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Un cartello messicano ha sterminato un intero villaggio alla caccia di tre 'traditori'

Più di 300 persone sarebbero scomparse dopo che un commando dei Los Zetas ha assediato la cittadina di Allende nel marzo del 2011.
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Foto di Gabriel Nuncio/VICE.com

È il pomeriggio del 18 marzo 2011, quando più di 60 sicari appartenenti a una delle organizzazioni criminali più temute del Messico si stanno dirigendo verso un ranch a nord del paese.

A bordo di alcuni camion, il cartello dei Los Zetas sta raggiungendo la sua destinazione: Allende, cittadina dello stato di Coahuila.

Gli abitanti ancora non sanno che quello che sta per cominciare sarà un weekend di terrore, nel quale decine di loro perderanno la vita.

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Verso le sei e mezza di sera alcuni membri del cartello sfondano la porta del ranch Los Garza con un furgone. Con grande stupore, di fronte a loro si trovano quattro donne e due bambini.

I componenti del gruppo "dell'ultima lettera" - come sono noti in patria i Los Zetas - fanno irruzione sparando colpi a raffica e sequestrando chiunque intralci il loro cammino.

Poi si mettono a perlustrare la città alla ricerca di tre persone: Alfonso Cuéllar, 'El Poncho', Héctor Moreno, 'El Negro' e Luis Garza, 'La Güiche'.

I tre ricercati fanno parte del cartello ma i suoi leader, Miguel Ángel Treviño Morales e Omar Treviño Morales, non si fidano più di loro.

I Treviños sospettano che 'El Poncho, 'El Negro' e 'La Güiche' stiano collaborando con la DEA, l'agenzia americana antidroga. Alle autorità, i tre avrebbero rivelato il funzionamento di un elaborato sistema di riciclaggio di denaro mediante la vendita di cavalli purosangue; a gestire il sistema è José Treviño, fratello maggiore dei due boss.

È esattamente per questo motivo che i leader de Los Zetas hanno ordinato la cattura e l'assassinio dei presunti traditori. Un comando che, però, ha dato il via a un'operazione di sterminio di massa sulla quale, cinque anni più tardi, non si hanno ancora dati certi.

Gl unici elementi a disposizione sono contenuti in una relazione presentata pochi giorni fa dal Comitato Esecutivo per l'Attenzione delle Vittime. Lo studio si basa sui casellari giudiziari, i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani e le testimonianze dirette dei presenti.

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Prima dell'avvio del raid, i boss de Los Zetas avrebbero ordinato ai 20 agenti della polizia municipale di Allende di non pattugliare il villaggio o rispondere alle richieste di aiuto dei cittadini. E il comando, durante l'attacco, è stato rispettato in pieno dai poliziotti.

La caccia ai 'tre traditori' si è prolungata per tutto il fine settimana.

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Durante quelle ore Los Zetas hanno preso il controllo della città, gettando la popolazione locale nel panico. Trentadue case e due ranch sono stati saccheggiati, devastati e rasi al suolo. Diverse persone, tra cui i membri della famiglia Galarza, sono stati rapiti. Li hanno radunati per poi ucciderli tutti insieme alle otto di domenica sera, alla fine di quel weekend di terrore.

Le autorità parlano di circa 26 omicidi, ma nella relazione queste persone vengono considerate come scomparse perché "mancano prove conclusive che provino la loro morte."

Tuttavia, nel 2013 'El Negro', Héctor Moreno, ha dichiarato in un'udienza del processo contro José Treviño che il numero delle persone scomparse da Allende potrebbe superare quota 300.

Per insabbiare le prove facendo sparire i cadaveri, i Los Zetas hanno utilizzato metodi diversi in ognuno dei ranch assaliti. A Los Galarza i killer hanno radunato i corpi di morti e feriti nella cantina prima di cospargere l'abitazione di benzina e dargli fuoco.

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"L'incendio è durato per tutta la notte, fino a quando dei corpi non rimaneva altro che cenere," si legge nella relazione.

Nel ranch de Los Tres Hermanos, invece, i corpi sono stati inseriti in diversi barili, che erano stati tagliati sul fondo e sui lati. Poi i sicari hanno gettato del gasolio per far sì che prendessero fuoco. "Dopo cinque o sei ore, i corpi erano cotti. Ciò che rimaneva era puro burro," racconta uno dei due autori. I resti sono, infine, stati gettati in un pozzo.

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Alla violenza del cartello sono sopravvissuti due minorenni: una bambina di cinque anni e uno di tre. Sono stati consegnati a una casa famiglia della regione da un poliziotto che lavora per il cartello. Oggi i due bambini vivono con dei parenti che hanno potuto accoglierli.

Per i tre ricercati da Los Zetas, la sorte è stata migliore. Oggi sono ancora vivi e si trovano negli Stati Uniti. 'El Poncho' e 'El Negro' sono collaboratori di giustizia della DEA, l'agenzia antidroga americana.

Nel marzo del 2012, un anno dopo quell'ondata di violenza, sono stati rapiti altri membri della famiglia Garza: una coppia e i loro due figli, un bambino di sei anni e un neonato che non aveva ancora passato i 12 mesi di vita.

La relazione denuncia, infine, che la scarsa precisione dei dati è dovuta alla poca trasparenza delle istituzioni messicane e americane.

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La scarsa chiarezza degli Stati Uniti ostacola il raggiungimento della verità. [Gli USA] sono in possesso di informazioni importanti per comprendere che cosa sta accadendo in Messico," si legge nel testo.

Il documento, inoltre, riporta come né la Procura Generale della Repubblica, né il Segretariato delle Relazioni Pubbliche hanno reso accessibili le informazioni in grado di fornire chiarezza sull'accaduto.

"È necessario ricordare che lo Stato è obbligato a prevenire le violazioni dei diritti umani, affinché venga fatta giustizia e che i danni causati siano ripagati. Perché ciò avvenga - e perché le vittime e la società possano appurarlo - è fondamentale mantenere un approccio rigoroso nella ricerca della verità," si legge nel documento.


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