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Perché il mondo è terrorizzato dalle banche italiane — e perché dovrebbe interessarci

Con l'instabilità portata dal voto sulla Brexit, c'è il rischio di una crisi che potrebbe avere ripercussioni su tutto il continente.
Alle testate internazionali lo stato di salute delle banche italiane non convince granché.

Nel corso dell'ultima settimana, gli articoli di economia e finanza sono tornati a occupare le prime pagine dei quotidiani italiani e internazionali - The Economist e Bloomberg Businessweek su tutti - come non succedeva forse dai tempi della crisi.

Dopo il voto dei cittadini britannici a favore dell'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, in particolare, approfondimenti su banche, crolli in borsa, salvataggi e aiuti di stato hanno improvvisamente fatto la loro comparsa, con toni spesso allarmistici.

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Perché dunque tanto parlare di banche italiane anche su testate non-specialistiche? Come in qualsiasi evento in ambito finanziario, i fattori che hanno portato alla situazione attuale sono molteplici, che spesso partono da lontano.

Crediti deteriorati e altri guai

Partiamo dall'inizio.

Le preoccupazioni maggiori riguardano le banche italiane - e in particolare la Monte dei Paschi di Siena - che nelle ultime due settimane hanno subito delle perdite molto pesanti in borsa a causa della loro stabilità precaria.

La grande debolezza delle banche italiane, arcinota a governi, analisti e investitori in Italia e in Europa, sono i cosiddetti crediti deteriorati (detti anche NPL, non performing loans). Si tratta di crediti (prestiti) elargiti dalle banche a famiglie e imprese e che non sono stati rimborsati.

Con la recessione che ha colpito il paese in seguito alla crisi finanziaria del 2008, è aumentato esponenzialmente il numero di famiglie e di aziende in difficoltà economica, che di conseguenza non sono riuscite a ripagare i loro debiti con le banche.

È così che gli istituti di credito italiani sono arrivati ad accumulare una quantità ingente di crediti deteriorati: stando al Wall Street Journal, il 17 per cento dei crediti in Italia sono deteriorati, per un valore di circa 360 miliardi di euro. La cifra è quadruplicata rispetto al 2008, e continua ad aumentare.

Le banche italiane detengono circa la metà di tutti i crediti deteriorati delle banche della zona euro quotate in borsa — una quantità preoccupante.

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Preoccupante perché un'elevata quantità di NPL comporta una serie di difficoltà per gli istituti di credito.

Le banche, per tutelarsi rispetto al fatto che i soldi prestati e gli interessi potrebbero non rientrare, o farlo con anni di ritardo in seguito ai procedimenti per bancarotta molto lunghi in Italia, devono mettere da parte ingenti quantità di capitale — anche nel rispetto dei requisiti europei e internazionali.

La necessità di aumentare il capitale, però, ha portato a un calo dei prestiti e dei finanziamenti, fattore che ha contribuito alla lentissima e anemica ripresa dell'economia italiana dalla recessione.

'L'ultima cosa di cui l'Europa ha bisogno è di una crisi in Italia.'

Oltre ai crediti deteriorati, le banche italiane (come del resto quelle della zona euro e oltre) devono fare anche i conti con i tassi d'interesse vicini allo zero che le banche centrali non sembrano voler aumentare in tempi brevi. Con i tassi d'interesse così bassi, è difficile per le banche guadagnare in maniera consistente dalle attività di credito, e quindi in questo modo aumentare il proprio capitale.

Difficile che Monte dei Paschi di Siena riesca ad aumentare il proprio capitale sul mercato, considerando che, visto il suo andamento il borsa nell'ultimo periodo, gli investitori non sembrano essere attratti.

L'effetto Brexit

Lo stranoto problema dei crediti deteriorati nelle banche italiane è, appunto, salito alla ribalta nelle scorse due settimane, e in particolare in seguito al referendum sulla Brexit del 23 giugno.

Gli investitori si sono allarmati, in particolare, per il timore che le banche italiane non abbiano capitale a sufficienza per sostenere la grande quantità di crediti deteriorati che detengono, e che a causa dei tassi d'interesse bassissimi e alle inefficienze interne, non siano in grado di generarne altro.

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Un esempio su tutti, di cui si è parlato molto nelle ultime settimane, è quello di Monte dei Paschi di Siena, la terza banca italiana per grandezza. Sotto pressione dei mercati già da diverso tempo - dall'inizio dell'anno in borsa il titolo ha perso più del 75 per cento - dopo il voto sulla Brexit le preoccupazioni degli investitori sono aumentate significativamente, e dal 23 giugno ha perso in borsa circa il 50 per cento.

