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Italia

A sette anni dal terremoto L'Aquila è ancora una città fantasma — e vuole giustizia

Dopo la tragedia del 6 aprile 2009, le verità sulle responsabilità delle autorità nel sisma non sono ancora venute tutte a galla. Gli attivisti aquilani continuano a chiedere giustizia.
Due anziani passeggiano nel centro storico di L'Aquila. [Foto di Silvia Malnati/VICE News]

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Sono passati esattamente sette anni dal terremoto che il 6 aprile 2009 alle ore 3.32 ridusse in macerie L'Aquila e diversi paesi limitrofi.

Un tempo la città non era solo il capoluogo dell'Abruzzo, ma una città d'arte ricca di storia e bellezza — nota per le sue 99 chiese, 99 piazze e 99 fontane.

Oggi, sette anni dopo il sisma, ciò che rimane del centro storico è un groviglio di vicoli deserti, case disabitate e negozi con le porte sfondate.

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Il grosso delle macerie è stato rimosso: ora rimangono gli edifici storici avvolti in fitte impalcature metalliche e le chiese con i portoni sbarrati.

Le macerie nel capoluogo abruzzese a sette anni dal sisma. [Foto di Silvia Malnati/VICE News]

Ma quello che più colpisce camminando per le strade del cuore del capoluogo abruzzese è il silenzio soffocante che regna tra le vie abbandonate, tra gli ultimi abitanti di una città quasi fantasma.

"Non è semplice ricostruire e ripartire: gli edifici storici presentano vincoli di ricostruzione e nel centro non esistono, a parte un paio di eccezioni, attività commerciali," spiega a VICE News Massimo Cinque, pediatra e fondatore insieme a Vincenzo Vittorini della Fondazione 6 Aprile per la Vita.

"Solo pochi hanno il coraggio di ripartire. Ormai il centro storico non c'è più, la gente non lo frequenta perché chi abitava qui si è dovuto trasferire. Casa mia per esempio è crollata completamente, si è sbriciolata come un biscotto. Era un condominio degli anni '60 di quattro piani che stava ai margini del centro storico."

"Sono morte ventisette persone, tra cui mia moglie e i miei due figli."

La vecchia insegna di un bar, il cui edificio è stato in parte distrutto dal terremoto. [Foto di Silvia Malnati/VICE News]

Le conseguenze del sisma, che ha causato 309 morti e circa 1600 feriti (oltre a 10 miliardi di danni), sono ancora visibili a chiunque si aggiri per le vie del centro del capoluogo abruzzese. Ma oltre ai ricordi dolorosi della tragedia, ciò che ancora pesa sugli aquilani è la mancanza di giustizia.

Le vicende giudiziarie sviluppatesi in seguito al terremoto sono state lunghe ed estenuanti e la ricerca della verità sulle responsabilità delle istituzioni nella tragedia del sisma non è stata ancora portata a termine.

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Sono infatti molti i cittadini a riunirsi in associazioni, che stanno tuttora battendosi con estrema determinazione per far sì che non si dimentichino le colpe di chi scelse di "tranquillizzare" gli aquilani — invece di informarli della corrette e probabile entità del rischio terremoto.

Tra questi c'è Vincenzo Vittorini, consigliere comunale e chirurgo che, dopo aver perso nel sisma la moglie e la figlia, ha istituito insieme al collega e amico Massimo Cinque la Fondazione 6 Aprile per la Vita, onlus impegnata far luce sui fatti precedenti al terremoto.

"Lo Stato italiano qui a L'Aquila ha sbagliato. La nostra battaglia perché la verità venga a galla non è ancora finita," dichiara a VICE News Vittorini che, insieme al figlio Federico, si è costituito parte civile sia nel primo processo alla Commissione Grandi Rischi, sia nel Grandi Rischi bis.

