7 - HUGO WEBER - Maman t'es ou? 07
"Mamma. 2016." Tutte le foto per gentile concessione di Hugo Weber.
Cultura

Foto del difficile rapporto con mia madre, scattate dopo che un ictus le ha cambiato la vita

“Maman t’es ou” è la mostra in cui il fotografo Hugo Weber raccoglie scatti della madre, colpita da un ictus nel 2015.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

Nell’estate del 2015 il fotografo Hugo Weber, classe 1993, riceve una chiamata. È l’ex compagno della madre: “Tua mamma sta male, ha avuto un ictus.”

Weber, che si trovava a Berlino, prende il primo aereo per Milano con due consapevolezze. La prima è che il rapporto con la madre è da sempre molto complicato. La seconda è che, a quel punto, poco importa: un ictus è molto più grave, violento, importante. Ha appena scoperto che indica un danno o la morte di un tessuto cerebrale, provocati da un insufficiente afflusso di sangue al cervello.

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ictus mamma foto

"Mamma pochi giorni dopo l’ictus. 2015".

Cinque giorni prima di essere ricoverata, all’eta di 42 anni, Agnès Suzanne Gisèle Weber si reca dal medico perché ha forti giramenti di testa e vomita spesso. Lui le prescrive dell’aspirina e la rimanda a casa. Dopo due giorni torna e il medico le prescrive altri farmaci contro il dolore. “Al quarto giorno era fuori con un’amica, le è sfuggita una sigaretta dalle mani, ed è caduta nel tentativo di prenderla prima che toccasse terra,” racconta Hugo. “Il giorno successivo all’Ospedale San Paolo le hanno trovato un minuscolo grumo di sangue che le stava otturando una vena.”

Il lobo destro del suo cervello è stato intaccato, con una paralisi al lato sinistro del corpo. “La prima reazione che ho avuto è stata far finta che nulla fosse successo,” racconta Weber del primo incontro in ospedale. “L’ho trattata normalmente, ed è uno dei principali motivi che ci ha riavvicinati. Le persone intorno a lei cercavano di essere premurose e apprensive, risultando però opprimenti.”

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L’arrivo violento dell’ictus sconvolge tutti i piani. Circa un mese prima, la 42enne aveva lasciato il lavoro e il compagno e stava per tornare a Parigi, la sua città natale, dopo anni in Italia.

“È stata altri tre mesi in ospedale per imparare a stare in piedi, a camminare di nuovo, per poi continuare a fare fisioterapia,” spiega Weber. È in quel periodo che inizia a scattarle foto, anche per isolare alcuni momenti—come quello del test dell’orologio, nel corso del quale al paziente viene chiesto di disegnarne uno analogico per sondare le sue funzioni esecutive e i danni neurologici. “Ha disegnato dall’uno al sei in maniera perfetta, ma poi dal sei ha scritto fino al 24 perché ricordava che la giornata fosse di ventiquattro ore.”

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“[Farle le foto] è stato un modo per poter elaborare quello che stavamo vivendo, creare situazioni di contatto, prenderla anche un po’ in giro,” racconta il fotografo. “Mia mamma è sempre stata una donna molto indipendente, ha voluto che mi emancipassi presto, ma dopo che ha avuto l’ictus si è ribaltato tutto il nostro rapporto: per la prima volta mi ha chiesto aiuto. O meglio, mi ha fatto capire che le serviva.”

Secondo il Rapporto Ictus 2018, in Italia oltre centomila persone vengono colpite ogni anno da ictus, il 95 percento dai 45 anni in su. Circa “un terzo delle persone colpite non sopravvive a un anno dall’evento, mentre un altro terzo sopravvive con una significativa invalidità.”

Ad Agnès Suzanne Gisèle Weber è stata certificata una invalidità del 67 percento (insufficiente però in Italia a ottenere alcune agevolazioni previste dal 70 percento in poi, come l’assegno ordinario erogato dall’Inps).

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"Mamma e le difficoltà quotidiane. 2017."

Tra le varie foto scattate negli anni, Hugo preferisce quella in cui la madre è rasata e si tiene il seno: “Sembra perdere connotazione di età, sesso, quasi come se il corpo scomparisse. Aveva tagliato i capelli come segno di cambiamento, perché aveva deciso che quella volta sarebbe andata davvero via da Milano,” spiega. “Aveva finito i risparmi, ma non voleva più aiuto da me, l’ex o gli amici, perché per lei l’indipendenza era stata sempre fondamentale.”

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"Mamma si è rasata. 2018."

Oggi la madre è tornata in Francia, dove il sistema assistenziale le permette di essere molto più autonoma. Vive a Tolosa, in una casa “in cui è tutto a un’altezza che le permette di non piegarsi, e in cui ogni cosa è sempre al suo posto, perché deambulare richiede sempre uno sforzo non indifferente.”

Il progetto di Weber, che mi dice non avere ancora un titolo definitivo, sarà in mostra col titolo “Maman t’es ou” al Palazzo Rasponi 2 a Ravenna, dal 3 al 19 settembre 2021.

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Tra gli scatti del progetto ci sono anche “foto di archivio”, fotomontaggi e ritratti della madre da giovane, per lavorare sulla memoria danneggiata dalla malattia.

“Questa integrazione è stata un modo per valorizzare il lavoro di fotografa di mia madre, perché lei non ci aveva mai fatto niente e le immagini sono molto potenti,” racconta Weber. “Aveva un ottimo rapporto col suo corpo, si è tanto fotografata, le piaceva la rappresentazione del bello, che è un po’ l’antitesi del mio stile fotografico ma è anche d’impatto, se guardi il tempo che passa.”

Di fatto, la loro grande passione comune, la fotografia, è “diventa uno strumento terapeutico, per fare i conti con una nuova immagine della madre e della donna, e un modo per ricostruire un rapporto.”

Fino a quando continuerai a fotografare tua madre?, è l’ultima domanda dell’intervista. “Finché potrò,” risponde Weber.

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"Mamma, autoritratto. 1995."

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"Mamma e Andrea, il mio patrigno. 2001."

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"Me e mamma. 2016."

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"Mamma piange. 2016."

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"Mamma si fa la tinta. 2016."

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"Mamma ha mal di denti. 2016."

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"Mamma con aria pensante nella vasca. 2018."

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"Fisioterapista. 2017."

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