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diritto all'aborto

Il Consiglio d’Europa conferma che l’aborto in Italia rimane un diritto a metà

In un documento pubblicato oggi, il Comitato europeo per i diritti sociali ha dichiarato "ammissibile" il ricorso presentato nel 2013 dalla CGIL.
Una manifestazione anti-abortista. [Foto via Flickr/HazteOir.org]

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Il Consiglio d'Europa bacchetta l'Italia, accogliendo la mozione della CGIL sull'aborto: secondo l'organizzazione continentale, l'applicazione inadeguata della legge 194 nel nostro paese comporterebbe violazioni del diritto alla salute per le donne e discriminazioni sul lavoro per i non obiettori di coscienza.

In un documento pubblicato oggi, lunedì 11 aprile, il Comitato europeo per i diritti sociali dichiara "ammissibile" il ricorso presentato nel 2013 dalla CGIL, confermando che, in Italia, le donne che vogliano accedere ai servizi di aborto continuano a dover affrontare "sostanziali difficoltà," nonostante le vigenti disposizioni di legge.

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Il Comitato evidenzia come le strutture sanitarie italiane non abbiano adottato misure necessarie a garantire un servizio adeguato a fronte delle alte percentuali di personale obiettore di coscienza, costringendo le donne che vogliano abortire a recarsi altrove, presumibilmente in strutture private, in Italia o all'estero, ad agire senza il supporto o il controllo delle autorità competenti, o a rinunciare ai servizi d'interruzione di gravidanza a cui avrebbero diritto.

Per quanto riguarda il personale sanitario non obiettore, inoltre, il Comitato concorda con la CGIL nel rilevare diversi svantaggi lavorativi — tra cui eccessivo carico di lavoro, iniqua distribuzione dei compiti, e mancanza di opportunità per l'avanzamento professionale.

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Il Consiglio d'Europa, che ha sede a Strasburgo, non fa parte dell'Unione Europea: è "un'organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti dell'uomo, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa."

Nella documentazione presentata al Comitato, la CGIL aveva incluso una serie di dati sui tassi di obiezione di coscienza nel nostro paese, in forte crescita dal 2005 per tutte le categorie interessate: medici ginecologi, anestesisti e personale sanitario.

Per la categoria dei medici ginecologi, gli ultimi dati rilasciati dal ministero della Salute nel 2015, relativi al 2013, riportano una media nazionale del 70 per cento, con percentuali ancora più allarmanti registrate in diverse regioni d'Italia — prima fra tutte il Molise, con un picco del 93,3 per cento di obiettori.

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L'articolo 9 della legge 194 del 1978 stabilisce il diritto all'obiezione di coscienza per il personale sanitario ed ausiliario, ma sancisce anche che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate devono assicurare il servizio d'interruzione di gravidanza, "anche attraverso la mobilità del personale."

Nonostante ciò, la legge non prevede misure specifiche perché il diritto all'obiezione e il diritto all'aborto vengano rispettati in maniera funzionale.

Già nel marzo del 2014, lo stesso Comitato aveva rilevato come l'alto tasso di obiettori in Italia costituisse una violazione dei diritti delle donne ad accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza.

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Foto in apertura di HazteOir.org via Flickr in Creative Commons