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Musica

Kaan Wafi, il producer siriano che suona in nome dei rifugiati

"Pieces From Exile" racconta la crisi siriana e la vita dei profughi la cui casa è lontana, assente, devastata.

Dal 2011, la guerra civile in Siria ha fatto sì che milioni di siriani fuggissero dal proprio Paese, rifugiandosi in Libano, Giordania, Turchia e nei Paesi dell'Unione Europea. Il regime di Bashar al-Assad ha provocato attacchi brutali ai civili in seguito alle rivolte della Primavera Araba, e la guerra ha mietuto migliaia di vittime, destabilizzato le infrastrutture e costretto milioni di siriani a rischiare il proprio futuro in fughe incerte verso campi per rifugiati strabordanti.

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Kaan Wafi, un musicista siriano che produce musica ambient, vive a Berlino da due anni e mezzo ed è una delle moltissime persone che—da quando il cancelliere Angela Merkel ha invitato l'Europa ad aprire le frontiere e garantire asilo ai rifugiati—si sono sistemate in Germania. A Berlino, Kaan ha trovato una comunità di artisti espatriati ed ha iniziato a collaborare con artisti visuali e musicisti, suonando in campi profughi e centri culturali, quando può.

A settembre, Kaan si è autoprodotto un album, Pieces From Exile, che mescola musica tradizionale siriana con beat che ricordano Dilla e jazz. Similmente a progetti come l'antologia Syria Speaks, pubblicata nel 2014 da Saqi Books, che raccoglieva lavori di circa cinquanta artisti e scrittori siriani, Kaan ha prodotto Pieces From Exile per raccontare i propri sentimenti di sgomento e parlare delle atrocità commesse dal regime di Assad. "Volevo raccontare le storie di chi abbiamo perso sotto i bombardamenti di Assad e di quelli che abbiamo perduto in mare, mentre attraversavano il Mediterraneo in cerca di una vita migliore," ci ha raccontato Kaan. "Le storie di chi non trova il suo posto né in Siria né nei Paesi in cui cerca rifugio non trovando nemmeno accesso all'educazione o alle cure mediche."

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Il disco è in gran parte strumentale, combina i suoni tradizionali della musica oud con tastiere e beat downtempo. La costruzione sonora è cupa, meditativa, distorta, apre le porte a sensazioni di speranza, di provocazione. Una traccia in particolare, intitolata "Tyrant's Shore," fa il paio con un'altra, "German Lesson," nell'illustrare le sensazioni contrastanti che i rifugiati provano nei confronti del concetto di "casa". E come in Syria Speaks, Kaan raccoglie anche altre voci: sample di attivisti che parlano durante le proteste e di interviste fanno incursione all'interno delle strumentali. Dà i brividi sentire la voce dell'attivista per i diritti umani Razan Zaitouneh che risponde a una domanda riguardante la sua sicurezza dicendo: "Non ho più paura per me stessa. La morte è diventata una cosa normale per noi siriani."

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L'album è uscito in vinile, con 25 cover dipinte ognuna da un artista diverso, ispirate da un famoso mosaico di Damasco, in omaggio a una comunità distrutta che tenta di ricostruirsi. In occasione dell'uscita dell'LP a settembre, c'è stata un'esibizione alla BOX Freiraum gallery di Berlino, e Kaan Wafi ha annunciato che tutti i proventi del disco sarebbero andati ai White Helmets, un'unità siriana di protezione civile in cui volontari assistono le vittime dei bombardamenti.

Kaan Wafi è uno pseudonimo. Non ha intenzione di rivelare il suo vero nome, né di raccontarci dettagli della sua storia o qualsiasi informazione personale che possa avere conseguenze sui suoi familiari che vivono in Siria. Siamo comunque riusciti a fargli un paio di domande sull'album, sulla situazione in Siria e sulla diaspora, così come raccontata da molti artisti a lui affini.

