FYI.

This story is over 5 years old.

sfruttamento

Come i bengalesi vengono schiavizzati nelle fabbriche tessili campane

I lavoratori del Bangladesh erano tenuti in condizioni di schiavitù, costretti a lavorare circa 14 ore al giorno per una paga misera di 300 euro al mese, senza permesso di soggiorno e con il passaporto sequestrato.
Foto via Associazione 3 Febbraio

Tenuti in condizioni di schiavitù, costretti a lavorare circa 14 ore al giorno per una paga misera di 300 euro al mese, senza permesso di soggiorno e con il passaporto sequestrato: è la tortura quotidiana cui erano sottoposti numerosi cittadini del Bangladesh in alcuni comuni a nord di Napoli.

Lo sfruttamento è emerso nei giorni scorsi, quando si è arrivati all'arresto di sei cittadini del Bangladesh dediti al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e allo sfruttamento lavorativo dei loro connazionali.

Pubblicità

La situazione di Casandrino, Grumo e Sant'Antimo era già finita sotto i radar delle forze dell'ordine: da circa tre anni, infatti, i lavoratori bengalesi del tessile del napoletano lamentano le condizioni di lavoro imposte dai loro sfruttatori.

Le indagini che hanno portato agli arresti di giovedì scorso sono scaturite proprio da queste denunce, che hanno consentito di individuare un'organizzazione criminale - operante sia in provincia di Napoli che in Bangladesh - che reclutava gli operai direttamente nel paese d'origine promettendo "lavoro e benessere nelle fabbriche italiane."

La realtà, però, era molto diversa. Dopo aver pagato tra i 10.000 e i 12.000 euro per coprire il viaggio e i documenti di ingresso in Italia (ottenuti con false dichiarazioni da finti datori di lavoro), i bengalesi arrivavano in Italia su un volo di linea e in possesso di un visto di ingresso per lavoro subordinato. Venivano presi all'aeroporto e portati nella zona di Sant'Antimo, dove vivevano in appartamenti forniti dall'organizzazione.

Se, una volta scoperte le reali condizioni di vita e lavoro, chiedevano il permesso di soggiorno o si ribellavano agli sfruttatori, venivano rispediti in Bangladesh.

Stando a quanto contenuto nei verbali depositati dai pm e riportati da Repubblica, i lavoratori hanno raccontato di aver dovuto lavorare anche quando erano malati, ricevendo percosse se non lavoravano abbastanza intensamente.

Pubblicità

"Un giorno ho visto picchiare il mio compagno Emdadul perché aveva la febbre e non poteva lavorare così velocemente con le macchine," riporta il quotidiano. "Un'altra volta un nostro connazionale stava male, e lui ha detto che dovevamo morire sulle macchine."

A dirigere le operazioni sarebbe stato Alim Mohammed Sheikh, 42 anni, che secondo Repubblica è stato arrestato insieme alla moglie, Popy Khatun, e ad altri quattro complici. Erano titolari di tre opifici tessili - ora sequestrati - che producevano per i marchi locali del Made in Italy.

La lotta dei lavoratori del Bangladesh è iniziata tre anni fa quando, grazie anche al supporto dell'associazione 3 Febbraio, i primi operai hanno sporto denuncia alle autorità giudiziarie e hanno iniziato a raccontare al paese lo sfruttamento a cui erano sottoposti.

Negli ultimi anni, infatti, si sono fatti sentire in diverse occasioni — con manifestazioni di protesta, una lettera e poi un incontro con Papa Francesco e partecipando ad assemblee e conferenze.

E proprio grazie alle denunce fatte contro i loro sfruttatori, ai lavoratori che si sono rivolti alle forse dell'ordine è stato concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Leggi anche: Prostituzione, schiavitù, abusi: nella società parallela dei migranti a Castel Volturno


Segui VICE News Italia su Twitter, su Telegram e su Facebook

Foto dell'Associazione 3 Febbraio