FYI.

This story is over 5 years old.

A10N1: Skammerz Ishu

Temporanei a tempo indeterminato

All'inizio il 'raitero' era, semplicemente, colui che ti dava un passaggio per andare al lavoro. Oggi invece è la persona da cui dipendono i lavoratori temporanei americani, l'anello più basso della grande catena della distribuzione.

Little Village, Chicago, 4 e 30 della mattina: un uomo è in attesa del van che lo porterà al lavoro. Foto di Jackson Fager.

Una mattina di ottobre, prima dell’alba, sono rimasto ad ascoltare il rombo di un van Ford Econoline 15 posti interrompere il silenzio del Little Village, il quartiere di Chicago che ospita la più grande comunità messicana del Midwest. Mi trovavo lì a quell’ora assurda per assistere al trasbordo dei lavoratori a termine, raccoltisi in attesa di un passaggio in furgoncino alla volta dei depositi.

Pubblicità

I raitero, come sono chiamati gli autisti di questi mezzi, non sembravano particolarmente felici della nostra presenza. Vedendoci avvicinare uno di loro è partito a tavoletta, allontanandosi in fretta e furia. Poco dopo è ricomparso e si è fermato a un altro incrocio, prelevando le stesse persone che aveva lasciato a terra e che nel frattempo si erano spostate di qualche metro più avanti. Anche allora, mentre faceva salire i passeggeri, l’autista si è rifiutato di parlare con noi.

Ogni mattina, alle 4.30, una piccola flotta di furgoncini bianchi sciama verso la periferia incontro alla forte domanda di impieghi temporanei, rischiosi e poco retribuiti. Per ottenerli ci si può rivolgere alle agenzie, ma è meglio conoscere un raitero.

Sono loro a tenere in mano le redini del gioco, a decidere come e chi reclutare. Per i tanti lavoratori clandestini di Chicago e delle zone limitrofe, è questo il grado di dipendenza dal raitero. Nonostante le apparenze raitero non è una parola spagnola, ma il risultato della combinazione tra l’inglese ride e lo spagnolo ero, il suffisso che indica chi svolge la professione. Si pronuncia ride-ero e ha fatto il suo ingresso nel vocabolario lavorativo americano durante la Seconda Guerra Mondiale, quando gli agricoltori dell’America Centrale migravano in California per lavorare nella fertile Central Valley. Il raitero era, semplicemente, colui che ti dava un passaggio.

Pubblicità

Da allora il significato della parola si è evoluto. Per Isaura Martinez, 47enne madre di tre figli, il raitero non è solo un autista, ma anche il suo datore di lavoro, il riscossore della sua paga e, a volte, una fonte di scocciature. L’esperienza tipo di Isaura con i raitero può parlare per tutti i suoi colleghi: prima dell’alba si fa trovare al parcheggio e sale sull’affollato van del raitero. Un’ora dopo è in periferia, e lì passerà la sua giornata a sistemare confezioni di cioccolatini, svuotare scatole di abbigliamento intimo, incollare etichette sulle casse di pelouche Beanie Babies o, ancora, scaricare container.

Alla fine del lavoro lsaura ha la schiena a pezzi e i crampi alle mani. Un’altra ora nel van e sarà a casa, con un pugno di dollari in tasca e la consapevolezza che il giorno dopo dovrà ripetere tutto da capo. Prende il minimo sindacale, che in Illinois corrisponde a 8 dollari e 25 l’ora. Il raitero guadagna 8 dollari per persona al giorno, e le impone di non prendere altri van al di fuori del suo. Tra i due vige una specie di accordo esclusivo: il raitero controlla dove lavora e come ci arriva. Tolta questa spesa, la paga di lsaura ammonta a circa 58 dollari a turno.

In Illinois quello che fanno i raitero è illegale, ma la pratica continua a esistere, principalmente perché Isaura, come tanti nella sua stessa situazione, non ha altra scelta.

“I più non immaginano nemmeno lontanamente quello che ci vuole perché possano avere un prodotto, quanto si soffre dentro,” mi ha spiegato durante una chiacchierata nel suo appartamento interrato di North Lawndale. Il “dentro” a cui si riferisce sono i magazzini industriali che fanno da nodo per la catena di distribuzione internazionale, quelli che riforniscono gli scaffali di Walmart e rispondono a milioni di ordinazioni da tutto il paese. Sono i magazzini a cui arriva col van del raitero.

Pubblicità

Isaura Martinez è una lavoratrice temporanea di 47 anni di Chicago. Dopo aver pagato il suo raitero, guadagna 58 dollari a turno.

