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Stato Islamico

Come l’Occidente può concretamente sconfiggere lo Stato Islamico

Dopo gli attacchi di IS a Parigi, cosa succederà alla Siria? I paesi occidentali dovrebbero inviare le truppe sul campo per combattere contro il gruppo terroristico?
Foto di Armin Weigel/EPA

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Mentre la coalizione guidata dagli Stati Uniti continua a combattere lo Stato Islamico (IS), le quotazioni degli alleati dell'Occidente sul terreno siriano e iracheno sembrano in ascesa.

Questi miglioramenti sono tuttavia stati più lenti del previsto, e la previsione del governo britannico - secondo cui serviranno almeno altri tre anni per ottenere la vittoria - potrebbe non essere sbagliata. In ogni caso, la recente serie di vittorie ottenute dagli alleati nella regione indicherebbe che la strategia del Pentagono sta funzionando, sebbene con lentezza.

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Gli attacchi simultanei e vincenti nella città siriana di al-Hawl e nella località irachena di Sinjar sono la dimostrazione di una strategia che aspira a frantumare il grande 'oceano nero' di IS in una serie di città-stato, isolate le une dalle altre. Un po' come l'offensiva lanciata nel 2014 dalle forze peshmerga curde nelle strade attorno a Mosul, la presa di Sinjar e al-Hawl ha messo alla prova le tratte di rifornimento di Daesh tra i suoi due centri urbani più importanti - Raqqa e Mosul - indirizzando i movimenti via terra del gruppo di al-Baghdadi attraverso strade sconnesse e più vulnerabili nel deserto del sud.

Queste conquiste - un po' come altre vittorie recenti ottenute dai combattenti curdi siriani dell'YPG a Kobane, Tal Abyad, Suluk, Ayn Issa e Hasakah - sono state abbondantemente coadiuvate dagli attacchi aerei americani, che hanno fatto a pezzi le difese dello Stato Islamico agevolando gli attacchi di terra dell'YPG e delle milizie ausiliarie cristiane e arabe sunnite, che ora operano sotto il nome di Forze Siriane Democratiche (SDF).

Allo stesso modo, l'assalto vittorioso a Sinjar della scorsa settimana indica al contempo i punti di forza e quelli di debolezza dell'approccio militare della coalizione. Dopo 15 mesi di dominio di IS su Sinjar, che ha comportato i massacri di civili Yazidi e la trasformazione delle donne in schiave del sesso su scala industriale, la lunga stagnazione della situazione in città è stata finalmente interrotta da un'ondata di bombardamenti aerei richiesti dalle forze speciali americane e britanniche, che hanno spalleggiato la più grande azione militare di terra mai condotta dai peshmerga: 7.500 truppe, fornite dall'YPG, milizie yazide, alleati del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK) hanno scagliato una controffensiva contro poche centinaia di combattenti dello Stato Islamico.

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Questo aumento di possibilità in favore della coalizione sarà difficile da replicare nelle terre controllate dallo Stato Islamico nell'Arabia sunnita, soprattutto a causa della debolezza dei pochi alleati dell'occidente nella regione.

Inoltre, l'assalto a Sinjar è stato rimandato per settimane a causa del disaccordo tra i peshmerga e l'YPG su chi potesse assumersi il merito della liberazione della città. La politica curda è frammentaria, sia a causa dei confini arbitrariamente imposti dall'estero, sia per le discussioni interne sugli acronimi da loro stessi utilizzati. Così, tenere unite frazioni rivali per una causa comune sarà un impegno complesso, reso ancora più difficile dalla campagna militare e diplomatica portata avanti dalla Turchia contro PKK e YPG.

Ora che i peshmerga hanno preso il controllo di Sinjar, con l'intenzione di annetterla alla loro regione autonoma del Kurdistan, la maggior parte degli obiettivi di guerra posti dal Governo Regionale del Kurdistan (KRG) è stata raggiunta. Resta ancora poco chiaro che ruolo avranno i peshmerga nel percorso lungo e pieno di ostacoli che dovrebbe portare alla riconquista di Mosul, sempre che ne avranno uno; allo stesso modo, restano ancora da determinare le dimensioni dell'esercito di arabi sunniti che i curdi iracheni stanno addestrando per questo scopo. È altamente probabile che ora i peshmerga giocheranno un ruolo prevalentemente difensivo, mantenendo le proprie posizioni al sicuro sia dai contrattacchi di IS, sia - cosa più problematica per la coalizione - da qualsiasi tentativo delle milizie sciite del PMU di riconquistare il controllo di Sinjar e Kirkuk, come testimoniato dai leggeri scontri avvenuti tra i peshmerga e lo stesso PMU per il controllo di Tuz Khurmatu.

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Nel processo di costruzione di un'ampia coalizione contro IS, gli Stati Uniti hanno trovato difficoltà nel contenere gli obiettivi - profondamente diversi - degli alleati. I regni arabi sunniti che Washington originariamente aveva pensato potessero entrare in prima linea nel conflitto si sono silenziosamente fatti da parte, concentrandosi invece sul fronte della guerra in Yemen, espressione di un tentativo di tenere a bada un Iran sempre più risoluto.

Il governo di Baghdad ha cominciato a raccogliere qualche successo contro IS, riottenendo il controllo di Tikrit e Baiji, preparandosi per un attacco a Ramadi, e infine controllando la strada che porta da Baiji a Mosul per compiere offensive future. Ciò nonostante, la dipendenza della campagna militare di Baghdad dalle milizie sciite finanziate dall'Iran - alcune delle quali sono considerate organizzazioni terroristiche e che hanno fatto ampio uso della retorica anti americana - costringe gli Stati Uniti a esitare sulla possibilità di fornirgli pieno appoggio finanziario, un'esitazione che porta poi ad un ripensamento degli sciiti sull'alleanza con l'America e li spinge piuttosto a una collaborazione con l'Iran prima, e la Russia poi.

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Aerei da attacco russi combattono i ribelli (non di IS) nella Siria occidentale.

Missili da crociera russi diretti verso la Siria.

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Probabilmente l'alleato più problematico è la Turchia. Da un lato la vicinanza delle basi aeree turche con le prime linee nel nord della Siria permette all'USAF di stazionare sopra i campi di battaglia alla ricerca di bersagli IS. Dall'altro lato invece la politica permissiva della Turchia per quel che riguarda la presenza di IS ai suoi confini ha permesso al gruppo di far transitare i suoi combattenti da una parte all'altra del confine senza problemi, e di procurarsi una grande quantità di materiali necessari per la composizione delle munizioni artigianali che sono alla base della loro potenza militare.

Forse l'ostacolo più grande a un assalto della coalizione contro Raqqa è il fatto che IS controlla Jarablus, l'ultimo valico di frontiera con la Turchia in mano al gruppo. Senza Jarablus, IS sarebbe privato dei fondi derivanti dal mercato transfrontaliero, non potrebbe più rifornirsi di materiali esplosivi e non riuscirebbe a far arrivare con facilità le sue cellule terroristiche in Occidente.

Tuttavia la missione storica dell'YPG (e ora delle Forze Siriane Democratiche) di conquistare Jarablus è stata ostacolata più dalle pressioni turche che dalle scarse capacità militari. La Turchia ha dichiarato in diverse occasioni che contrasterà con una schiacciante potenza militare qualsiasi assalto curdo contro le postazioni di IS a Jarablus, sostenendo invece che un'incursione di terra turca risolverebbe finalmente il problema.

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Il sanguinoso attacco di Parigi potrebbe contribuire a risolvere finalmente la questione. Il fatto che la Turchia preferisca IS ai curdi non è più solo una questione politica interna, ma mette a dura prova la capacità dell'Occidente di proteggere i suoi cittadini.

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Per cercare di rabbonire la Turchia, gli americani sostengono che il supporto che stanno dando alle SDF, guidato dai curdi, tramite raid aerei - e ora anche tramite la distribuzione di munizioni e la presenza delle forze speciali americane sul campo con i combattenti curdi - è invece diretto ad aiutare la Coalizione Araba Siriana, un nome che è stato inventato da un addetto stampa del Pentagono.

Tuttavia, non si tratta di pura finzione. I curdi siriani sono consapevoli del fatto che la tolleranza del loro governo nelle zone arabe sunnite sarà come minimo limitata, e hanno cercato di procurarsi degli alleati militari tra le popolazioni per gestire le zone appena conquistate. Nell'area desertica di Hasakah il compito è ricaduto su Jaish al-Sanaddid, una confederazione di combattenti beduini discendenti dalla "casta reale" della tribù Shammar, la cui bandiera rosso-oro sventola oggi sui villaggi desertici dell'Hasakah.

'Questo ragionamento si regge sul presupposto che le decisioni strategiche di IS siano valide e sensate.'

Nelle regioni più popolose di Raqqa ora sotto il controllo delle Forze Siriane Democratiche, domina la bandiera ribelle siriana che è stata adottata da gruppi come la Brigata Rivoluzionaria di Raqqa, la quale vuole guidare la riconquista della città diventata "capitale" di IS. Dopo essere stata a lungo subordinata all'YPG, la Brigata ha iniziato una campagna di reclutamento, spesso non volontario, nei villaggi arabi sotto il suo controllo.

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Nelle ultime settimane sono circolati dei video che indicano un'improvvisa e marcata espansione delle capacità militari del gruppo per quel che riguarda il numero di combattenti e le quantità di veicoli e armamenti—espansione che sicuramente continuerà con un maggiore sostegno dell'Occidente. Nonostante le tensioni tra i ribelli di Raqqa e il partito curdo PYD su chi debba governare la città di Tal Abyad, con una popolazione mista curda e araba, probabilmente l'alleanza rimarrà in piedi finché esiste la possibilità di conquistare Raqqa e continuare a ricevere il sostegno americano.

Per i ribelli siriani non allineati con i curdi, invece, le prospettive non sono buone. L'intervento militare russo nel paese potrebbe aiutare la posizione del regime dopo una serie di vittorie ribelli nel nord-ovest del paese nell'ultimo mese.

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La propaganda russa sostiene che l'intervento sia diretto contro IS, mentre i falchi anti-Russi ritengono che abbia come obiettivo i ribelli: la verità sta da qualche parte nel mezzo. Il sostegno aereo dei russi ha aiutato l'esercito siriano a sconfiggere IS nel lungo assedio della base aerea di Kweiris, nelle campagne di Aleppo, e stando alla propaganda russa probabilmente porterà a breve alla riconquista di Palmira. Tuttavia molti degli sforzi si sono concentrati sul nord-ovest del paese, dove IS non è presente, dominato da un gruppo misto di ribelli che va dai gruppi moderati armati dagli Stati Uniti alle fazioni di al Qaeda.

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A dire il vero è improbabile che gli Stati Uniti si lamenteranno della campagna russa che sta indebolendo al Qaeda, anche a scapito dei propri alleati moderati. Il principale braccio siriano di al Qaeda, Jabhat al Nusra, ha effettivamente piantato i semi degli eventi successivi quando ha annientato i gruppi fedeli agli americani nel nord-ovest della Siria, e presto ne raccoglierà i frutti con l'accettazione dei raid russi da parte degli americani.

Probabilmente causerà una silenziosa divisione della Siria in sfere di influenza americane e russe: gli alleati americani come il Nuovo Esercito Siriano o la SDF consolideranno il loro dominio nell'est del paese, mentre gli alleati dei russi comanderanno a ovest. Saranno poi probabilmente raddoppiati gli sforzi per ottenere un cessate il fuoco tra i ribelli e il regime, mettendo da parte l'obiettivo politico dell'Occidente di deporre Assad e permettendo alle forze internazionali di concentrarsi sulla lotta a IS.

'IS è in guerra con l'Occidente, che lo si voglia o no.'

