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Tecnologia

La censura in Venezuela colpisce anche le app

Oltre ad avere censurato Twitter e limitato l'accesso a internet, il governo venezuelano ha preso di mira anche Zello, una app walkie-talkie che permette ai manifestanti di organizzare proteste e raduni.
Scontri per le strade di Altamira, Caracas. Immagine: Wikimedia

Il bilancio dopo tre settimane di scontri in Venezuela è critico. Sulle strade sono rimasti 17 morti, e le contestazioni nei confronti del presidente Nicolás Maduro non si fermano. L’opposizione spinge verso un’economia aperta agli investimenti privati ed esteri, ma allo stesso tempo è divisa internamente tra la manovra democratica di Capriles, celebre avversario di Chávez e Maduro alle elezioni presidenziali, e l’incitamento alla sommossa di López, il leader di Volontà Popolare che si è consegnato alle autorità il 12 febbraio per una serie di accuse di istigazione alla violenza.

In Venezuela l’inflazione è alle stelle (al 56 percento) e la mancanza di beni primari ha suscitato il malcontento generale e portato il popolo alla rivolta. Il governo venezuelano ha censurato alcuni canali televisivi—che hanno omesso le immagini delle proteste—Twitter e maggior parte delle connessioni internet, controllate per il 90 percento da CANTV, l’internet provider di proprietà dello stato. Adesso sotto la mannaia di Maduro è finita anche Zello, una app per smartphone che funziona come un walkie-talkie attraverso cui i manifestanti sono in grado di organizzarsi e comunicare in tempo reale.

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Zello è stata sviluppata a San Pietroburgo da Alex Gavrilov, CTO della startup, a partire dal 2007. Come racconta il CEO Bill Moore, il suo gruppo era stanco di vedere l'abuso di chat su dispositivi perfettamente in grado di trasmettere messaggi vocali. Così, Zello ha creato un walkie-talkie per smartphone. “L’anno scorso Zello è diventata l’app più popolare in Turchia e in Egitto durante le manifestazioni. Non ne siamo sorpresi, perché Zello è stata progettata per comunicare in modo semplice e istantaneo tramite conversazioni pubbliche e private usando la propria voce in diretta. Questo stile di comunicazione è perfetto per organizzare piccole e grandi cortei,” dice Moore.

A quanto pare, la popolarità di Zello le avrebbe causato anche dei problemi. Alle quattro del mattino del 21 febbraio scorso, Zello ha lanciato un tweet d'aiuto: “Se qualcuno si trova in Venezuela ed è pratico di strumenti diagnostici di rete, risponda per favore, abbiamo bisogno del vostro aiuto per capire il perché del blocco.”

If you are in Venezuela and familiar with network diagnostics tools, please respond, we need your help to understand the block applied.

— Zello Inc (@Zello) 21 Febbraio 2014

La risposta è stata immediata, sia da parte degli utenti che degli sviluppatori. Moore ha avviato il contrattacco il giorno stesso insieme a Gavrilov, studiando una nuova versione dell'app in grado di aggirare il blocco attribuito a CANTV. Il giorno dopo, l'aggiornamento è stato diffuso attraverso un nuovo tweet: “Agli utenti Android che non possono accedere all’app. Provate questa versione e riportate i risultati.”

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L’app, scaricata più di 600.000 volte in Venezuela, ha ripreso a funzionare e i download continuano tutt’ora. Sembra che i manifestanti vedano Zello come uno strumento fondamentale per comunicare e organizzare cortei, ma in queste tre settimane è stato impiegato anche in azioni più controverse, come la costruzione di guarimbas, ovvero barricate, e blocchi di spazzatura in fiamme per impedire alle forze dell’ordine di avanzare. L’app può essere utilizzata per vari scopi, ma sono le sue accortezze tecniche a fare la differenza. Quando ha iniziato a girare la voce che le conversazioni di Zello fossero intercettate dal governo e dai colectivos—la milizia filo-governativa—nel tentativo di identificare le persone coinvolte e individuare orari e luoghi di cortei, tra gli utenti si è diffuso il panico È partito anche un tweet di allarme, che incitava ad abbandonare il servizio.

#URGENTE: NO ES RECOMENDABLE USAR #ZELLO | @VOZ_URBE ¡DIFUNDIR! #ResistenciaVzla +INFO EN -> http://t.co/sJrhAvORCVpic.twitter.com/oPGVh2sxb0

— #ElQuePersisteVence (@VENSomosTodos) 19 Febbraio 2014

Moore ha ribattuto subito, ricordando agli utenti che le conversazioni su Zello si possono impostare sia come pubbliche che private. “Zello è unico, perché gli utenti possono stabilire account anonimi senza dover confermare numeri di telefono o email, al contrario della maggior parte dei social media. Zello non diffonde pubblicità all’interno dell’applicazione e non archivia le comunicazioni” ha aggiunto Moore sulla questione sicurezza. Tuttavia, vista la facilità di accesso all'app, non è da escludere che spie del governo possano infiltrarsi all'interno delle conversazioni—per non parlare del fatto che alla polizia basta sequestrare uno smartphone per fingersi il suo legittimo proprietario.

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Zello non è il primo caso di app associata a un movimento di protesta. Il filo conduttore delle rivolte degli ultimi anni—dalla Primavera araba, alle proteste in Piazza Taksim, e fino agli scontri in Ucraina—si è intrecciato con la tecnologia, l’organizzazione online e, di conseguenza, la censura mediatica da parte di governi autoritari. La differenza rispetto al boom dei social network vissuto anni fa in Tunisia ed Egitto, è l’effetto sorpresa, come ha spiegato l'editor di Defense One, Patrick Tucker. “Le rivoluzioni in Tunisia ed Egitto non erano meglio organizzate. Semplicemente, i governi di questi paesi non hanno potuto anticipare la velocità con la quale si può organizzare un movimento di protesta non violento attraverso i social network.” E ha aggiunto che “organizzarsi tramite social network o mezzi tecnologici vari è diventato più difficile, specialmente nei paesi i cui governi possiedono e gestiscono i principali Internet Service Provider.” La Libia è uno degli esempi chiave, dove il governo ha saputo anticipare l'onda dei social media bloccando l'accesso a internet nell'intero paese.

Quando Moore e Gravilov hanno creato Zello, non avevano idea che potessero verificarsi casi del genere. Moore era convinto solo di una cosa: voleva ideare un social network per comunicare a voce come in radio, ma con tutte le potenzialità di internet. “La voce umana porta con sé molte più informazioni rispetto alla semplice scrittura. Sapevamo di assistere a qualcosa di grande,” ha detto in un’intervista.

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Il popolo venezuelano sembra pronto al cambiamento mediato dalla tecnologia e, come afferma Tucker, la democrazia e la libertà d’espressione vinceranno in Venezuela come anche in Siria e, addirittura, in Cina. Ma non sarà una vittoria facile. “Solo perché un paese diventa più democratico, non vuol dire che sia conformato agli interessi degli Stati Uniti.”

Una cosa è certa, la censura non ferma i manifestanti, né tanto meno i loro mezzi di comunicazione.

In un Venezuela scosso dalle proteste di piazza, i negoziati di pace indetti da Nicolás Maduro sono piovuti dal cielo il 26 febbraio. A prima vista l'idea del presidente erede di Chávez, oltre quella di condannare la violenza delle scorse settimane, è quella di cercare un compromesso verso la riconciliazione: “Prego per la pace e non per la violenza. La violenza non aiuta il Venezuela,” ha dichiarato.

Mercoledì scorso, al Miraflores Palace c’erano tutti, dai governatori ai sindaci, compresi leader religiosi, sindacati, gruppi studenteschi (pro-governativi) e manager di Fedecameras, la più grande federazione commerciale venezuelana. All’appello mancavano però molti esponenti dell’opposizione politica, a partire da Henrique Capriles, leader del partito Prima la Giustizia, che ha dichiarato su Twitter che “la maggior parte del paese vuole il dialogo, ma un dialogo trasparente, sincero ed efficace.”

Le proteste non si sono fermate e al primo di marzo si contavano già 41 persone arrestate a Caracas, compresa la fotografa italiana Francesca Commissari, che seguiva le rivolte per conto del quotidiano venezuelano El Nacional. Le forze di polizia e i gruppi paramilitari appoggiati dal governo hanno risposto con violenza alle manifestazioni. Una reazione condannata anche dalla Chiesa, che ha chiesto al governo “Un’indagine efficace, autonoma e imparziale dei fatti; un elenco dei detenuti, il loro rilascio e che si indichino le imputazioni affinché si possa garantire il diritto alla loro legittima difesa.” Mentre la polizia lanciava gas lacrimogeni e utilizzava cannoni ad acqua, alcuni manifestanti hanno contrattaccato con bombe molotov.

Insomma, nonostante la conferenza nazionale per la pace indetta da Maduro, le proteste continuano. Più che condannare le violenze, il governo dovrebbe sedersi a un tavolo e attuare al più presto un piano di riforme economiche per abbassare l’inflazione, garantendo al popolo i diritti democratici fondamentali e l'accesso più equo ai beni di prima necessità. Una cosa è certa, la censura non ferma i manifestanti, né tanto meno i loro mezzi di comunicazione.