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I governi di Egitto ed Eritrea sono complici nel traffico di esseri umani?

Dal 2010 più di 25.000 migranti sarebbero stati rapiti dai trafficanti di Sudan ed Eritrea, portati nel Sinai e torturati nella speranza di estorcere un riscatto alle famiglie. E ovviamente, una tratta di tali dimensioni non può esistere senza la...

"Awet" mostra le ferite.

Erano passati quattro giorni da quando aveva lasciato il Sudan, nascosto da coperte sul sedile posteriore di un fuoristrada. Cinque, da quando l'avevano incatenato agli altri all'ombra di un albero. Otto giorni da quando, entrato in Sudan dall'Eritrea, era stato arrestato dalla polizia e venduto ai trafficanti. La notte precedente avevano dormito vicino al Nilo, ma ora erano di nuovo in marcia, da qualche parte in Egitto. Devo omettere il vero nome di quest'uomo per la sua sicurezza personale, per cui lo chiamerò Awet.

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I due fuoristrada trasportavano 17 prigionieri e procedevano spediti, ma mentre passavano il confine, Awet ha alzato un po' la coperta. Ha visto un ufficiale egiziano in uniforme che faceva segno di procedere. Lui e gli altri prigionieri erano già stati rapiti, incatenati, picchiati e affamati, ma il peggio doveva ancora venire.

Il convoglio che trasportava Awet ha raggiunto nella notte la costa orientale dell'Egitto. I prigionieri, incatenati l'uno alla caviglia dell'altro, sono stati costretti camminare nell'acqua e fatti salire su una barca. Tra loro c'era anche una bambina piccola: sua madre era troppo debole per trasportarla, così Awet se l'è caricata sulle spalle.

Dopo sei ore di navigazione sono arrivati al Sinai. Lì hanno camminato nell'acqua per circa un chilometro-sempre incatenati-fino alla riva, dove sono stati fatti salire a bordo di fuoristrada. Li hanno condotti in una casa, dove stati venduti ad altri compratori. Awet e altri cinque sono poi stati condotti in un altro edificio, bendati, ammanettati e costretti ad ascoltare le grida e i gemiti di sofferenza di altre persone intorno a loro. C'erano già altri otto prigionieri.

Quello di Awet non è un caso isolato; stando a un'indagine dell'Università di Tilburg, dal 2010 più di 25.000 persone sono state rapite dai trafficanti di uomini in Sudan e in Eritrea, portate nella penisola del Sinai e torturate nella speranza di estorcere un riscatto alle loro famiglie. Spesso vengono torturati mentre i parenti ascoltano al telefono, una tecnica utilizzata per assicurarsi che il riscatto venga pagato in fretta. È una tratta redditizia; secondo la sopracitata indagine, si stima che negli ultimi tre anni il giro d'affari sia ammontato a 440 milioni di euro.

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Ho intervistato Awet a dicembre per conto di Human Rights Watch, che ha appena diffuso un rapporto basato su 37 interviste a vittime del traffico di esseri umani. Undici degli intervistati hanno segnalato 19 casi di collusione con i trafficani da parte della polizia o dell'esercito egiziano. Molti hanno anche denunciato il coinvolgimento delle guardie di frontiera sudanesi, famose per l'abitudine ad arrestare i rifugiati provenienti dall'Eritrea per poi venderli ai trafficanti.

Già prima della diffusione del rapporto si sospettava che una tratta di tali dimensioni non potesse esistere senza la connivenza delle autorità. E infatti, di recente, un trafficante di nome Abu Faris ha raccontato a un giornalista di aver pagato gli ufficiali doganali perché facessero finta di niente.

"Trasportiamo immigrati irregolari dalla frontiera tra Egitto e Sudan fino al Ponte della Pace e al Tunnel Ahmed Hamdi a Suez, pagando cospicue tangenti lungo la strada," ha detto. "Poi li chiudiamo in un magazzino e offriamo loro cibo in cambio del denaro extra che abbiamo dovuto sborsare per le tangenti necessarie a fargli passare il confine."

Lunedì, in un'intervista telefonica, un portavoce del Ministro degli Esteri egiziano ha negato qualsiasi coinvolgimento di ufficiali di frontiera egiziani nel traffico di esseri umani. Ha detto che le dimensioni di tale tratta si sono ridotte di molto dal luglio 2013 quando, dopo grandi proteste di piazza, ha preso il potere un governo supportato dai militari che ha subito aumentato il controllo sul Sinai e sui confini nazionali. Le vie del contrabbando sono usate anche per il traffico di armi e droga, ha detto, e di conseguenza costituiscono un rischio per la sicurezza nazionale e devono essere sorvegliate.

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Eppure, secondo l'attivista Meron Estafanos-che monitora la tratta dalla sua base in Svezia-a partire dal novembre 2013 il numero delle telefonate che riceve ha cominciato lentamente ad aumentare.

Secondo varie fonti, prima del cambio di governo e del conseguente giro di vite che questo ha comportato, le forze di sicurezza conoscevano l'ubicazione di molte delle case di tortura, ma non sono mai intervenute. Nel 2012, ad esempio, una ONG del Cairo e alcuni abitanti della zona contrari al traffico di esseri umani hanno fornito alla polizia le posizioni delle case di tortura, ma questa non ha preso alcuna iniziativa. "Non possiamo fare nulla al riguardo. Quell'area è sotto il controllo di gruppi paramilitari ben armati. La polizia non può entrare," ha detto un ufficiale. Mentre i Servizi Segreti Generali, l'equivalente egiziano della CIA o del MI6, hanno detto di avere "altre priorità".