Noisey: ci racconti del tuo background musicale e dei tuoi progetti precedenti a questo?
Ho studiato pianoforte, non proprio al conservatorio, ma con un insegnante a casa. Dato che mia madre ha un'ossessione per Chopin, mi ha spinto ad avvicinarmi alla musica classica. Ho sempre improvvisato e composto cose mie, il che irritava molto il mio insegnante di piano. Anche Mozart e Chopin improvvisavano, però! Ora continuo ad amare la musica classica, ma mi sono spostato verso il jazz perché ha molti meno limiti strutturali. Suono anche la chitarra e sto imparando a suonare l'Oud. Pieces From Exile è la mia prima release.

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Cosa ti ha ispirato a scrivere questo disco?
Mi hanno ispirato gli attivisti, i poeti, i registi, gli artisti siriani che usano la loro arte per combattere la tirannia e l'oppressione. Volevo raccontare le storie di chi aveva perso la vita sotto ai bombardamenti di Assad, e di chi l'aveva persa mentre attraversava il Mediterraneo in cerca di una vita migliore. Storie di chi non ha una casa in Siria, non ha una casa fuori dalla Siria e non può godere di cure mediche e diritto all'istruzione. Un'altra fonte di ispirazione è stato il libro Syria Speaks: Art and Culture from the Front Lines (di Malu Halasa, Zaher Omareen e Nawara Mahfoud). È un attestato del coraggio, della creatività e della fervida immaginazione del mio popolo. Un incredibile progetto e un'interessante lettura.

Mi hanno anche ispirato parecchio i filmmaker e attivisti che hanno documentato la situazione sotto al regime di Assad. Basel Shehadeh era uno di loro. È stato ucciso durante un assalto al quartiere di al-Safsafa ad Homs. Lavorava per le Nazioni Unite a Damasco e studiava regia negli Stati Uniti. Riposi in pace. Anche il produttore (e mio amico durante il mio esilio berlinese) Orwa Neyrbiyeh e il regista Talal Darki, che ha girato Return to Homs, uno dei documentari più importanti sulla rivoluzione. E un filmmaker come Wiam Simav Bedirxan, che ha co-diretto il documentario Silvered Water, anch'esso prodotto da Orwa.

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Se volete farvi un'idea di cosa sta succedendo in Siria, dovete seguire The 47th, che stava anche nella lista che il Washington Post stilò degli account Twitter da seguire per capire la condizione siriana. È anche mio cugino, e c'è una traccia dedicata a lui nel disco.

"I wanted to tell the stories of those we lost under Assad's barrel bombs and the ones who drowned while crossing the Mediterranean for a better life."

Nell'album c'è un misto tra musica tradizionale e hip-hop strumentale downtempo. Quali sono le tue influenze musicli?
I miei musicisti preferiti, tra quelli che suonano l'Oud sono Munir Bashir e Nasser Shamma. Ascolto anche un sacco di music dall'Angola, come Artur Nunes e os kiezos, e mi piace tantissimo Fela Kuti, che è impegnato anche politicamente e per i diritti umani. Altri musicisti che mi influenzano parecchio sono Art Tatum e Bill Evans e alcuni pianisti jazz. E amo Dilla, Aphex Twin e badbadnotgood.

Hai collaborato con altri musicisti? Da dove vengono i sample vocali che hai usato? La traccia "Für Razan" è dedicata a Razan Zaitouneh, un'attivista e avvocato dei diritti umani che è stata rapita dal regime di Assad. Ha vinto, nel 2013, l'International Women of Courage Award. Nello stesso anno è stata rapita insieme ad altri tre attivisti, da membri di un gruppo armato nella città di Douma. Non si sa ancora nullla di cosa le sia successo. Il sample che ho usato viene dalla sua ultima intervista prima del rapimento. Alla fine dell'intervista, il segnale si perde e il reporter dice "A quanto pare abbiamo perso Razan Zaitouneh."

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La seconda traccia del disco si chiama "Salam, to Simav." Il 15 marzo di quest'anno ero a una manifestazione per il quarto anniversario della rivoluzione siriana, qui a Berlino, e ho registrato la voce di questo ragazzo che cantava. Sono tornato a casa, ho creato il sample e ci ho suonato sopra. Il giorno dopo Raman è venuto a casa mia e ci ha suonato un po' di oud sopra. Ma ho tenuto la registrazione originale perché era più grezza. Raman è uno scrittore, attivista, e suonatore di Oud siriano. Spesso suoniamo insieme a concerti che teniamo fuori e dentro ai campi rifugiati.

