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Italia

I boschi hanno occupato più di un terzo d'Italia—e potrebbe non essere una buona notizia

Le foreste oggi coprono oggi il 34 per cento della superficie del paese - quasi 11 milioni di ettari - e si sono estesi del 5,8 per cento nel corso dell’ultimo decennio.
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Le foreste stanno conquistando l'Italia: i boschi coprono oggi il 34 per cento della superficie del paese - quasi 11 milioni di ettari - e si sono estesi del 5,8 per cento nel corso dell'ultimo decennio.

Questo avanzamento - che al primo sguardo potrebbe sembrare positivo - è in realtà il risultato del progressivo abbandono delle aree a uso agricolo e pastorale nei territori collinari e di montagna, e della mancanza di politiche mirate per la gestione delle aree boschive.

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La tendenza è stata evidenziata dall'ultimo annuario del Crea, il Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione del governo italiano, presentato lo scorso 16 febbraio a Roma.

In trent'anni, tra il 1985 e il 2014, le foreste hanno inghiottito più di tre milioni di ettari di territorio italiano ormai depopolato - terrazzamenti in disuso, terreni non più coltivati, vecchi pascoli d'altura - un effetto delle grandi migrazioni che hanno portato il 70 per cento degli italiani a vivere, oggi, nelle aree di pianura e in grandi centri abitati.

Dei 66.000 ettari di nuova foresta ogni anno, secondo i dati raccolti dal Crea, solo 1.700 sono frutto di politiche mirate di rimboschimento: gli altri 64.300 sono invece frutto dell'avanzamento selvaggio degli alberi sul territorio, soprattutto in altopiani e colline.

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Secondo Raoul Romano, ricercatore del Centro di politiche e bioeconomia e co-autore del report sulle foreste del Crea, tra i massimi esperti in Italia di gestione del territorio boschivo, l'intervento umano non andrebbe considerato come un'intromissione — quanto, piuttosto, come un'azione necessaria e 'vitale' per la conservazione del nostro patrimonio naturale, ambientale, e paesaggistico, nonché culturale.

"Se non gestiamo più le nostre foreste, se non interveniamo, i boschi vanno verso un processo evolutivo naturale di ricolonizzazione degli spazi che nei secoli l'uomo gli ha tolto. Questo processo però - ed è passaggio importante che chi ama la natura dovrebbe capire - non dà vita a un bosco incantato 'disneyano', ma crea un bosco che evolverà, attraverso varie generazioni e secondo le naturali dinamiche ecologiche, verso un collasso, per poi ricominciare daccapo," spiega.

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Foto di iv78x via Flickr.

"Tendiamo a vedere il mondo rurale come un mondo bucolico, quando invece è una realtà difficile, che l'uomo deve saper gestire per poterci non solo convivere ogni giorno, ma anche e soprattutto per poter produrre beni e servizi che altrimenti la natura da sola non ci fornirà mai — soprattutto se vogliamo continuare a mantenere gli attuali livelli di consumo e uso delle risorse naturali."

Lasciati al loro destino i boschi italiani, storicamente coltivati e gestiti, stanno progressivamente perdendo caratteristiche strutturali e specifiche importanti che mettono a rischio quel sistema ecologico complesso che è è il cuore pulsante del patrimonio forestale nazionale.

Per Romano, l'assenza di politiche mirate di tutela e gestione attiva dei boschi, oltre che dannosa a livello naturale, è dispendiosa per le casse statali. In effetti, tra le principali voci di importazione nazionale ci sono i prodotti agricoli e il legno — due elementi che, secondo il ricercatore, potrebbero - con una corretta politica di gestione e valorizzazione forestale - essere prodotti all'interno dei nostri confini, a beneficio non solo delle economie locali, ma soprattutto di quelle di altre parti del mondo nelle quali non vi sono i controlli e la sicurezza che invece esistono in Italia nella produzione e nella tutela ambientale.

