanziari internazionali,” spiega Felbab-Brown. “Sono un po’ più esperti nel nascondere soldi in conti bancari o nel trovare scappatoie fiscali di vario tipo. Molti dei loro affari avvengono comunque tramite contante. Non hanno grandi conoscenze delle politiche macroeconomiche dell’Afghanistan, né quelle per gestire una banca centrale.”

Dopo essere fuggito da Kabul mentre i talebani prendevano il sopravvento della città, l’ex capo della Banca Centrale ha scritto in un articolo che i fondi delle casse statali non compensano minimamente gli aiuti internazionali che hanno tenuto in piedi l’Afghanistan per decenni. Ha poi aggiunto che le indiscrezioni secondo cui Cina, Russia e Pakistan starebbero investendo nel paese potrebbero non essere del tutto fondate.

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“Se anche questi investimenti fossero reali, non possono sostituire il potere economico dei principali finanziatori,” ha scritto. “I talebani devono negoziare con questi enti se vogliono accedere a risorse internazionali o ricevere donazioni. Richiederà adesione a standard globali governativi e di accesso all’educazione per le donne, tra le altre cose.”

Se l’economia dell’Afghanistan dovesse peggiorare, a soffrirne le conseguenze peggiori sarebbero ovviamente i cittadini. Le nazioni del G7 dibattono se riconoscere i talebani o sanzionarli a livello internazionale; legittimarli, ha detto il presidente americano Joe Biden, vorrebbe dire “aiuti aggiuntivi in termini di assistenza economica, commercio e altro.”

Felbab-Brown dice che legare gli aiuti al solo rispetto dei diritti umani è però “una fantasia,” perché “non succederà.” Questi dovrebbero infatti essere elargiti a patto che vengano rispettate precise condizioni.

“Anziché rimuovere le sanzioni in un colpo solo, bisogna sbloccare solo una parte dei soldi del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale per ottenere specifiche politiche da parte dei talebani,” spiega.

“I talebani sopravviveranno alla pressione e all’isolamento,” conclude. “Ma in un paese già devastato dalla povertà e dalla malnutrizione, le sanzioni colpiranno solo la gente comune.”

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