Vincenzo Vittorini della Fondazione 6 Aprile per la Vita. [Foto Silvia Malnati/VICE News]

I processi dopo il sisma

Al di là dell'inchiesta "Do ut des" condotta dalla procura aquilana sulle mazzette negli appalti per la ricostruzione e delle infiltrazioni criminali, i processi che stanno più a cuore agli aquilani sono quello alla Commissione Grandi Rischi - iniziato nel 2011 e conclusosi il 10 novembre con la sentenza della Cassazione - e il filone successivo, noto come Grandi Rischi bis, tutt'ora in via di svolgimento.

Il primo, che vedeva i sette scienziati della Commissione imputati di omicidio plurimo colposo e lesioni, si è risolto dopo quattro anni lo scorso novembre con l'assoluzione in terzo grado di sei tecnici e la condanna a due anni di reclusione - rispetto ai sei previsti in primo grado - del vicecapo del settore tecnico del dipartimento della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis.*

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"Lo Stato ha risposto al processo alla Commissione Grandi Rischi trincerandosi dietro il fatto che si trattasse di un processo alla scienza. Ma gli scienziati avrebbero dovuto essere essere condannati non perché non previdero il terremoto, cosa ovviamente impossibile da realizzare, ma perché non eseguirono una corretta analisi del rischio, compito che invece sarebbero stati in grado di adempiere," afferma Vittorini, parte civile del processo.

"In sostanza, se noi non uscimmo dalle case la notte del 6 aprile fu perché eravamo stati rassicurati dalla Protezione Civile che non ci sarebbero state scosse più violente."

Un palazzo crollato è stato transennato nel centro città. [Foto di Silvia Malnati/VICE News]

Il secondo, ovvero il processo Grandi Rischi bis, prende il via poco dopo la sentenza di condanna in secondo grado di De Bernardinis, a partire da un'intercettazione di una telefonata di Guido Bertolaso, ex capo dipartimento della Protezione Civile e attuale candidato a sindaco di Roma, a Daniela Stati, l'allora assessore regionale alla Protezione Civile dell'Abruzzo.

Nella chiacchierata con la Stati avvenuta il 30 marzo 2009, Bertolaso rivelava come la decisione di convocare la Commissione Grandi Rischi a L'Aquila si trattasse di "un'operazione mediatica" per "zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni" e "tranquillizzare la gente" sull'improbabile eventualità che si scatenasse una scossa pericolosa.

Finora si sono svolte solo due udienze procedurali - il 20 novembre e il 4 marzo - alle quali Bertolaso, accusato di omicidio plurimo colposo e lesioni, non si è presentato. La prossima è indetta per il 21 giugno. E a ottobre il caso potrebbe cadere in prescrizione.

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Le difficoltà per avviare i processi

Arrivare a portare sul banco degli imputati Guido Bertolaso non è stato semplice, sostengono alcune delle parti coinvolte nel processo. "Abbiamo svolto noi le ricerche, con i nostri avvocati. Ma è stata dura: dato che, visto che di fatto si tratta di un processo contro le istituzioni, appena trovi una prova, lo Stato te la toglie. Sono scomparsi documenti, video, carte", racconta Vittorini.

"Ci abbiamo messo sette anni per incriminare l'ex capo della Protezione Civile perché la Procura della Repubblica di L'Aquila ha chiesto per tre volte l'archiviazione del caso. Noi per altrettante volte ci siamo opposti, continuando a portare materiale a sostegno della nostra causa. Alla fine abbiamo richiesto l'avocazione delle indagini presso la Corte d'Appello: finalmente l'ottobre scorso abbiamo ottenuto il rinvio a giudizio per Bertolaso, con la prima udienza fissata al 20 novembre 2015".

Una strada transennata della città abruzzese. [Foto di Silvia Malnati/VICE News]

L'incubo della prescrizione

Tuttavia, "il rischio che il Grandi Rischi bis - vero processo 'principe' della vicenda aquilana - cada in prescrizione si sta facendo più concreto," spiega Vincenzo Vittorini, che il 2 e il 3 aprile ha organizzato insieme ad altri attivisti aquilani una raccolta firme presso la Fontana Luminosa di L'Aquila per chiedere a Bertolaso di mettere nero su bianco la sua intenzione di sottoporsi a giudizio più volte ripetuta ai media.