"La penisola italiana è sempre stata all'avanguardia nell'utilizzo delle sue risorse naturali: nel corso dei secoli ha riconvertito grandi aree di bosco per ricominciare a coltivare," spiega Romano a VICE News. "Se oggi il bosco avanza su un terreno agricolo è un problema, perché toglie temporaneamente a quel terreno la possibilità di produrre. E questi terreni sono gli unici che possiamo usare per produrre alimenti e dare spazio ad allevamenti, non ne abbiamo altri, a meno che non continuiamo a preferire prodotti che arrivano da altre parti del pianeta a prezzi e sicurezze molto più bassi."

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Cedere territorio agricolo e pascolivo all'avanzamento naturale del bosco ci 'costringerebbe' dunque a ricorrere alle importazioni, secondo Romano, che definisce la normativa italiana sul taglio dei boschi come "la più sicura" ma anche "la più restrittiva" che esista in Europa."

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"È importante proteggere il nostro patrimonio naturale. Ma se non tagliamo i nostri faggi e i nostri castagni, che sono tantissimi, e preferiamo importare quantità industriali di teak dall'Indonesia, o legni pregiati da altre parti del mondo per i nostri mobili e i nostri parquet, sappiamo che cosa stiamo finanziando?" si chiede il ricercatore del Crea.

"L'Indonesia, come anche alcuni paesi africani, rade a zero intere regioni forestali per raccogliere legname e, in alcuni casi, riforestare con piantagioni monospecifiche, senza un briciolo di attenzione agli ecosistemi, all'ambiente e alle realtà sociali di quei territori. E perché lo fanno? Per vendere il teak a noi, ovviamente. Dobbiamo iniziare a pensare globalmente, e per farlo dobbiamo cominciare dal nostro cortile. Smettiamo di dire 'non tocchiamo i nostri boschi, la natura dev'essere naturale' perché così facendo fuori dal nostro recinto rischiamo di alimentare il deserto," spiega Romano.

"Gestire un bosco" significa attuare un processo che ha, come ultimo passo, il taglio di parte del soprassuolo forestale e a cui segue comunque una nuova piantumazione — ma che nel mezzo prevede una serie di 'cure colturali' che permettono di garantire biodiversità all'ecosistema permettendo il passaggio della luce e lo sviluppo di specie diverse, ma anche di ripulire il sottobosco, ottenere biomassa, e prevenire possibili incendi e il dissesto idrogeologico.

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Foto di neekoh.fi via Flickr.

In questo senso, lo studioso del CREA mette in guardia sui rischi legati alla sicurezza umana - idrogeologica ed economica - di un bosco 'non gestito'. Come durante le alluvioni degli ultimi anni, quando secondo il ricercatore hanno giocato un ruolo fondamentale "i tronchi e il legno morto, in presenza eccessiva rispetto alle giuste necessità di salvaguardia della biodiversità, nei boschi" sovrastanti le città.

In alcune catastrofi naturali recenti, questo legname devitalizzato contribuirebbe, scendendo a valle, a "creare dighe temporanee che cedendo possono aumentare la forza dirompente delle ondate di piena," rivelatesi devastanti nel caso dell'alluvione di Genova nel 2014.

"In Italia oggi viene meno la gestione attiva e sostenibile, dei nostri boschi e abbiamo perso un rapporto culturale profondo con la risorsa forestale," conclude Romano.

"Un tempo era diverso, quando nasceva un figlio si piantava un albero: era una dote, l'albero cresceva con lui e diventava poi legno per costruire una casa o il letto nuziale. È storia, la storia di un'economia agrosilvopastorale che per secoli ha popolato le montagne e le colline d'Italia. È questo paesaggio che ci ha dato l'etichetta di 'Belpaese'; ma dobbiamo capire che anche l'uomo ha il suo ruolo in questo. Se non facciamo nulla, la natura si riprende tutto."

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Foto in apertura di ZoranCto via Flickr in Creative Commons.