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Le nuove generazioni di camorristi che stanno terrorizzando Napoli

Nella guerra di camorra in corso a Napoli ci sono anche le nuove generazioni, giovani e giovanissimi appartenenti alle storiche famiglie che hanno il monopolio della criminalità.

I funerali di

Genny Cesarano, il cui nome è stato associato in maniera frettolosa alla guerra di camorra in corso. Foto per gentile concessione di Raffaella R. Ferrè.

Fino a qualche mese fa in piazza Plebiscito, a Napoli, c'erano dei grandi manifesti con grosse foto, appesi sulle impalcature di Palazzo Reale. Ritraevano le vittime innocenti di camorra in Campania, donne, uomini, ragazzini colpiti per caso, per ritorsione o per sbaglio. Tutti quei volti in fila prendevano un'intera facciata. A un certo punto chi visitava la zona ha iniziato a chiedere: "Ma chi sono?" E le guide turistiche, fra un monumento e l'altro, gliel'hanno dovuto spiegare. A giugno, le immagini sono state rimosse dalla facciata del palazzo.

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Il fatto è che diventa tutto sempre più complicato. Chi è una "vittima innocente"? Se hai 17 anni e passi come tutti i tuoi coetanei gran parte del tempo su Facebook e su Whatsapp o su uno scooter ma––a differenza di gran parte dei tuoi coetanei––hai anche confidenza con chi vive con una pistola in tasca perché nel sistema è già da tempo e non ne uscirà, sei o non sei innocente? Puoi salvarti? Oppure sei condannato a percorrere la strada che se tutto va bene ti porterà in carcere, e se invece va male ti farà trovare steso a terra sotto un lenzuolo?

È questa la domanda che arrovella Napoli ultimamente. E questa è anche la premessa fondamentale per capire l'ambiguità della questione dei "baby camorristi" (o "baby gang," o "paranza dei bambini" o giovani delinquenti, chiamateli come volete) a Napoli. "Li chiamano i muschilli, gli spacciatori in calzoncini, i corrieri-baby. Un lavoro da intermediario, un compito di appoggio. Gli spacciatori li utilizzano per non correre rischi."Esattamente trent'anni fa, il 22 settembre 1985, Giancarlo Siani, il giornalista napoletano ucciso dalla camorra, pubblicava il suo ultimo articolo. E il soggetto erano proprio loro, i ragazzini utilizzati dalla malavita. Venivano chiamati muschilli, moscerini invisibili, imprendibili e sacrificabili.

Oggi questi muschilli non esistono più: si sono evoluti, e l'educazione criminale si è fatta più efficiente. Un tempo serviva un'età minima, un'adeguata gavetta criminale, il coraggio per fare ' o piezzo––il pezzo, l'omicidio. Fatto questo, la Camorra era pronta a inserire il nuovo dipendente nel comparto più adeguato alle sue skill. Se prima erano dipendenti dell'azienda-camorra oggi, nell'epoca delle partite Iva, la situazione è più simile a quella di lavoratori autonomi coi collaboratori a progetto. Il reclutamento è più rapido: i clan sono sempre più frammentati, si fanno la guerra anche per il controllo di una singola strada, e quello che manca in esperienza i ragazzini lo recuperano in ferocia. Così un gruppetto armato diventa clan, e una paranza è capace di piegare i vecchi nomi dell'estabilishment criminale napoletano.

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Del fenomeno se ne è tornato a parlare in questi giorni, dopo che al Rione Sanità, pieno centro cittadino, Genny Cesarano, 17 anni, è morto durante una sparatoria. Il suo nome è stato associato in maniera frettolosa alla guerra di camorra in corso anche per dei precedenti penali su cui si è detto di tutto, ma a questa etichetta ai funerali si è ribellato un intero quartiere, compresi i parroci. "La sua non è stata una esecuzione, lo dico come persona che da dieci anni è attiva su quel territorio," sostiene l'educatrice che ci ha avuto a che fare al doposcuola.

Esattamente un anno fa, nel settembre 2014, c'è stato un caso altrettanto confuso: quello di Davide Bifolco, 16 anni, ucciso al Rione Traiano dal proiettile sparato da un carabiniere. Inizialmente le indagini avevano sostenuto che il giovane non si era fermato a un posto di blocco e che sullo scooter con lui c'era un latitante. Anche quest'ultima circostanza è stata smentita sin da subito; la dinamica dello sparo non è stata ancora chiarita e la versione dei carabinieri presenta non pochi lati oscuri. Il processo per quella morte è comunque in corso, con la prossima udienza fissata per il 1 ottobre.

Eppure, nella stessa zona che appena dodici mesi fa era l'epicentro di reportage e considerazioni indignate––riempite di "bisogna fare di più"––la situazione si è fatta ancora più pesante e il quartiere è diventato il più grande tiro a bersaglio di Napoli. Oggi Traiano è il rione delle "stese," i blitz armati a bordo di scooter per sparare all'impazzata, metodo che le bande criminali utilizzano per marcare il territorio contro le paranze rivali. Si è sparato per giorni e giorni a tutte le ore del mattino e della notte, dalle pistole agli Ak47: più se ne sequestrano più ne spuntano, segno che ci sono i soldi per acquistare armi––e quindi che gli affari vanno bene.

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Quanto sta accadendo, però, non è una cosa che piove da cielo: in mezzo c'è una città intera e un allarme che era già stato lanciato. Nella relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia di fine 2014, ad esempio, dove lo scenario attuale appare tracciato nero su bianco: "Una molteplicità di gruppi che hanno capillarmente infiltrato il territorio, una criminalità diffusa e radicata che opera facendo uso di una violenza non proporzionata rispetto agli obiettivi"; "situazione di elevato pericolo per l'ordine pubblico, resa ancor più grave dai protagonisti di tali scenari, spesso nuove leve criminali"; "nuove generazioni organizzate in baby gang. Tra i protagonisti delle faide si trovano discendenti di storiche famiglie locali che sembravano definitivamente scompaginate" da arresti e pentiti.

Nel rapporto presentato a gennaio di quest'anno, la Direzione Nazionale Antimafia ha definito in maniera ancor più dettagliata il quadro geografico in cui operano queste nuove generazioni, parlando di faide in corso "sia nelle periferie urbane che nel cuore cittadino, nell'area settentrionale e orientale di Napoli, nel quartiere Sanità e dei Quartieri Spagnoli e Forcella."

A riprova di questa sorta di ricambio generazionale, lo scorso giugno sono stati arrestati circa 60 giovani affiliati alle famiglie Giuliano, Sibillo, Brunetti e Almirante, che dominavano una zona che va da Forcella al rione Maddalena. Gli inquirenti hanno accertato che questo cartello camorristico, che ormai aveva ottenuto "il monopolio delle attività illecite nella zona centrale di Napoli," era formato appunto da "giovanissime leve delle storiche famiglie criminali."

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Uno che spicca particolarmente è Pasquale Sibillo, classe 1991, presunto reggente di un clan. Fratello di un boss ucciso, la sua paranza lo vede come il Gladiatore, e l'ultima volta che hanno cercato di fargli la pelle si è buttato in un'auto della polizia per salvarsi. È lui il prototipo dei baby camorristi, quelli che quando proprio devono parlarne al telefono chiamano la pistola "'a ' nnammurata."

Ma non è solo una questione di armi, latitanti, droga e omicidi. "I nuovi assetti," scrive nei suoi dossier l'intelligence antimafia italiana, "incidono sull'azione di contrasto resa particolarmente difficile dalla imprevedibilità delle condotte non inquadrabili in schemi razionali o strategie comprensibili."

Intanto lunedì scorso era in città la Commissione Parlamentare Antimafia guidata da Rosy Bindi, che nel giorno di "ascolto" di forze dell'ordine, inquirenti e associazioni anticamorra ha fatto la prima gaffe. "La camorra è il dato costitutivo della città," ha dichiarato l'esponente del Pd, scatenando l'ira di chi quotidianamente opera sui territori contro la malavita: "Se per la politica Napoli è costituita di camorra, allora che vengono a fare?"

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