cibo e spionaggio
Illustrazione Vice ©François Dettwil
Cibo

Storie molto bizzarre che hanno come protagonisti cibo, ristoranti e spionaggio

Per i membri della comunità d’intelligence il cibo può diventare un’arma, un modo per trasmettere dei messaggi o una maniera per mescolarsi alla folla.
Alexis Ferenczi
Paris, FR
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT

“Una delle storie più bizzarre di spionaggio vede come protagonisti l’FBI, un panino al burro di arachidi e un ingegnere nucleare”

Da più di un secolo le spie di tutto il mondo hanno sfruttato la nostra fascinazione per il cibo, trasformandolo in qualcosa che va ben oltre un semplice e soddisfacente pasto. Per i membri della comunità d’intelligence internazionale il cibo ha una grande varietà di altri usi: può diventare un’arma, un modo per trasmettere dei messaggi e una maniera per mescolarsi alla folla.

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Ciò non significa ovviamente che si tratti di un modo infallibile per evitare l’identificazione e il riconoscimento. Nel settembre del 1940, la spia tedesca Karl Heinrich Meier era approdata nella città costiera inglese di Lydd di notte, dopo aver attraversato di nascosto la Manica su un peschereccio. Per cercare di confondersi tra la popolazione locale, Meier aveva ordinato una pinta di sidro alle dieci del mattino, dimenticandosi—o senza sapere—che le leggi inglesi del tempo proibivano la vendita dell’alcol prima di mezzogiorno. Per questo venne arrestato, processato e infine impiccato a Londra nel dicembre dello stesso anno.

Quell’anno Meier non fu l’unico a cadere vittima delle tradizioni culinarie britanniche: un altro agente venne infatti beccato con un bratwrust, una tipica salsiccia tedesca, tra i suoi averi. Entrambe le spie facevano parte dell’Operazione Lena.

“I ristoranti, i bar e le caffetterie sono essenziali per lo spionaggio”

La Seconda Guerra Mondiale si è rivelato un momento terribile per cercare di cavarsela con simili sotterfugi, soprattutto se si era incapaci di nascondere le proprie preferenze alimentari. Lo stesso discorso vale infatti per le spie inglesi inviate nei paesi del Mediterraneo, a causa delle loro scialbe e insipide abitudini alimentari. Secondo lo storico e scrittore Peter Taylor, l’MI6 aveva persino considerato l’ipotesi di produrre tavolette di cioccolato contenenti aglio, nel tentativo di imbrogliare la popolazione locale. Benché non si sia mai andati oltre il prototipo, rimane il fatto che è essenziale adattarsi alle abitudini culinarie del paese in cui si sta operando per evitare qualche brutto scherzo.

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Non a caso le spie hanno sempre utilizzato a dovere anche trattorie, ristoranti, osterie e simili per svolgere il proprio lavoro, e alcuni di questi posti hanno maturato col tempo una speciale aura di segretezza, divenendo così dei luoghi ideali per i pasti e le contrattazioni delle spie. “I ristoranti, i bar e le caffetterie sono essenziali per lo spionaggio,” spiega in un’intervista a NPR Amaryllis Fox, un ex agente della CIA che lavorava sul campo. “Ti forniscono un posto dove incontrare le persone che stai cercando o che ti servono. Qualche volta questi incontri sono fortuiti, ma la maggior parte delle volte vengono semplicemente agghindati per sembrare tali.”

Aragvi, un ristorante di Mosca, ha aperto i battenti nel 1938 per servire pietanze georgiane a una clientela composta da attori, campioni di scacchi e… ufficiali del KGB. Si trattava di un locale così amato dalla comunità spionistica russa che si diceva fosse stato il capo della polizia segreta di Stalin, Lavrentiy Beria, a progettare il ristorante. Persino Kim Philby, ex-agente britannico nonché una delle spie più famose del ventesimo secolo, aveva l’abitudine di frequentare il locale dopo la sua defezione in favore della Russia.

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Consegna una carta regalo di Starbucks a ognuno degli agenti operativi, dicendo loro, ‘Se avete bisogno di vedermi, prendetevi un caffè.’

Nel ventunesimo secolo è invece ben più probabile una spia possa spuntare in un fast food per svolgere i propri affari. In fondo si tratta di luoghi aperti fino a tardi e facilmente identificabili, benché anonimi; in sostanza, un luogo ideale per complottare e pianificare. Nella stessa intervista, Fox racconta anche che un istruttore della CIA insegnava agli agenti come comunicare con le carte regalo di Starbucks: “Consegna una carta a ognuno degli agenti operativi, dicendo loro, ‘Se avete bisogno di vedermi, prendetevi un caffè.’ Poi controlla ogni giorno il numero della carta su un computer di un cybercaffè e, se si accorge che il credito residuo è diminuito, sa di avere un appuntamento. Si tratta di un metodo che risparmia la perdita di tempo di guidare in giro alla ricerca di segnali convenuti, quali scritte col gesso o tapparelle abbassate. In più, i numeri della carta non sono legati a delle precise identità e rendono il procedimento particolarmente sicuro.”

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Una delle storie più bizzarre di spionaggio recente vede come protagonisti l’FBI, un panino al burro di arachidi e un ingegnere nucleare di 42 anni di nome Jonathan Toebbe. Toebbe è stato accusato da una corte americana di aver venduto e condiviso diverso materiale segreto, riguardante un sottomarino atomico statunitense, a quello che sembrava essere il rappresentante di un governo straniero. La persona in questione si è rivelata invece essere un impiegato dell’FBI. Dopo molte contrattazioni, Toebbe si era accordato per una consegna iniziale dei file in cambio di poco meno di 10.000 euro in criptovalute. E poi, secondo i documenti ottenuti da Associated Press, aveva inserito la scheda di memoria in un panino al burro di arachidi. Hanno fatto seguito ulteriori transazioni e a un certo punto i file sono passati anche in un pacchetto di gomme da masticare. Alla fine l’uomo è stato arrestato il 9 ottobre 2021 con l’accusa di tradimento ed è in prigione in attesa di processo.

Su una nota più leggera, considera che, senza la golosità di queste spie, in alcuni luoghi oggi non sarebbero disponibili determinati frutti. Come ad esempio la fragola, che discende dalle piante portate dal Cile da Amédée François Frézie—una spia inviata dai regnanti di Francia al volgere del diciottesimo secolo. La sua missione era quella di studiare le fortificazioni—e non la flora locale—ma restò invece colpito dalla dolce fragranza del frutto. Un punto in meno per le spie, uno in più per la cucina.

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