Il film ‘Snowden’ dimostra che l'America ha bisogno di nuovi eroi
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Il film ‘Snowden’ dimostra che l'America ha bisogno di nuovi eroi

Ieri è uscito nelle sale italiane l'ultimo film di Oliver Stone, che tratta delle vicende che hanno reso Edward Snowden il whistleblower più controverso dei nostri tempi.
Giulia Trincardi
Milan, IT

Il 24 novembre è uscito nelle sale italiane Snowden, l'ultimo film del regista premio oscar Oliver Stone, incentrato sulle vicende che nel 2013 hanno portato Edward Snowden, informatico sotto contratto con la CIA, a rivelare ad alcuni giornalisti il programma di sorveglianza di massa condotto segretamente dal governo USA—diventando il whistleblower più controverso dei nostri tempi: per alcuni protettore dei diritti umani, per altri traditore della patria.

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Il film di Stone assume una posizione netta riguardo questa dualità che Snowden ha finito per incarnare agli occhi della gente comune, e offre un ritratto metodico ed evocativo tanto dei fatti, quanto del bisogno americano di individuare nuovi eroi in cui credere.

Dall'incidente durante il servizio militare che spinge Snowden a contatto con le agenzie governative per continuare a "servire il proprio paese" in un altro modo, all'addestramento in Virginia, al primo incarico a Ginevra e i seguenti a Tokyo (per la Dell) e alle Hawaii, il film ci accompagna passo passo attraverso le fasi della vita—e della crisi personale—dell'informatico, fino alla scelta che lo costringerà all'esilio politico in Russia, dove tutt'ora vive.

Ma realizzare una trasposizione cinematografica su una storia recente come quella di Snowden è un'impresa non da poco e più controversa di quanto si possa pensare.

Immagine: Snowden

Da un lato, come lo stesso Stone ha dichiarato in un'intervista, quando l'intento registico è quello di raccontare un fatto che non si è ancora sedimentato univocamente nella memoria delle persone—ma è ancora oggetto di conflitto ideologico—è facile incontrare una certa resistenza sia a livello produttivo che di distribuzione, "Arrivati a un certo livello, esprimere una critica vera [in America] è impossibile," ha detto Stone. Il film—interpretato da Joseph Gordon-Levitt nel ruolo di Snowden—è stato infatti girato per lo più al di fuori degli Stati Uniti e finanziato da Francia e Germania. La cosa non sorprende, considerato come l'opinione pubblica e quella della classe politica sia ancora estremamente restia all'idea di concedere "la grazia" al whistleblower.

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Dall'altro lato, il fatto stesso di romanzare un evento prima che si sia sedimentato nella memoria collettiva è—in un certo senso—problematico, perché interferisce con la memoria stessa dei fatti. Mi spiego meglio: il cinema è un mezzo di comunicazione estremamente potente, senza dubbio in grado di plasmare le nostre idee. Una trasposizione cinematografica di un fatto storico—a meno che non siamo esperti della materia trattata e in grado di operare una critica profonda del prodotto—, manipola il ricordo di quel fatto e contribuisce alla solidificazione di una sua versione specifica. Estremizzo il discorso per fare un esempio pratico: mettiamo che io non abbia mai studiato la storia del regno inglese, ma abbia visto il film su Elisabetta con Cate Blanchett; quel film diventa la mia fonte di informazioni sull'argomento, attendibile finché una fonte contrastante non stimola la mia capacità critica.

In altre parole, quanto un film tratto da eventi reali possa essere prodotto in modo neutrale, non può esimersi dal trasmettere un messaggio politico: quella del regista, dello sceneggiatore, o—in casi più deprimenti—dei produttori. "Tutta l'arte è politica," d'altronde.

Nel raccontare i fatti di Snowden, Stone non fa mistero della propria posizione politica, e perché dovrebbe, in fondo. Le sue opere hanno spesso affrontato argomenti politici controversi: dalla guerra del Vietnam in Platoon (1986), all'omicidio di Kennedy in JFK (1991), alla violenza dei media con Assassini Nati (1994). Nel ritrarre il whistleblower con una particolare attenzione al dramma etico che lo attanaglia, nel mettere l'accento sulla relazione sentimentale con Lindsay Mills (interpretata da Shailene Woodley), sulle amicizie e sui conflitti con gli altri dipendenti dell'NSA e della CIA, e sul rapporto che Snowden instaura con i giornalisti e la regista—Laura Poitras, autrice dello splendido documentario Citizenfour—a cui affiderà la propria storia, il regista sfrutta una retorica specifica: spinge il pubblico a rispecchiarsi nel protagonista, nella sua umanità: cosa avreste fatto voi, sapendo ciò che sapeva Snowden? Avreste sacrificato tutto ciò che ha sacrificato lui, pur di diffondere la verità?

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Mentre l'opinione pubblica americana (e non solo) resta ancora fortemente divisa tra chi ritiene che Snowden sia un traditore e chi un eroe—né il presidente attuale Barack Obama né i candidati alla presidenza durante le elezioni appena concluse si sono dichiarati inclini a concedergli il perdono e la possibilità di tornare in patria— Stone spezza con decisione la sua lancia a favore dell'informatico, dipingendolo secondo i canoni archetipici del martire.

