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Italia

Cosa pensano gli studenti USA a Firenze della 'questione americani in città'

Dopo le sfortunate dichiarazioni di Nardella sul caso dei carabinieri accusati di stupro, a Firenze si è tornati a parlare anche della convivenza con gli studenti in città.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Thumbnail via Flickr.

Sabato scorso, commentando il caso delle studentesse americane a Firenze che hanno accusato di stupro due carabinieri, il sindaco Dario Nardella—dopo aver sottolineato la serietà della situazione—ha rilasciato alcune dichiarazioni molto criticate: "È importante che gli studenti americani imparino, anche con l'aiuto delle università e delle nostre istituzioni, che Firenze non è la città dello sballo. […] Mi piacerebbe che fossero più integrati nella vita culturale e collettiva, e non considerassero Firenze soltanto una Disneyland."

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Al di là del fatto che Nardella potesse risparmiarsi tali considerazioni in un momento come questo, e mentre la narrazione sul caso delle studentesse si fa sempre più grottesca, le sue parole hanno riaperto un dibattito che per i fiorentini va avanti da tempo: "il problema americani a Firenze." Firenze infatti è la città italiana con più distaccamenti e sedi dislocate di università americane, e stando ai dati analizzati dalla Cgil nel 2012, i nuovi studenti statunitensi che ogni anno arrivano a Firenze sono più o meno 5.000. Solo Roma registra presenze più alte.

Mettendo per un attimo da parte quest'ultimo fatto di cronaca—la cui gravità indiscussa non ha niente a che vedere con quello che segue e tantomeno con le nazionalità dei soggetti—vero è che la coesistenza tra fiorentini e studenti americani negli ultimi anni non è stata semplice, con innumerevoli episodi balzati alle cronache e l'idea, salda in molti cittadini, che i giovani americani siano genericamente supponenti e irrispettosi quando non direttamente presenze sgradite.

Per capire come la questione americani a Firenze sia vissuta dai diretti interessati, ho deciso di passare una giornata in giro per il centro storico, vistando le sedi di alcune delle università americane e i locali attorno a piazza Santa Croce che gli studenti sono soliti frequentare.

"Ovviamente quello che è accaduto in questi giorni ha creato fra molti di noi la tipica paura che causano i casi mediatici eclatanti," mi dice A., una newyorkese di 21 anni che trovo in un piccolo locale specializzato in brunch. A differenza di molti suoi colleghi statunitensi che incontrerò nel corso della giornata è disposta a parlare (ma non a farsi fotografare, come tutti), e ha un punto di vista molto diretto. "Alcune delle mie compagne di corso dopo l'accaduto sono piuttosto spaventate. Improvvisamente si lamentano dello scarso livello di sicurezza che c'è per le strade di Firenze la sera, quando giriamo per i locali. Prima di questo episodio però non si era mai lamentato nessuno: è vero che molti ragazzi italiani frequentano i locali dove andiamo di solito perché esiste un po' lo stereotipo della ragazza americana 'facile', e alcuni sono un po' laidi, ma le discoteche che frequentiamo—come lo Space o il Twice—sono in pieno centro, nel punto più turistico di Firenze."

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Mentre parliamo arriva anche D., un ragazzo biondo e alto che ci stava osservando da un po'. Ha un atteggiamento molto protettivo verso A., ma quando capisce che non sto cercando di montare qualcosa di morboso attorno al caso delle studentesse si siede con noi.

A quanto pare le impressioni di Nardella sul distacco della comunità americana dal resto della città sono reali: "La maggior parte di noi non è esattamente integrata con il resto della città," comincia a spiegare D. "Io nel corso di questo anno ho conosciuto diversi ragazzi italiani, e non esco solo con i miei compagni di corso—probabilmente anche perché vivo in un appartamento misto, e i miei coinquilini mi hanno fatto entrare in contatto con realtà che vanno oltre l'università che frequento—ma quasi tutti gli altri… è come se fossero in una lunga gita scolastica. Sempre stesse zone della città, sempre stessi locali, sempre stesse persone."

Secondo A. e D. questo è dovuto a due dinamiche contrapposte: le difficoltà di molti giovani americani nel confrontarsi con una cultura diversa dalla loro, e il generale scetticismo dei fiorentini verso i non fiorentini. "Diciamo che in un certo senso sono due atteggiamenti che si sposano malissimo. Qui ci sono molti ragazzi che non sono quasi mai usciti dallo stato in cui vivono—Texas, Illinois, Michigan, ecc ecc—e che sono abituati solo allo stile di vita americano. Tanti poi arrivano qui senza sapere molto di Firenze: sanno solo che è una delle città italiane più caratteristiche e famose e vengono per passarci un anno attratti dall'idea che hanno dello stile di vita italiano così come gli viene raccontato negli Stati Uniti, ma alla fine quando sono realmente qui cercano di ricreare un ambiente dove si sentono a proprio agio. Dicono 'che bella l'Italia' dopo che hanno fatto il classico giro degli Uffizi e dei Giardini di Boboli e mangiato pasta riscaldata al microonde in qualche trappola per turisti, e questo gli basta: se non hai la fortuna di entrare in contatto con italiani che ti fanno vedere la vera Firenze, rischi di passare un anno del genere. Ma questo credo sia un problema che riguarda proprio il concetto di studenti stranieri all'estero. Dall'altro lato ci sono i fiorentini che, come mi dicono anche altri italiani non di Firenze, spesso non sono esattamente tolleranti verso chi non ha dimestichezza con la città, e quindi tendono a isolarti. Sto un po' generalizzando ovviamente, ma diciamo che i fiorentini preferiscono non uscire nelle stesse zone in cui usciamo noi."

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Questo aspetto è piuttosto noto in città: agli americani gli autoctoni hanno lasciato tutta la zona più turistica di Firenze, che adesso è assiepata di locali pensati espressamente per drenare soldi agli stranieri. Molti fiorentini preferiscono i locali dell'Oltrarno, più frequentati da italiani, anche se—come dimostra il recente interesse per San Frediano—queste zone si stanno pian piano adattando. "Al di là dei giri turistici, noi solitamente non frequentiamo molto la zona dell'Oltrarno, se non piazza Santo Spirito d'estate," mi dice A. "A volte è un po' rischioso andare in quelle zone, per la nomea di cui ormai gli studenti americani godono a causa degli atti di vandalismo commessi da alcuni turisti. C'è una leggera diffidenza in certi quartieri verso di noi. Alcuni miei amici sono stati presi a schiaffi perché erano un po' sbronzi e leggermente espansivi: è come se il messaggio fosse 'avete rotto le palle: attorno a Santa Croce potete fare quello che volete, ma se venite qui nel nostro quartiere e fate casino le prendete'."

La sera ho continuato a girare per via de' Benci, per domandare anche ad altri studenti come vivono questo clima di distacco della città nei loro confronti, e come hanno preso le parole di Nardella. "Facciamo quello che fanno tutti gli studenti della nostra età in giro per il mondo," mi dice V., una 20enne che incontro dopo aver ricevuto una serie infinita di rifiuti e che sembra piuttosto infastidita dalle dichiarazioni del sindaco e le reazioni dei giornali. "Compresi i ragazzi italiani che vivono a Firenze. Anche loro ogni tanto bevono troppo il sabato sera e fanno casino fuori dai locali, ma sui giornali parlano solo del 'degrado portato dagli studenti americani che vomitano nelle piazze'. Non si sta creando un bel clima alimentando queste storie: se prendi il caso limite di due idioti che pisciano da un ponte, e lo estendi a tutta una comunità, stai creando i presupposti per generare una questione anche se non esiste. Il sindaco che fa certe dichiarazioni in un momento come questo, poi, contribuisce a peggiorare le cose."

Il punto, secondo V., è che Firenze non sembra molto attrezzata per riuscire a creare quell'integrazione di cui parla Nardella. "Ho letto che il sindaco vorrebbe che gli studenti americani che soggiornano a Firenze fossero più coinvolti nella vita culturale della città, ma mi sembra esistano molti supporti istituzionali se non quelli per normali turisti, e se esistono non vengono molto sponsorizzati. Noi viviamo qui, anche se per un tempo limitato: non siamo turisti. Per come la vedo io Firenze e i fiorentini dovrebbero cercare di affrontare meglio quella che sotto quasi tutti i punti di vista è un'opportunità: nonostante ci siano alcune difficoltà—soprattutto di natura economica, perché Firenze è carissima—noi siamo entusiasti di studiare qui. Il fatto che Firenze sia uno dei maggiori punti di riferimento in Italia per gli americani dovrebbe essere un valore aggiunto, credo."

Che una certa parte di Firenze tenti di preservare se stessa, e di non "contaminarsi" con il turismo e le realtà affini come quella degli studenti americani l'avevo notato anche io qualche giorno fa, quando avevo visitato San Frediano per vedere come gli abitanti del quartiere avessero reagito al titolo internazionale di "quartiere cool." E in un certo senso ho trovato pienamente comprensibili le perplessità di chi vive da sempre in San Frediano e cerca di tutelare la vita del quartiere.

Ma ora che ho avuto modo di confrontarmi anche con questa piccola parte di Firenze, che da molti viene vissuta quasi come un agente patogeno, mi rendo pienamente conto che la "questione americana" c'è anche perché non si trova il modo di coniugare il vecchio con il nuovo: non riusciamo mai a fare coesistere le varie realtà di una città. Messa com'è oggi, la Firenze vista e vissuta dagli studenti americani ricorda molto vagamente la realtà di Magaluf: una testa di ponte per universitari che vogliono passare del tempo all'estero continuando a mangiare il proprio cibo e non rinunciando a tutte le proprie abitudini, mentre si viene completamente ignorati dalla popolazione locale.