È probabile che abbiate visto almeno qualche foto di questi edifici contorti. Nelle periferie se ne costruiscono sempre di più, a colmare ogni spazio rimasto lungo l’ingarbugliata rete di svincoli interstatali. Nell’Inland Empire della California meridionale, a un’ora da Los Angeles, i magazzini vengono edificati nelle zone un tempo occupate da agrumeti e caseifici. A Chicago prendono il posto delle fabbriche, un chiaro promemoria della transizione americana da un’economia basata sulla produzione a una basata sul consumo. All’uscita 7A della New Jersey Turnpike, su quelli che un tempo erano campi di grano, Amazon sta costruendo due depositi, ognuno di un’area superiore ai 245mila metri quadrati. Saranno il centro nevralgico del nuovo servizio di consegna di prodotti alimentari AmazonFresh. La topografia degli spazi extracittadini sta mano a mano trasformandosi in base ai nostri desideri di consumo. Le navi attraccano nei porti per scaricare sempre più magliette, complementi d’arredo e giochi, e i depositi si moltiplicano in numero e dimensioni. Con loro, cresce anche l’invisibile esercito di lavoratori costretti a orientarsi in un mondo dickensiano fatto di agenzie interinali poco trasparenti, raitero, superiori non sempre onesti e dirigenti assetati di profitti.

Pubblicità

Isaura va avanti così da tre anni, ma non è mai sicura se il giorno successivo lavorerà ancora. “Il raitero ti dice, ‘Preparati che vengo a prenderti, c’è del lavoro per te,’ magari ti parla di un certo posto con una certa agenzia, ma alla fine può sempre cambiare idea e portarti altrove.” Dal momento che non sa quale sarà la sua destinazione, Isaura porta sempre con sé i tre tesserini delle varie agenzie. (Una si chiama MVP, un acronimo per Most Valuable Personnel.)

Essere pagati è qualcosa di persino più complicato e miserabile. I depositi si affidano a più agenzie, e a Isaura può capitare di lavorare in un posto senza sapere chi dovrà darle lo stipendio. E se non tiene il conto delle ore di lavoro, l’agenzia potrebbe pagarla persino meno del dovuto.

Il raitero di Isaura controlla anche questo aspetto. Alla fine di ogni settimana raccoglie gli assegni dall’agenzia e va a incassarli, e dopo aver ottenuto la sua firma deduce la tariffa per il trasporto. In Illinois non è legale, ma Isaura non ha alternative. Guadagna 280 dollari a settimana, la paga media degli occupati del settore.

I lavoratori temporanei si aggrappano all’anello più basso della grande catena della distribuzione, un termine ombrello usato per descrivere un vasto sistema di navi cargo, rotaie, camion e depositi che trasferiscono le merci ai felici consumatori—il tutto, ovviamente, al minor prezzo possibile. I rivenditori appaltano a società di stoccaggio, che assumono dipendenti a tempo pieno, camionisti, fattorini e office manager e a loro volta subappaltano i lavori meno qualificati, come l’etichettatura della merce, ad agenzie interinali. Queste agenzie, alcune delle quali sono società nazionali quotate in borsa, si procurano personale tramite i raitero.

Pubblicità

Stando ai dati riportati dall’American Staffing Association, per ogni giorno lavorativo del secondo quadrimestre del 2013 erano in media 2,96 i milioni di persone impiegate in maniera temporanea. Nel 2012, il Bureau of Labor Statistics ha riferito che in questa tiepida ripresa economica, i lavori temporanei sono aumentati dell’8,2 percento rispetto allo stesso quadrimestre dell’anno precedente. L’ASA non elabora statistiche precise sul numero di dipendenti impiegati nei magazzini, ma secondo le stime del Warehouse Workers’ United, un’organizzazione della California Meridionale che si batte per i diritti dei lavoratori temporanei, nella sola regione sarebbero 200.000.

Container in attesa al terminal Port Newark- Elisabeth, in New Jersey. Contengono beni arrivati negli Stati Uniti per essere redistribuiti e riconfezionati attraverso i magazzini.

Javier Rodriguez ha 38 anni e lavorava al NFI, un deposito di cross docking dell’Inland Empire, finché poi a maggio non è stato licenziato. Più del 75 percento delle merci che arrivano a Los Angeles passa per i depositi dell’Inland Empire, e in caso di cross docking non vi resta per più di 24 ore. Il ritmo di queste operazioni è impressionante. Javier dice di essere stato licenziato dopo il suo tentativo di inoltrare un reclamo per le condizioni di lavoro poco sicure. Nel corso dell’anno al NFI ha raccolto meno di 11mila dollari, e questo pur avendo lavorato praticamente ogni giorno.

Pubblicità

“Il danno non è solo fisico, ma anche emotivo,” mi ha raccontato nel suo ordinato appartamento della Juropa Valley, in California. Vive con la moglie e due bambini piccoli. Mi ha spiegato come i superiori “si arricchiscano col lavoro di persone molto povere e bisognose di un’occupazione. Approfittano perché noi abbiamo davvero bisogno di lavorare.” L’economia alla base del lavoro temporaneo quadra perfettamente. Le grandi compagnie non vedono l’ora di liberarsi della responsabilità e dei fastidi che il mantenimento della forza lavoro comporta, mentre le agenzie competono per fornire i contratti più economici. Quando tutto va secondo i piani, coi prezzi più bassi per il consumatore, sono i lavoratori temporanei a soffrire di più.