Infatti, nonostante l'ex capo della Protezione Civile abbia dichiarato in diverse sedi (l'ultima durante l'apparizione a "Fuori Onda" su LA7 il 12 marzo) di voler rifiutare la prescrizione prevista per ottobre, già le prime due udienze del processo sono state rinviate per "mancanza di magistrati".

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"Temiamo che, se anche il prossimo incontro del 21 giugno slitta, la prescrizione si faccia sempre più probabile", continua Vittorini. "Chiediamo quindi a Bertolaso di assumersi le sue responsabilità e di rispondere seriamente delle sue azioni fronte alla magistratura."

Leggi anche: Dentro al ghetto d'amianto dove vivono i 'dimenticati' del terremoto in Irpinia

L'attivismo degli aquilani

"Il terremoto non è stato solo una devastazione fisica, ma soprattutto intima. È come quando uno viene scottato: gli si dilatano tutti i pori. Ma quello che nasce non è la sete di vendetta o di risarcimenti, bensì per il bisogno di verità e giustizia," continua Vittorini.

La prima manifestazione un anno dopo il terremoto, nel 2010. [Foto via Facebook/Fondazione 6 Per La Vita]

"Intraprendere battaglie, sia sociali, sia politiche, diventa un'esigenza. La nostra convinzione è che sia necessario ricostruire L'Aquila con strutture al 100 per cento antisismiche, perché un altro terremoto ci sarà, dato che siamo l'area più sismica d'Italia."

Per ora, nelle leggi in materia di ricostruzione è stato deciso di migliorare gli edifici al 60 per cento. Secondo lo stesso Vittorini, "è triste vedere che la ricostruzione è stata sfruttata da alcuni come occasione per accaparrarsi nuovi profitti, mentre c'è chi dopo il terremoto ha perso tutto."

Prospettive future

Il 30 marzo oltre ottocento persone hanno partecipato all'iniziativa pubblica "Tutti convocati" organizzata da Vincenzo Vittorini, Massimo Cinque, Pier Paolo Visione e Maurizio Cora della Fondazione 6 Aprile per la Vita.

"Si è trattato dell'occasione per sollecitare la giustizia italiana a non dimenticare la strage del 6 aprile 2009," ha commentato Vittorini. "Peccato che nessuna testata nazionale ne abbia parlato. Esiste come una cortina che impedisce di rendere note questo tipo di manifestazioni. Ma noi continueremo a batterci affinché emerga la verità sulle responsabilità del dramma."

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La vista sulle montagne dell'Abruzzo. L'Aquila ha un'altitudine di 714 metri sul livello del mare [Foto di Silvia Malnati/VICE News]

A questo evento di sensibilizzazione si aggiungono le quasi 3mila firme raccolte nel weekend del 2-3 aprile per convincere Guido Bertolaso a formalizzare la rinuncia alla prescrizione. Adesso non resta che aspettare e sperare che il processo non cada in prescrizione.

"Purtroppo l'Italia è un paese in cui più si alza il livello di responsabilità, meno ce la si assume quando si commettono dei reati. Ma fin quando non si vincerà la battaglia per mettere in sicurezza dalla A alla Z il Paese avremo sempre le morti, i funerali di Stato e i pianti."

Leggi anche: Il problema della sismicità indotta potrebbe essere molto più grave di quanto crediamo


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*Già nella sentenza di secondo grado, De Bernardinis era stato dichiarato colpevole di aver pronunciato pubblicamente, in occasione della riunione della Commissione Grandi Rischi a L'Aquila il 31 marzo 2009, "concetti scientificamente errati e certamente rassicuranti" violando "i canoni di diligenza e prudenza". L'ex vicecapo della Protezione Civile aveva infatti affermato che, nonostante le avvisaglie costituite da tre mesi di sciame sismico, non ci fosse il pericolo dell'arrivo una scossa più intensa, ma che, al contrario, lo_ _scarico di energia continuo rappresentasse "una situazione favorevole".