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In Arabia Saudita "non si va avanti, ma indietro"

La decapitazione di Laila Bint Abdul Muttalib Basim e la fustigazione pubblica del blogger e attivista Raif Badawi dimostrano ancora una volta che i diritti umani in Arabia Saudita sono tutt'altro che una priorità.

Da qualche giorno su internet circola un video particolarmente cruento che mostra la decapitazione pubblica di una donna avvenuta alla Mecca in settimana. È la settima esecuzione capitale portata a compimento dalle autorità saudite dall'inizio del mese (a cui se ne aggiungerebbero due negli ultimi giorni) e sembra suggerire che per l'Arabia Saudita il 2015 sarà un anno ancora più sanguinoso del precedente. Nel 2014, le esecuzioni erano state 87.

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Il video mostra Laila Bint Abdul Muttalib Basim, una donna birmana residente in Arabia Saudita, venire trascinata per la strada tra le urla. Quattro agenti di polizia la tengono ferma mentre il boia, che brandisce una spada, la decapita con tre colpi. Nella registrazione si sente Basim—che era stata giudicata colpevole di aver molestato e ucciso la figliastra di sette anni—affermare la propria innocenza fino all'ultimo. "Non l'ho uccisa io. Non l'ho uccisa io," urla più volte.

In un comunicato comparso sul sito ufficiale del Ministero dell'Interno saudita si legge che la pena di morte, eseguita in modo così brutale, era stata comminata per via dell'"enormità del crimine," per "garantire la sicurezza" e "ristabilire la giustizia."

"[Tale punizione] esegue la legge di Dio contro tutti coloro che attaccano gli innocenti e ne versano il sangue. Il governo avvisa quanti commetteranno crimini simili che li aspetta una punizione proporzionata," si legge nel comunicato.

Il sistema legale saudita si basa su una rigidissima interpretazione della Sharia, e comprende una lunga serie di punizioni corporali. La pena di morte è prevista per vari reati, tra cui la rapina a mano armata, i reati collegati alla droga, la stregoneria, l'adulterio, l'omicidio e lo stupro. Anche se molti nel paese considerano la decapitazione il metodo più umano per applicare la pena di morte, essa può essere eseguita anche tramite lapidazione, crocifissione e fucilazione.

L'esecuzione di Basim arriva in un momento in cui le autorità saudite sono già sotto i riflettori per la fustigazione pubblica di Raif Badawi, un blogger e attivista politico condannato a dieci anni di carcere e a 1000 frustate per reati che comprendono "insulti alle autorità religiose." Badawi è il fondatore di Liberal Saudi Network, un sito che intendeva fornire uno spazio per il dibattito libero nel paese. Il blogger era già stato arrestato nel 2008 per apostasia—crimine anch'esso punibile con la morte.

Per Adam Coogle, un esperto di Medio Oriente che lavora per Human Rights Watch, la situazione dei diritti civili in Arabia Saudita è a dir poco cupa. "Non ci si sta muovendo in avanti. Se si sta andando in una direzione, è indietro," ha dichiarato a VICE News.

In Arabia Saudita la grande maggioranza delle esecuzioni capitali è collegata all'omicidio e ai crimini di droga. Ma negli ultimi tempi è emersa la tendenza a punire il dissenso con pene più severe, e alcuni attivisti politici sono stati condannati a 10 o 15 anni di reclusione. "Come nel caso di Badawi, alcune delle cose di cui sono accusati non sono veri crimini," ha spiegato Coogle. "È un problema di libertà d'espressione, il che è molto preoccupante."

Anche se alcune autorità occidentali si sono espresse pubblicamente contro la fustigazione di Badawi, in generale i governi sono sempre stati lenti a condannare l'Arabia Saudita. "Gli Stati Uniti e l'Unione Europea sono riluttanti a prendere posizioni critiche nei confronti dell'Arabia Saudita," ha aggiunto Coogle, "perché sono in gioco tutta una serie di questioni economiche, di sicurezza e stabilità della regione. E in casi del genere di solito i diritti umani diventano l'ultima priorità."