Dal voto sulla Brexit del 23 giugno il Monte dei Paschi di Siena ha perso circa il 50 per cento in borsa. (Screenshot via Yahoo! Finance)

Ma la banca senese non è sola. Unicredit, l'unico istituto di credito italiano considerato di importanza sistemica, ha perso più del 60 per cento in borsa dall'inizio del 2016 e intorno al 33 per cento dal voto sulla Brexit.

Le possibili conseguenze della Brexit - rallentamento della crescita, incertezza, aumento dei crediti deteriorati - potrebbero rendere ancora più difficile accumulare capitale sufficiente a proteggersi dalle perdite, e la sfiducia dei mercati nelle banche italiane potrebbe complicare i tentativi di vendita dei crediti deteriorati.

Proprio lunedìMonte dei Paschi di Siena ha perso il 13 per cento in borsa in seguito alla richiesta, da parte della Banca Centrale Europea (BCE), di disfarsi di crediti deteriorati per un valore di 10 miliardi di euro, comportando un ulteriore aumento di capitale che la banca non potrebbe essere in grado di ottenere con facilità.

Il rischio è che problemi di solvibilità delle banche italiane abbiano conseguenze sull'economia dell'intero continente — considerando che le banche italiane sono considerate da più parti l'anello debole dell'intero sistema.

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Secondo Lionel Laurent di Bloomberg, "l'ultima cosa di cui l'Europa ha bisogno è di una crisi in Italia." In un suo articolo scrive che c'è il rischio di una nuova contrazione sistemica nella zona euro se l'Italia, il terzo paese con il debito pubblico più alto dopo Stati Uniti e Giappone, non riuscisse ad uscire da questa situazione problematica.

Cosa fare adesso?

L'obiettivo di fondo per risollevare le banche italiane dal pantano in cui sono finite è quello di ricapitalizzarle, ma soprattuto di rimuovere dal sistema i crediti deteriorati. La procedura però non è semplice, in quanto non sono - ovviamente - un prodotto altamente richiesto sul mercato.

Ad aprile è stato lanciato Atlante, un fondo finanziato dalle principale banche italiane - in particolare Unicredit e Intesa San Paolo - e atto a fare proprio queste due cose: garantire la ricapitalizzazione degli istituti di credito e acquistare i loro crediti deteriorati.

Il fondo ha a disposizione circa 5-6 miliardi di euro per la ricapitalizzazione e 120 miliardi per l'acquisto di crediti deteriorati, ma potrebbe non bastare. Per questo il governo sta cercando altre soluzioni.

La settimana scorsa la Commissione Europea ha dato il via libera al governo per l'emissione di 150 miliardi di euro in garanzie per fornire liquidità alle banche fino alla fine del 2016.

Ma, come fa notare il Wall Street Journal, "il sostegno alla liquidità fornisce un ammortizzatore temporaneo per le banche italiane. Ma non risolve il più ampio problema di come raccogliere abbastanza capitale per sostenere la svalutazione dei prestiti andati male."

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Per questo il governo vorrebbe agire anche su un altro fronte, con 40 miliardi di euro pronti a essere rilasciati alle banche in difficoltà per ricapitalizzarle. Ma è qui che è andato a scontrarsi con la Commissione Europea.

Il piano del governo viola le nuove norme implementate dall'UE dopo la crisi greca, secondo cui a pagare per i salvataggi o le ricapitalizzazione delle banche devono essere i creditori (con un cosiddetto bail-in), e non i cittadini con l'utilizzo di fondi pubblici.

L'opposizione della Commissione, con una pressione particolarmente forte dal fronte tedesco, sembra irremovibile, e secondo il Wall Street Journal alcuni funzionari europei si sarebbero mostrati infastiditi dalla lentezza del governo italiano nell'affrontare il problema delle banche. Alcuni vedono addirittura la Brexit non come un fattore di rischio reale, ma come una scusa usata da Renzi per riuscire a svicolare le regole UE.

Ma per Renzi seguire le regole sul bail-in potrebbe non solo non aiutarlo sul fronte delle banche in difficoltà, ma anche su quello politico. Ben 187 miliardi di obbligazioni bancarie, in Italia, sono in mano a piccoli investitori — che costituiscono un bacino elettorale non indifferente, e che avrebbero serie difficoltà ad ammortizzare le eventuali perdite di un bail-in.

Leggi anche: Il 2016 potrebbe essere l'anno di una nuova crisi finanziaria globale


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