Nel giugno del 2013 alcuni abitanti del posto, esasperati dalla situazione, hanno preso l'iniziativa, organizzando veri e propri assalti armati contro alcune delle case di tortura. Da allora, le autorità insistono nel dire di aver preso provvedimenti.

Durante il periodo di prigionia, Awet veniva svegliato ogni mattina alle cinque e pestato a sangue. Ma è stato fortunato. È un uomo socievole e cordiale, con molti amici e una grande famiglia con contatti all'estero che nel giro di un mese è riuscita a raccogliere i 33.000 dollari chiesti come riscatto dai suoi rapitori e a trasferirli a un intermediario in Arabia Saudita. Altri, meno fortunati di lui, non possono pagare, e spesso muoiono per le torture ricevute.

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"Ogni tanto, la notte, portavano un cadavere coperto da un lenzuolo e ce lo mostravano," mi ha detto Awet. "Dicevano: 'guardate-l'abbiamo ucciso perché non ha pagato.' Poi ci ordinavano di seppellirlo perché non andasse in putrefazione."

Altre vittime ricordano di essere state tenute in cella per giorni insieme a dei cadaveri o essere state costrette ad abbracciare dei corpi.

Nelle testimonianze dei sopravvissuti ricorrono alcuni temi: le torture con l'elettricità, gli stupri, le bruciature con fuoco e plastica rovente, le frustate e i pestaggi. Alcune delle vittime raccontano di essere state appese al soffitto per i polsi, con le braccia legate dietro la schiena.

"Mi hanno appeso tre volte e ora ho perso l'uso delle braccia. È difficile vivere senza poter usare le braccia," ha detto una di loro ai ricercatori.

Awet è riuscito a tornare al Cairo, dove sta aspettando che l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati esamini la sua domanda di risarcimento. Non è più in grado di lavorare e vive con altri sopravvissuti grazie a un sussidio di circa 42 euro al mese. Molti di loro hanno gravi problemi psicologici e vivono nel terrore di essere ricatturati dai trafficanti, che hanno degli informatori nella comunità dei profughi eritrei e minacciano chiunque parli con la stampa.

Anche se è gestita da bande criminali, nella tratta sono coinvolti anche esponenti dello stato, e questo ad ogni passaggio e livello. Come altri rifugiati, Awet ha lasciato l'Eritrea dopo essere stato costretto a 16 anni di leva forzata in una delle nazioni più povere e più militarizzate del pianeta. I vertici delle gerarchie militari eritree sono profondamente coinvolte nella tratta. Secondo la Commissione di Vigilanza su Somalia ed Eritrea del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, infatti, in molti casi i riscatti sarebbero stati pagati a diplomatici eritrei di stanza all'estero.

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Il rapporto del 2013 dichiara quanto segue: "la Commissione di Vigilanza ha anche esaminato una testimonianza riguardante i riscatti che sarebbero stati pagati direttamente a ufficiali eritrei. In un caso specifico, un cittadino eritreo residente in Germania è stato costretto a raccogliere circa 9.000 dollari tra parenti e amici per pagare il riscatto di due suoi cugini rapiti nel 2011 nella zona del Sinai, in Egitto, quando, dopo essere scappati dall'Eritrea, erano finiti in una carovana di traffico umano in Sudan. I soldi vennero dati a un membro della famiglia in Eritrea, che li consegnò poi in contanti a un ufficio di sicurezza governativo ad Asmara."

I grandi cambiamenti avvenuti in Egitto potranno anche aver rallentato, per ora, le fabbriche della tortura nella zona del Sinai-dove, secondo quanto dicono alcuni abitanti della zona, i civili vengono continuamente danneggiati dall'attività dei gruppi islamici radicali-ma i ricercatori temono che queste possano riapparire altrove, o persino nello stesso luogo, una volta che la campagna contro questi gruppi sarà cessata.

Ma per le vittime dei traffici salvate dalle autorità lo strazio è ben lontano dalla fine. Una volta liberati, vengono imprigionati di nuovo nei commissariati di polizia egiziani. Al momento, non solo all'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati viene negata la possibilità di vedere le vittime del traffico, le autorità richiedono anche che queste siano in possesso dei soldi necessari a pagare il volo per l'Etiopia (paese che accetta i rifugiati eritrei) come condizione per il rilascio, una versione un po' meno orribile e costosa delle richieste dei trafficanti.

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Ho suggerito al portavoce del Ministro degli Esteri che l'Egitto dovrebbe perlomeno consentire prontamente a queste persone di andare in Etiopia, se è questo ciò che esse vogliono. Il portavoce mi ha risposto con un appello alle agenzie internazionali e ai governi degli altri Paesi, perché contribuiscano a finanziare la procedura. "Bisogna essere in due per ballare il tango," ha detto.

Awet è forte. Sento che riuscirà a costruirsi una nuova vita, una volta che se ne sarà andato dall'Egitto. Ma il dolore che ho visto sul volto di un suo giovane amico, torturato più duramente e per più tempo, resterà per sempre con me. A più di un anno di distanza dalla sua liberazione, è ancora sconvolto: sempre spaventato e preoccupato, anche quando si trova al sicuro.

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