Parlami della mostra che ha accompagnato l'uscita dell'album.
La mostra "Pieces From Exile" al BOX Freiraum di Berlino conteneva lavori di qualche artista siriano. In un quadrato al centro del posto c'erano i 25 lavori che hanno fatto da copertina al mio LP, questi lavori sono stati ispirati da un mosaico molto famoso di Damasco, che ora è al Metropolitan Museum of Art di New York. Volevamo dare l'idea di come le reliquie—frammenti traslati o "esiliati" di una cultura e comunità che rischiano di andare distrutte—possano formare un nuovo scenario. L'immagine originale è frammentata, mentre i lavori che la ricreavano la completavano. L'artwork è stato creato alla Berlin Weißensee School of Art in collaborazione con l'iniziativa per rifugiati kommen & bleiben. Altri lavori fotografici, così come quelli letterari, sono inclusi nel libretto dell'LP, in inglese e in arabo.

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All'inaugurazione ho suonato con un muro tra me e il pubblico. La performance doveva andare in parallelo con l'ascolto delle notizie di ciò che stava succedendo in Siria mentre io ero lontano, come una presenza astratta. I proventi della vendita dei primi 25 LP sono andati tutti ad organizzazioni che si occupano di aiutare i rifugiati siriani. L'ultima copia del disco è stata acquistata proprio dal BOX Freiraum per aiutare Wiam Simav a edificare una scuola nella città siriana di Idleb.

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Le Nazioni Unite, secondo te, come stanno gestendo questa crisi?
Mentre le Nazioni Unite sono impegnate ad esprimere la loro "profonda preoccupazione" e il loro "disappunto" riguardo ai profughi siriani, la comunità internazionale non ha fatto molto per risolvere il conflitto in atto e opporsi al regime di Assad. Siamo frustrati e abbattuti dopo tutte le promesse vuote e la mancanza di prese di posizione da parte della comunità internazionale nei confronti di questo bagno di sangue. Non è assolutamente positivo. Si tratta di opporsi a un tiranno che non ha intenzione di andarsene dal suo posto ed ha il supporto dei russi e degli iraniani. Uno che ha anche dato a un parco il nome del padre dell'attuale dittatore nordcoreano, Kim Il-sung.

Dal punto di vista umanitario, sembra che l'Europa si stia rendendo conto che è il momento di aiutare i rifugiati siriani, soprattutto dopo le immagini che giravano qualche tempo fa in cui corpi di bambini venivano trasportati fino a riva. I Paesi coinvolti da vicino non possono più reggere la crisi da soli. Il Libano, che conta un totale di 4 milioni di abitanti, ha ammesso circa un milione e mezzo di siriani—più del 30% della propria popolazione! Le Nazioni Unite a quanto pare "non hanno più soldi" e l'UNHCR (L'agenzia per rifugiati delle NI) non ha più fondi, così la vita all'interno dei campi è impossibile.

Secondo te i media coprono in maniera esaustiva la situazione siriana?
[Il trenta ottobre] c'è stato un incontro dei leader mondiali nel bell'Imperial Hotel di Vienna, in cui si è discusso della situazione in Siria (per la cronaca, non c'era nemmeno un siriano a quel tavolo). Lo stesso giorno, Assad ha bombardato un mercato nella città di Douma, uccidendo 67 persone. Ne avete sentito parlare? Non credo. Questi massacri non arrivano nemmeno ai trafiletti dei giornali. Il maggio del 2015 è stato il mese più sanguinoso dell'anno, in cui sono morte quasi 7000 persone, secondo i gruppi locali, principalmente per massacri legati al regime di Assad. Nello stesso mese una specie di uccelli ha rischiato l'estinzione perché l'ISIS ha attaccato la regione in cui si trovavano questi volatili, e questa è stata la notizia riportata dai media. Entrambe queste forze si sono alzate contro la rivoluzione, ma per potersi liberare dell'ISIS o per contenere la crisi dei rifugiati è necessario occuparsi prima del dittatore.

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