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VICE News

Incarcerare le persone affette da malattie mentali ci rende tutti meno sicuri

Ad oggi 2,4 milioni di persone sono imprigionate nelle carceri americane, e più della metà di queste sono stati diagnosticati problemi di salute mentale.
Sakeeb Sabakka

In partnership con l'American Justice Summit.

Più di 40 anni fa, un'epidemia si è diffusa negli Stati Uniti—un'epidemia di incarcerazione di massa.

L'epidemia venne aizzata dall'approccio duro del Presidente Nixon contro la criminalità e poi rinfocolata in seguito da decenni di riforme; oggi, 2,4 milioni di persone sono imprigionate nelle carceri statali e federali degli USA. Metà di loro sono lì per reati correlati alla droga, non per atti violenti. Dal momento che la malattia mentale e l'abuso di sostanze vanno spesso di pari passo, la piaga dell'incarcerazione di massa ha reso improvvisamente familiare a milioni di americani il problema delle malattie mentali. Infatti, a più della metà delle persone oggi in carcere in America - 1,26 milioni - sono stati diagnosticati problemi di salute mentale.

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Una di quelle persone è mio figlio.

Accusato di tentato furto e di un incendio doloso, la malattia mentale ha giocato un ruolo centrale nel suo arresto e nella sua detenzione; la vicenda ha catapultato anche noi, la sua famiglia, nelle pieghe più recondite di un sistema mal funzionante. Mio figlio ha combattuto contro la malattia mentale e la dipendenza da droghe per tutta la vita, ricevendo in cambio una mezza dozzina di diagnosi diverse—dal disturbo oppositivo provocatorio all'autismo. Il suo comportamento è peggiorato dopo la morte di sua madre, e mi ha portato alla decisione di iscriverlo a una serie di scuole per studenti con necessità speciali.

Dopo avere tentato di percorrere ogni opzione possibile a livello medico e scolastico, a 18 anni mio figlio è stato arrestato per avere cercato di rubare un'automobile insieme a un amico. È stato arrestato a poche centinaia di metri dal mio ufficio; da quanto ho capito in seguito, il tentato furto era collegato più a un suo bisogno di socializzare e a una generica impulsività che a un vero e proprio intento criminale.

Circa un anno dopo quel primo episodio, mio figlio si era convinto di essere pedinato da uno spacciatore. Ha chiamato la polizia, che l'ha ignorato, ha raccolto tutta la spazzatura che ha trovato attorno al suo appartamento, l'ha stipata nel forno, ha acceso un fuoco, e infine chiamato i Vigili pensando che lo avrebbero protetto. Al contrario, è stato arrestato con l'accusa di avere appiccato un incendio doloso.

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Il 98 per cento delle persone incarcerate fa rientro in società. Quelli con seri problemi mentali, spesso, ritornano con traumi più profondi di quelli che avevano prima di essere arrestati. Mio figlio ha passato due anni nel famoso complesso carcerario di Rikers Island, a New York, in attesa del processo; oggi, è incarcerato più a Nord, dove sconterà quel che resta della sua condanna a cinque anni. Luoghi di detenzione come quello di Rikers Island non hanno le strutture adatte a fornire i servizi che persone come mio figlio necessitano, e troppe prigioni ricorrono all'isolamento per i detenuti cui sono stati riscontrati problemi mentali. L'isolamento è riconosciuto a livello internazionale come dannoso per la salute umana, ma è deleterio soprattutto per la buona condotta di quelli che vi sono sottoposti.

L'epidemia dell'incarcerazione di massa ha coinciso con l'esperimento sociale fallito della cosiddetta de-istituzionalizzazione, il rilascio dei pazienti e il loro ritorno nella società. A partire dagli anni '50, le persone che vivevano nei grandi ospedali psichiatrici vennero dimesse con la speranza che le sostanze psicotrope e le comunità di recupero li aiutassero nel processo di reinserimento. Al contrario, a causa della mancanza di servizi adeguati e della troppa fiducia nell'efficacia delle medicine e nella capacità degli ex pazienti di mantenersi a distanza da altre droghe, le persone con malattie serie finirono per essere re-istituzionalizzate—stavolta, però, all'interno delle carceri.

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Nel 1955, circa 550.000 pazienti si trovavano negli ospedali psichiatrici. Nel 1994, questo numero si era ridotto a 70.000. Oggi, ci sono solo 40.000 posti letto per ricoverarli, mentre la popolazione americana è raddoppiata nell'arco di questi sessanta anni. E così, decine di migliaia di persone con serie malattie mentali vivono in carcere, rendendo luoghi di detenzione come il Cook County Jail di Chicago o Rikers Island i principali "ospedali psichiatrici" del paese.

Rinchiudere le persone con "l'accusa" di essere malati di mente, perché ci manca la spinta politica o umana per fornire trattamenti adeguati alla loro condizione non è solamente vergognoso, ma è anche molto costoso. Per esempio, un prigioniero qualunque in Texas costa allo stato circa 19,500 euro all'anno, mentre l'incarcerazione di una persona malata arriva a costare anche 48.000 euro. La spesa per le sostanze psicotrope necessarie a un prigioniero che ne ha bisogno può costare più del vitto.

La crescita dei costi è dovuta anche alla lunghezza media della permanenza di queste persone. A Rikers Island, il periodo medio è di 42 giorni per i detenuti "normali," mentre quelli con problemi mentali ci restano in media 215 giorni. Perché? Perché questi ultimi non riescono ad adattarsi alle ferree regole vigenti nelle carceri, e questo spesso gli costa un allungamento della reclusione come sanzione punitiva.

Fortunatamente, le persone in prima linea in questo collasso nazionale del sistema psico-sanitario - i malati e le loro famiglie, i secondini, e alcune organizzazioni come NAMI, People, Inc. e CASES - stanno lottando per fare approvare programmi di reinserimento e alternative all'incarcerazione per coloro che soffrono di malattie mentali. Questi sforzi possono salvare vite e farci risparmiare soldi.

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Uno dei programmi d'intervento più innovativi è quello proposto dal Center for Health Care Services (CHCS) di San Antonio, in Texas, che fornisce servizi su misura per i senzatetto, le persone con problemi giudiziari e le loro famiglie, oltre a sostegno medico per i poveri e gli indigenti. CHCS afferma che i suoi programmi fanno risparmiare allo stato circa 8,85 milioni di euro ogni anno.

Come risultato della mia esperienza familiare, ho deciso di fondare il Greenburger Center for Social and Criminal Justice. Uno dei nostri obiettivi principali è sviluppare un'alternativa al carcere per coloro che soffrono gravi malattie mentali o disturbi di personalità e che possono rappresentare un rischio per se stessi o gli altri, commettendo crimini. Dobbiamo trovare risposte migliori, diverse dagli ospedali psichiatrici degli anni '50, diverse dalle carceri di oggi. La situazione attuale non serve a nessuno—rendendoci tutti, allo stesso tempo, meno sicuri.

Francis Greenburger è presidente e fondatore del Greenburger Center for Social and Criminal Justice. 

Segui il Greenburger Center on Twitter: @greenburgerorg Segui VICE News Italia su su Twitter e su Facebook

Foto via Flickr