Questo è un esito profondamente ingiusto per i ribelli siriani e per i civili nelle zone sotto il loro controllo, che hanno sofferto molto di più per i raid aerei indiscriminati del regime che per le azioni di IS. Alla fine tuttavia i politici occidentali faranno probabilmente un calcolo pragmatico: la sicurezza dei loro elettori è più importante dei doveri umanitari verso la popolazione siriana — una valutazione che sia i russi che Assad hanno cercato di smentire a tutti i costi. Un'operazione occidentale in Siria rischia di scatenare una percezione di tradimento, ma la risposta probabilmente si svilupperà nel corso di decenni, non di anni o mesi.

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Il bilancio del 2015 appare drammatico per IS. Il gruppo ha portato a casa due importanti vittorie quest'anno: a Palmira e nel deserto di Homs in Siria, e a Ramadi in Iraq. Entrambe le conquiste saranno probabilmente perse nelle prossime settimane. Il gruppo ha perso il controllo di migliaia di chilometri quadrati di territorio nel nord-est della Siria e nel nord-ovest dell'Iraq, tra cui alcuni dei suoi avamposti cittadini più importanti. La guerra per procura contro il gruppo sta finalmente dando risultati, ma molto lentamente. Ma i governi e gli analisti occidentali stanno iniziando a prendere in considerazione quello che una volta era ritenuto impensabile: l'idea di inviare in Siria truppe di terra per combattere direttamente contro IS.

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Ci sono svariati motivi - spesso anche validi - per cui un intervento di terra delle truppe occidentali potrebbe essere un errore. È chiaro che Obama voglia rimandare il più possibile la decisione, in modo da lasciarla in eredità alla prossima amministrazione—visto il risultato della prima disastrosa disavventura americana in Iraq.

Tuttavia le similitudini con l'invasione del 2003 e la conseguente occupazione tengono solo fino a un certo punto. La convinzione che le forze sul campo porterebbero inevitabilmente al rancore delle popolazioni locali e quindi alla resistenza deriva da quell'esperienza di invasione unilaterale con un sostegno internazionale limitato e poca partecipazione locale. L'intervento occidentale a sostegno di alleati locali già affermati assomiglia più al dispiegamento di alcune truppe americane nel nord dell'Iraq nel 2003 per supportare i peshmerga, che sono riusciti ad ottenere, sempre nei limiti degli standard della regione, uno stato stabile e funzionante.

La recente esperienza francese in Mali ha dimostrato che è possibile riconquistare repentinamente i centri urbani caduti nelle mani di gruppi jihadisti, ma rimane difficile governare il paese in assenza di alleati locali efficienti. Senza un'impegno coordinato a livello internazionale per porre fine alla guerra tra i ribelli siriani e Assad, probabilmente il dispiegamento di truppe occidentali sarà fallimentare. Potrebbe essere considerato una vittoria se si ritiene che i fragili e parziali accordi di pace in Bosnia o in Libano siano stati un successo.

Secondo altri, il dispiegamento di truppe sul campo non sarebbe una buona idea perché è ciò che vorrebbe IS. Il gruppo vuole che l'Occidente rimanga imbrigliato in Medio Oriente, e crede che questo contribuirà alla sua vittoria finale. Tuttavia questo ragionamento si regge sul presupposto che le decisioni strategiche di IS siano valide e sensate.

Il terzo e ultimo motivo per cui un intervento di terra sarebbe un errore è che ci sarebbero molti morti su campo, e che l'intervento sarebbe criticato pesantemente in Occidente. Tuttavia, le critiche sono già iniziate indipendentemente dall'invio di truppe sul terreno. Saranno gli elettori della comunità internazionale a dover decidere se sia preferibile la morte in Medio Oriente di soldati ben equipaggiati e pronti a difendersi o l'uccisione di civili occidentali nelle loro città o nei luoghi di villeggiatura.

IS continuerà a colpire gli interessi occidentali dove e quando potrà, indipendentemente dalle decisioni prese dai leader dei paesi occidentali. Resta da decidere se sia preferibile diluire l'attuale strategia e sconfiggere il gruppo nei prossimi anni, o se ci sia bisogno di distruggere la capacità del gruppo di attaccare l'Occidente nei prossimi mesi. IS è in guerra con l'Occidente, che lo si voglia o no. L'Occidente annienterà IS, che il gruppo lo voglia o no. Rimane da decidere come e quando accadrà.


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