Per sua natura, il lavoro nei depositi è pericoloso e debilitante. In California, il caldo e la scarsa areazione all’interno di questi edifici rappresentano un vero problema. A Chicago le macchine confezionatrici hanno privato molte persone di qualche dito. E in tutto il Paese, i conflitti tra manager e lavoratori contribuiscono a rendere l’ambiente lavorativo ancora più pesante. Per usare le parole di Leone Bicchieri, direttore del Chicago Workers’ Collaborative, quando “i ratti litigano per gli scarti di formaggio” le cose si mettono davvero male.

Nel 1960, Edward R. Murrow e la CBS hanno prodotto il documentario The Harvest of Shame, che esplora le squallide vite dei lavoratori stagionali dell’agricoltura Il lavoro a termine e quello stagionale sono sempre stati un ingranaggio necessario dell’economia americana, e dall’epoca della messa in onda di The Harvest of Shame, la legislazione ha fornito le misure necessarie a garantire la tutela dei diritti degli immigrati non residenti.

Pubblicità

La via più semplice consisterebbe nel determinare chiaramente quando il lavoro temporaneo si trasforma in impiego a tempo pieno. I lavoratori temporanei dipendono da raitero e agenzie perché i depositi possono mantenerli in un limbo lavorativo per tutto il tempo che desiderano. Nelle vacanze, quando il lavoro aumenta, le società reclutano un maggior numero di lavoratori a termine. Alla fine però succede che i cosiddetti lavoratori temporanei vengano impiegati a quelle condizioni anche per il resto dell’anno, perché è più conveniente, e i datori di lavoro evitano di corrispondere determinati benefici come l’assistenza sanitaria o l’assicurazione d’indennizzo. Benvenuti nell’era del perma-temporaneo.

Rafael Sanchez nella sua casa di New Brunswick, in New Jersey: “Ho come l’impressione che rimarrò qui ancora per un po’.”

Una riforma dell’immigrazione o un progetto per lavoratori ospiti impiegati a termine potrebbero impedire questa forma di sfruttamento? Rafael Sanchez non è sicuro. È un immigrato 46enne e lavoratore temporaneo residente a New Brunswick, nel New Jersey. È arrivato in America 12 anni fa e ha lavorato in tutto il Paese. Mi ha detto che per quanto lo sfondo possa cambiare, la condizione è ovunque penosa.

Ci siamo incontrati in un vicolo cieco subito dietro i binari che portano i pendolari del New Jersey a Penn Station, New York. È lì che mi ha parlato della sua esperienza lavorativa: “Non mi posso lamentare delle agenzie, perché se ti serve lavoro puoi sempre andare lì. Al tempo stesso, però, approfittano dei lavoratori. Sanno che abbiamo bisogno di loro, e spesso non abbiamo la possibilità di batterci per i nostri diritti, perché se ci lamentiamo quelli si limitano a dire, ‘Bene, tu domani non lavori.’”

Rafael è convinto serva una riforma dell’immigrazione, ma nel parlarmi degli sforzi in quella direzione e di cosa comporta lavorare nel Paese si mostra estremamente pratico: “È meglio dipendere da un’agenzia che non fare nulla.” Ora che in New Jersey è passata la norma per l’aumento di un dollaro del salario minimo, Rafael guadagna 8,25 dollari l’ora.

Dopo la nostra chiacchierata mi ha chiesto se volevo vedere la sua casa, indicando un edificio rivestito in legno a poca distanza. L’ho seguito lungo il vialetto fino a un garage con due posti auto. Ero un po’ confuso, almeno finché non ho capito che era lì che viveva, nel garage—una stanza con pareti in cartongesso rammendate qua e là e lo spazio sufficiente per un letto e qualche scatolone.

Era una fredda sera di inizio novembre; gli ho chiesto come funzionasse durante l’inverno. “Ho vissuto in posti ancora più malmessi di questo,” ha risposto. “Ma ho come l’impressione che rimarrò qui ancora per un po’.”

Non è difficile criticare i meccanismi della domanda globale, ma alla fine ci dà ciò che vogliamo: un cappotto alla moda ma abbastanza economico da poterne comprare un altro l’anno successivo, senza doverci pensare troppo. Il raitero, l’agenzia e i magazzini senz’anima sono cattivi fin troppo facili da additare. Ma esaminato in un contesto più ampio, il sistema della nostra catena di distribuzione crea una classe di persone usa e getta tanto quanti i beni che consumiamo.

Altro dal numero: Il bus dei superflui