Persino nel modo in cui dirige le scene che contrappongono il protagonista al direttore della CIA, il regista costruisce una narrazione che funziona per archetipi, quasi come in una fiaba: quando Snowden parla per l'ultima volta con Corbin O'Brian—interpretato da Rhys Ifans—in videochiamata, il direttore della CIA appare enorme, titanico e gelido, in primo piano su uno schermo alto metri e metri. Non è più una persona con cui Snowden si rapporta, ma un simulacro dell'influenza governativa. Il suo sguardo indagatore, filtrato dallo stesso strumento—la webcam, una telecamera—che l'agenzia utilizza impropriamente per invadere la vita privata dei cittadini, è metafora del potere sproporzionato che l'uomo detiene. Se O'Brian è l'occhio che ci osserva, l'organo mastodontico che ci controlla, Snowden rappresenta il nostro incerto e ansioso riflesso nello schermo. Possiamo fidarci?

L'intera dinamica che porta Snowden dall'essere un uomo il cui entusiasmo per il proprio paese coincide con quello per il proprio governo, a diventare l'oppositore più duro e disincantato del sistema, è costruita narrativamente per farci introiettare il suo stesso dialogo. Stone non inventa la biografia del whistleblower: sappiamo che le sue posizioni politiche non sono state sempre le stesse anche nella realtà, che ha davvero perso la fiducia nella politica che aveva da giovane. Ma il fatto che il regista ci mostri pedissequamente questo iter psicologico è, di nuovo, il suo modo per confermare a un pubblico medio e ancora confuso le buone intenzioni di Snowden e la pericolosità di un sistema di sorveglianza di massa. Per scolpire nella pietra della pellicola questa versione della storia.

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Il film di Stone è stato accusato di "giocare sul sicuro" per il modo in cui incastona un argomento estremamente complesso nella bambagia di una fiaba d'azione, dove buoni e cattivi sono immediatamente individuabili e il finale sfiora il buonismo. Produrre un film di finzione su un fatto reale è problematico esattamente perché, per la natura stessa della sua struttura romanzata, rischia di remare contro al suo stesso interesse per lo sviluppo di un dibattito critico intorno all'argomento. Lo Snowden del film riesce nella sua missione, nel suo sacrificio, e rinasce come santo moderno, ormai in pace.

Ma il dibattito sulla sorveglianza è tutt'altro che sepolto: considerati anche i recenti sviluppi della politica americana e internazionale—con la salita al potere di figure estreme che si dichiarano favorevoli alla sorveglianza preventiva di comunità considerate "pericolose" come quella musulmana—, il gesto di Snowden, più che il finale positivo di un film di buoni e cattivi, rappresenta l'inizio di un'epoca dove non è ammissibile abbassare la guardia nei confronti delle istituzioni per cui sorveglianza equivale a sicurezza. D'altro canto, è facile intuire il motivo per cui Stone abbia deciso di confezionare una storia di eroi e d'azione: riuscire ad arrivare a quel pubblico medio tanto indeciso sul verdetto.

La differenza sostanziale tra un film documentaristico e uno di finzione sta nell'apporto che viene richiesto allo spettatore. Il pubblico di un documentario è decisamente più attivo, deve fare un investimento critico, partecipare al significato del prodotto in modo più profondo. Quando guardiamo un film che romanza un evento reale, invece, sospendiamo la nostra incredulità, accondiscendendo in modo più passivo al messaggio che ci viene trasmesso.

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Con Snowden, Stone ci racconta una storia che vuole essere immediatamente intellegibile e assimilabile: c'è un eroe, c'è la figura del mentore positivo—Nicolas Cage, nel ruolo di Hank Forrester, benevolo professore del corso di addestramento—, e di quello negativo (il direttore della CIA), ci sono gli aiutanti (gli altri informatici dell'NSA), c'è la "principessa" da proteggere (la figura della fidanzata Lindsay Mills incarna l'ingenuità di qualsiasi dei vostri amici abbia mai detto "cosa mi importa se mi spiano, tanto non faccio niente di male,"), c'è un climax conflittuale e uno scioglimento di speranza. Tutti elementi narrativi che sono hard-wired nel nostro inconscio. C'è persino una battuta su Capitan America.

A prescindere dall'opinione personale che si può avere sul film—che, se non altro, ci trasporta sicuramente dentro un avvincente intreccio di spionaggio—, è interessante analizzare la sua costruzione per comprendere un altro livello del discorso, uno forse più implicito, che riflette un disagio concreto di questo momento storico. Il mondo americano—e quello occidentale di rimbalzo—sta attraversando una sorta di crisi d'identità, in particolare la sua classe più liberale.

Le primarie e le elezioni presidenziali americane sono l'esempio perfetto di questa situazione instabile: da un lato, la diffidenza per l'establishment politico rappresentato da Hillary Clinton, dall'altro l'emergere di personaggi alternativi, come il senatore "socialista" Bernie Sanders—antitesi alla corrente moderata e capitalista che ha dominato la scena americana da sempre—e l'imprenditore/personaggio televisivo Donald Trump, che ha cavalcato temi populisti e vinto le elezioni.

In Snowden, emerge tanto il passato personale di Stone—che da cittadino repubblicano e soldato durante la guerra del Vietnam ha spostato le proprie opinioni verso fronti più critici ed "esterni" al sistema, esattamente come il protagonista del suo ultimo film—quanto l'urgenza più generale della classe liberale di trovare nuovi eroi, in un panorama politico che dall'11 settembre ha strumentalizzato la paura e il bisogno di sicurezza a discapito della iconica libertà americana. Dipingere Snowden come un eroe è forse un limite per la piena comprensione degli eventi del 2013, ma, magari, è ciò che serve per risvegliare una consapevolezza critica del governo nei cittadini. Forse, riuscirà anche ad alimentare il dibattito sulla sorveglianza tanto necessario in questo momento.

Snowden è stato presentato in anteprima in Italia il 14 ottobre in occasione della Festa del Cinema di Roma ed è disponibile dal 24 novembre in tutte le sale.