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disturbi alimentari

Com'è il Ramadan quando hai un disturbo alimentare

Sfruttare un mese che dovrebbe essere di purificazione e preghiera per il mio tornaconto, e riuscire a saltare i pasti, mi fa sentire ancora peggio.

Siamo quasi alla fine del primo giorno di digiuno del Ramadan e io ho 16 anni. Sullo sfondo, mia madre sta apparecchiando mentre mio padre guarda il telegiornale al massimo volume. Siamo tutti spossati mentre osserviamo i minuti scorrere all’infinito, trascinandoci verso il tramonto, quando finalmente potremo interrompere il digiuno. Il momento si avvicina, io comincio a innervosirmi e cerco dei “thinspo" sul mio telefono per darmi forza. Trovo una pagina di gambe e braccia fragili, clavicole sporgenti e dita ossute e comincio a scorrere. Mentre la mia famiglia si sistema, sui loro volti si riversa entusiasmo. Sul mio, si diffonde l'ansia. Dopo gli ultimi istanti di sole, la chiamata alla preghiera riecheggia in tutta la casa, adesso silenziosa, e apriamo i palmi delle mani in preghiera e ringraziamo Dio per averci permesso di osservare un altro Ramadan.

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Bevo il primo sorso d'acqua e lo sento scorrere attraverso tutto il corpo, rinfrescando ogni centimetro, mentre la mia famiglia distribuisce il mosaico di cibo sparso sul tavolo di cucina. Seguo il loro esempio, mi servo e trascorro i brevi 30 minuti del pasto tagliando, raccogliendo e riordinando le calorie nel piatto, tra deboli lamentele su come mi sia riempita troppo con l’acqua. Mia madre mi guarda con aria interrogativa mentre raccolgo i miei “avanzi” in un contenitore e li metto in frigo, ma con mio sollievo non fa domande. Trascorro il resto della notte tremando durante la taraweeh (una preghiera ‘notturna’), euforica per il fatto che il mio conteggio calorico netto del giorno sia fortemente in negativo.

Il Ramadan sembra cogliermi di sorpresa ogni anno. E ogni anno io, come molti altri musulmani, attendo con ansia il rinnovamento spirituale e il senso di comunità che porta questo mese. Questo mese è sempre stato una pausa di sollievo da qualsiasi altra cosa stava succedendo nella mia vita. E sebbene trovi rifugio in questi 30 giorni di fede, il rapporto problematico che ho con il cibo è qualcosa da cui nemmeno il Ramadan può aiutarmi a scappare—ma il timore di non essere “abbastanza musulmana” o che ci sia qualcosa di sbagliato in me mi ha fatto rimanere in silenzio.

Ho una relazione disfunzionale con il cibo da che ho memoria. Essere grassa voleva dire che abbuffarsi, mangiare di nascosto e avere un’immagine distorta di sé erano cose più che comuni—ho fatto la mia prima dieta a sei anni. Il mio peso è sempre stato legato alla mia autostima, e quando ho iniziato il liceo e ho scoperto la restrizione calorica, i digiuni e il mondo dei blog sui disturbi alimentari, sono rimasta affascinata dalla fantasia del controllo totale, dato che, quando si trattava di cibo, mi ero sempre sentita fuori controllo. E così è iniziato quasi un decennio di disturbi alimentari, “guarigione”, aumento di peso, ricadute … lavarsi, alzarsi, ripetere.

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E ogni volta che arrivava il Ramadan, a seconda di quale parte del ciclo mi trovassi, la mia spiritualità diventava quasi sempre un pensiero di secondo ordine, se messa a confronto con il cibo. Stavolta, fatico più che mai. Dopo un anno di ciò che chiamerei una sana perdita di peso, vecchie abitudini e processi mentali hanno ripreso il loro posto nella mia ricerca di “perfezione”. Ho 23 anni, ma mi ritrovo dove ero sette anni fa, ossessionata dal mio fabbisogno energetico giornaliero, dalle calorie che posso realisticamente bruciare durante un allenamento senza acqua, dalle restrizioni caloriche giornaliere, calorie che entrano, calorie che escono, calorie, calorie, calorie. Ma non importa quanto sia consapevole e non importa quanto vorrei poter chiedere aiuto, so che non posso. Sono terrorizzata di venire etichettata come una cattiva musulmana per aver usato un periodo simile per un mio malato guadagno personale. E così, anno dopo anno, rimango in silenzio.

La cosa dei disturbi alimentari è che avanzano in segreto, ed è davvero facile riempirsi con l’acqua, mangiare qualche boccone e passare il resto della notte a distrarsi con la preghiera. Ma il fatto che il Ramadan sia diventato una distrazione è probabilmente ciò che mi fa più male, sia per me che per ogni altro musulmano alle prese con malattie legate al cibo e al peso. Mi è stato insegnato che durante il Ramadan, il Diavolo è prigioniero e lasciato impotente, ma i miei demoni hanno sempre prevalso e mi ritrovo a dubitare di quanto sia forte la mia fede, mettendo in dubbio la mia identità e sentendomi sopraffatta dal senso di colpa per aver trasformato il mese dell'anno che dovrebbe essere dedicato a Dio, nel mio personale piano alimentare.

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Come molte altre malattie mentali, le varie forme di disturbi alimentari sono ancora tabù sia dentro che fuori dalla mia comunità, alimentando ulteriormente (perdonate il gioco di parole) la segretezza. I musulmani con disturbi alimentari soffrono e contemporaneamente prosperano in privato, capaci di confondersi perfettamente con chi sembra un nostro pari durante il giorno. Voglio credere che lo stigma derivi dal fatto che questo è un argomento scomodo di cui parlare. Ma so che la cosa va molto più a fondo di così—spesso evitiamo di parlare di tutto ciò che potrebbe alludere al fatto che siamo in difficoltà; come se la malattia mentale fosse sintomo di una fede debole. Nessuno vuole essere emarginato all'interno della comunità musulmana, specialmente con l’islamofobia che dilaga e quando tutto ciò che abbiamo è la nostra comunità.

E, sinceramente, i disturbi alimentari non sono belli. Sono occhi scavati, relazioni che svaniscono, nocche sbucciate e disprezzo per se stessi. Aggiungi uno strato di stigma e senso di colpa, e puoi praticamente garantire che nessuno voglia parlarne. Mi ci sono voluti sette anni per trovare il coraggio di raccontare quello che sto passando ai miei amici musulmani, e anche adesso, passo ore a rimpiangere di essermi esposta—non solo mi sento sbagliata, ma mi sento come se avessi fatto un torno alla mia gente e alla mia fede. Questo non è un invito ad andare contro il Ramadan o ad altri musulmani—continuo a fare miei tutti i benefici spirituali che posso, quando calorie e peso non dominano ogni mio pensiero. Ho fatto pace con l'idea che avrei digiunato, che avessi dovuto combattere contro i disturbi alimentari o meno. Non sono “meno musulmana" o “cattiva". Posso riconoscere che questo è un periodo in cui sono ad alto rischio di ricaduta e continuo a lavorare sulla mia fede.

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La mia unica speranza è che un giorno se ne possa parlare all'interno della comunità musulmana e riconoscere la malattia mentale come una malattia, e non come dei pensieri che possono essere semplicemente allontanati con la preghiera.

Hai un disturbo alimentare o bisogno di un consulto? Puoi contattare SOS disturbi alimentari al numero gratuito 800 180969, attivo 24 ore su 24, dal lunedì al venerdì.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su VICE CA.

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