Foto gang The Number e tatuaggi
Tutte le foto di Luke Daniel.

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Fotografia

I tatuaggi dei 'Number', la gang più violenta delle prigioni del Sudafrica

Il fotografo Luke Daniel è riuscito a entrare in contatto con alcuni dei criminali più pericolosi del Sudafrica.

A prima vista, i tatuaggi di questi carcerati sembrano uguali a tanti altri. Ma per chi ne conosce linguaggio, forme e pattern assumono significati profondi e permettono di scoprire il complicato funzionamento di The Number, una gang che opera nelle prigioni del Sudafrica protetta da un severissimo codice segreto.

Nato probabilmente verso la fine dell'Ottocento, The Number è fondato su una gerarchia complessa compost di tre fazioni: i 26, i 27 e i 28. I 26 fanno entrare merce di scambio, come tabacco e droga, all'interno delle prigioni; i 27 si occupano di far rispettare l'ordine costituito, e per questo sono i più temuti; mentre i 28 difendono i diritti dei prigionieri.

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Grazie a una conoscenza all'interno del gruppo, il fotoreporter Luke Daniel è riuscito a fotografare alcuni membri e i loro tatuaggi. Queste sono le immagini che ha scattato nel corso del progetto.

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VICE: Ciao Luke, come sei entrato in contatto con i membri della gang?
Luke Daniel: I tatuaggi mi hanno sempre incuriosito—in particolare quelli fatti in carcere, per la semplicità, l'ingegno e la tecnica artigianale che ci stanno dietro.

Così, ho conosciuto alcuni membri della gang. Sono diventato amico di uno di loro che aveva passato vent'anni in carcere. All'epoca stava cercando un lavoro, ma con tutti quei tatuaggi era piuttosto difficile reinserirsi in società, perciò gli proposi di aiutarmi a cercare altre persone nella sua stessa situazione per il mio progetto.

Quasi tutti i protagonisti degli scatti sono in carcere e fanno ancora parte della gang—The Number non si lascia mai del tutto. Altri hanno scontato la pena e sono poi entrati in bande di quartiere.

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Cosa mi puoi raccontare di The Number?
Non posso dire molto a riguardo, ma senza dubbio hanno un sistema 'mitologico' estremamente radicato. La loro storia è molto intricata, e risale all'epoca in cui i giovani sudafricani neri erano costretti ad abbandonare i villaggi per cercare lavoro nelle miniere dell'entroterra del paese e a Delagoa Bay [oggi Maputo, in Mozambico].

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E delle persone che hai conosciuto, ricordi qualcuno in particolare?
Gerald "Horings", il mio amico, è senza dubbio uno dei personaggi più incredibili. Oggi fa il parcheggiatore e altri lavoretti per arrivare a fine mese. Molte delle persone che ho fotografato hanno una storia simile: non sono cattive, sono solo nate in contesti di estrema povertà, hanno subito traumi e abusi e fatto scelte sbagliate.

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Alcuni sono stati condannati per crimini violenti e assassinii. In prigione, per essere iniziati a The Number, hanno dovuto commettere altre violenze contro carcerati o secondini. Anche quelli che magari avevano ricevuto condanne brevi alla fine hanno passato 30 anni dietro le sbarre dopo essersi affiliati alla gang.

Che tipo di strumenti usavano per tatuarsi?
In genere come ago usavano una corda di chitarra. Polverizzavano la gomma bruciandola e la mescolavano con l'acqua a formare una pasta, che usavano come inchiostro. Tutti i tatuaggi in carcere venivano fatti a mano, senza macchinetta.

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Puoi spiegarci il significato di alcuni simboli che hai scoperto nel corso del progetto?
I [membri della gang che hanno tatuato il] 26 sono quelli che introducono la merce di scambio in prigione: droga, tabacco e cose simili. Sono abili manipolatori e truffatori nati. Lavorano dalle prime luci dell'alba; da qui il termine 'sonop' ('alba') usato come saluto e sempre presente nei loro tatuaggi. Compare spesso anche la parola 'pumalanga', il termine zulu che indica l'alba.

I 27 hanno il compito di far rispettare le regole della gang, sono i membri più devoti e più temuti. Tra i simboli che li contraddistinguono ci sono armi, sciabole incrociate e citazioni della legge di The Number.

I 28 hanno da sempre il ruolo di proteggere i detenuti, di solito con la forza, e spesso aggrediscono le guardie carcerarie se mancano di rispetto a un membro della gang. A volte se la prendono anche con gli altri prigionieri estranei alla gang, o con i propri sottoposti, che puniscono spesso con violenze sessuali. Tra i soggetti che si tatuano più spesso ci sono scene di sesso violento e falli. Al contrario dei 26 lavorano di notte, e per questo i tatuaggi spesso richiamano il tramonto, o 'sonsak' o 'shonalanga', i termini afrikaans e zulu per il calar del sole.

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Ci sono tatuaggi che ti hanno colpito più di altri?
Quelli dei 28 che raffigurano peni sono piuttosto iconici. E anche i personaggi dei cartoni animati accostati a immagini di violenza sessuale e omicidi sono interessanti, in un certo senso.

Nelle prigioni del Sudafrica, e credo in quelle di tutto il mondo, i detenuti si tatuano per avere un aspetto più minaccioso e per mettersi in contrapposizione ancora più netta con le norme della società. I tatuaggi che hanno in faccia sono spesso frasi oscene—credo che ci sia un misto tra egomania e autodistruzione, in questo. Questi sono i tatuaggi che ti fanno guadagnare rispetto in prigione, ma che ti renderanno la vita molto più difficile fuori. Nessuno vuole assumere una persona con la scritta "fuck you" in fronte.

Molte delle persone che ho fotografato erano orgogliose dei propri tatuaggi, nonostante la sofferenza e il trauma connessi a essi, visto che poi diventano il ricordo di un passato oscuro. In molti casi, i tatuaggi sono come cicatrici di una dura battaglia.

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Ora che il progetto è finito, hai cambiato punto di vista sui tatuaggi in generale?
Quando ho iniziato volevo documentare un'estetica che era tipica del Sudafrica, ma poi con il tempo l'attenzione si è spostata verso il rito del tatuaggio in prigione, i simboli, l'isolamento sociale e la discriminazione vissuti dai detenuti. Alla fine mi sono concentrato sulle difficoltà vissute da questi uomini quando cercano di reinserirsi nella società.

Segui Fareed su Twitter. Guarda altre foto di Luke Daniel sul suo sito.


Guarda il nostro documentario sul padre del tatuaggio in Italia: