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Come i funerali sono diventati il metro del successo della mafia in Italia

Bare d'oro, cartelloni giganti e carrozze trainate da cavalli bianchi: da Lucky Luciano ai Casamonica, le funzioni pubbliche sono uno dei modi attraverso i quali le mafie riaffermano il loro potere sul territorio.
Immagine tratta da "Sacra Mafia," il nostro doc per VICE on SkyTg24

"Digli di venire al lutto che te l'ho detto io di chiamarli, e che gli regaliamo 10 euro l'uno." È il 2012 quando una delle storiche famiglie delle 'ndrine di Marina di Gioiosa Jonica, gli Aquino, perde un proprio congiunto e ne organizza il funerale.

La partecipazione, però, comincia a preoccupare: non è ammissibile che un importante clan del luogo ricordi pubblicamente un proprio defunto nel contesto di una funzione praticamente deserta. Non sarebbe rispettoso per il proprio estinto, né indicativo del controllo del territorio.

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È allora che Nicola Tassone, suo parente e ritenuto affiliato alla cosca Coluccio, comincia ad arruolare persone per il funerale. "A tutti i ragazzi che vengono a lutto digli che gli regaliamo 10 euro". È quanto emerso dalle carte dell'inchiesta "Acero-Krupi", coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, contro l'asse delle cosche della zona Locri-Siderno-Marina di Gioiosa.

Nell'intercettazione, si sente Tassone inveire contro il proprio interlocutore quando gli viene risposto "Chi viene, chi no, tutti a mare," e poi proporre il gettone di presenza "per evitare che la cerimonia funebre venisse boicottata," si legge nelle carte dell'inchiesta.

"Incontrando risposte di primo diniego - continua il resoconto delle indagini - Tassone chiedeva al suo interlocutore di prendere tutti i ragazzi sul lungomare e farli partecipare al funerale a costo di ricorrere alle maniere forti quale ritorsione." Fino ad arrivare all'extrema ratio del 'casting'.

Tanto impegno affinché la cerimonia sia partecipata e fastosa, a costo di stipendiare una sorta di claque, non può stupire: il significato tutto simbolico portato dai funerali influenza pubblicamente l'onore di una famiglia, la sua rispettabilità locale e i rapporti con gli ambienti della criminalità in generale.

Anche noi abbiamo lo stile Casamonica. Purtroppo. pic.twitter.com/BCs18XeDlg
— Valentina (@Valu_chan) 19 Settembre 2015

I funerali, così come i matrimoni, o i "San Giovanni" - i battesimi - sono "occasioni importanti per consolidare all'interno rapporti tra le famiglie mafiose e per coltivare, all'esterno, quell'apparenza di normalità e di rispettabilità che esce sicuramente rafforzata dalla legittimazione del rapporto con la Chiesa," spiegava Alessandra Dino, sociologa dell'Università di Palermo ed esperta in devianze e comportamenti sociali della criminalità organizzata.

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Celebrazioni pubbliche come quelle dei funerali sono importanti per le cosche "perché i momenti sacramentali pubblici - in Sicilia che è ancora una terra in cui la religione cattolica pubblicamente ha una sua evidenza - sono un momento di riconoscimento pubblico e sociale," ha spiegato a VICE News monsignor Antonio Raspanti, vescovo di Acireale che si è rifiutato più volte di far entrare in chiesa le salme di affiliati ai clan che non hanno espresso pentimento in punto di morte, e protagonista di un'attiva battaglia antimafia sul territorio.

"È un momento di approvazione pubblica, serve per far capire che io sono dentro una società, ne condivido i valori, accreditandomi un ruolo centrale al suo interno."

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Alcuni dei casi più esemplari di questo tipo di dinamiche risalgono a poche settimane fa, quando nel pieno centro di Roma veniva celebrato l'imponente funerale dei Casamonica, una delle più importanti famiglie criminali della capitale, durante il quale hanno fatto la loro comparsa una carrozza trainata da cavalli bianchi, un elicottero dal quale venivano lanciati petali di rose, le fanfare con la colonna sonora del Padrino i e cartelloni con il volto del defunto—definito "Re di Roma."

Sempre di settembre, poi, è la notizia del battesimo del figlio del pregiudicato "Ciccio Ninfa," ritenuto vicino al clan Laudani, e celebrato con tanto di manifesti giganti raffiguranti il piccolo Antonio Felice Rapisarda con coppola in testa e la frase "Questa creatura meravigliosa è Cosa Nostra"—due casi che rimandano a quello del funerale di Alessandro Ponzio del 2012, quando il feretro del giovane - ritenuto il "responsabile" di una "piazza di spaccio" di San Giovanni Galermo - è stato accolto da squilli di tromba, fuochi d'artificio e cartelloni esposti per il quartiere, che lo definivano il "piccolo re" di un "impero che non finirà mai."

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L'affermazione del carattere pubblico di un'episodio del tutto privato come un funerale o un battesimo rafforzano il profilo della famiglia protagonista all'interno dei giri criminali e del tessuto sociale, e saldano il suo rapporto con la sfera "divina" e istituzionale attraverso il "sigillo" proveniente dalla celebrazione religiosa.

I classici del genere, nella storia della criminalità organizzata, non mancano affatto. È noto il precedente del funerale di Lucky Luciano del 1962, durante il quale il feretro venne trasportato fino al cimitero di Napoli a bordo di una carrozza trainata da cavalli. O ancora, il più recente funerale del boss Vito Rizzuto, tra bare d'oro, macchine di lusso e le decine di notabili delle famiglie italoamericane che avevano affollato la chiesa Notre Dame de la Défense di Montreal, in Canada.

Se il meccanismo è applicabile a tutti i tipi di cerimonie, come visto, diventa chiaramente più simbolico nel caso dei lutti, laddove il rispetto e il cordoglio si trasformano facilmente in ossequio e devozione verso un'intera famiglia, fino ad arrivare - come nel caso della morte del boss Giuseppe Ercolano a Catania - alla pubblicazione di coccodrilli e mesti necrologi sui giornali locali, o alla partecipazione pubblica della comunità al lutto "di mafia"—che nel 2014 ha portato alla chiusura delle attività di un intero quartiere di Palermo per i funerali del boss Giuseppe di Giacomo, secondo i pentiti nuovo reggente del mandamento di Porta Nuova.

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La bara, in quel caso, era stata salutata all'uscita del condominio del defunto da un applauso fragoroso, deposizioni di fiori e dalle insegne della Santissima Confraternita delle Anime Sante.

Non è un caso se, in questo tipo di cerimonie, enorme importanza viene riservata alla forma, agli orpelli, alla maestosità. Nei funerali dei boss, di affilIati di alto rango o di appartenenti alle famiglie, il numero dei fiori adagiati sui piedi del feretro, quello dei presenti, e la 'sfarzosità' dell'evento sono emanazione stessa del potere, declinato a seconda delle forme, delle usanze locali, e del messaggio che si intende veicolare.

Una specie di metrica del potere e del consenso del clan, che dà il senso della sua presenza locale e del suo "successo."

In casi del genere, come in quello dei Casamonica, l'intenzione è presentare la funzione come qualcosa di epocale, magnificente, per riaffermare la propria supremazia sul territorio, il successo della famiglia di cui il defunto è espressione, e sostanziare la "ultraterrenità" del clan attraverso il rapporto stretto con la religione, persino utilizzando gli stessi codici della liturgia—tanto da da portare alla raffigurazione del defunto, come nel caso romano, in abiti simil-papali.

RT danieleonori1: Casamonica, i funerali del boss "Re di Roma": a voi i commenti r_formigoni Maurizio_Lupi Storace… pic.twitter.com/I9iEubNUNS
— Now in Italy (@NowinItaly) August 21, 2015

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Una sorta di mantello dell'intoccabilità, che intreccia insieme potere, culto e 'onorata società'. "C'è chi veramente si nasconde dietro Dio," spiegava qualche giorno fa il fondatore dell'associazione Libera, don Ciotti, a Radio Vaticana. "Si usa la fede come una foglia di fico."

La devozione della comunità attraverso la religione vive di ambiguità e connivenze, le stesse che sono alla base della storia dell'inchino di Oppido Mamertina (Reggio Calabria), quando il carro votivo della festa della Madonna delle Grazie, scortato da una processione capeggiata da sacerdoti e amministratori locali, ha stazionato in segno di rispetto sotto l'abitazione di Peppe Mazzagatti, boss condannato all'ergastolo.

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La stessa posizione della Chiesa, che attraverso le parole di Papa Francesco si è detta sempre più che ostile a qualsiasi tipo di acquiescenza alla mafia, a livello locale è sempre apparsa piuttosto ambigua, fra tacita accettazione, protezione e un rapporto sempre labile fra perdono cattolico e sostanziale complicità.

A Campobello di Mazara - nel 2011 - era stato proprio un prete a chiedere di pregare per tutti i "poveretti" arrestati durante un'operazione antimafia e a invocare il cielo affinché illuminasse "la mente dei magistrati per aiutare questi innocenti che sono in carcere."

Ma malgrado episodi del genere nella cronaca degli ultimi anni non manchino, le cose - tuttavia - sembrano cominciare lentamente a cambiare.

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Se dal punto di vista sociologico è difficile che questi eventi possano perdere il loro valore sacrale e simbolico, da una chiave di lettura più 'quantitativa' diventa sempre più basso il numero col quale si contano le occasioni di pubblico cordoglio nei confronti di boss e affiliati, attraverso le ordinanze di Questura, l'opera delle istituzioni locali, e il rifiuto da parte di alcune parrocchie a celebrare "certi" funerali e lasciarsi "inquadrare" all'interno di una cornice criminale, "ripulendo" - direttamente o indirettamente - l'immagine del mafioso defunto.

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Qualche giorno fa a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), per esempio, si sono tenuti i funerali di Filippo Barresi, boss della cupola di Longano e figura di spicco della criminalità barcellonese.

Per volere del questore di Messina Giuseppe Cucchiara è stato annullato il rito pubblico in forma solenne previsto per il giorno dopo nella chiesa di San Rocco, in contrada Calderà. Nessun corteo, nessun applauso, ma un semplice e poco nutrito seguito silenzioso, "scortato" da alcuni poliziotti per ragioni di sicurezza.

Non è la prima volta che decisioni del genere vengono prese da autorità locali: due anni fa, nel gennaio 2013, l'allora questore Carmelo Gugliotta aveva adottato per la prima volta questo stesso provvedimento nei confronti della funzione del deceduto Giovanni Perdichizzi, 41enne, considerato uno dei più grossi emergenti della mafia barcellonese e ucciso in un bar la sera di capodanno.

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Alla fine Perdichizi è stato salutato dai suoi congiunti all'alba in forma estremamente ristretta e controllata, con una prassi inedita che ha cominciato ad attestarsi sempre più negli ultimi tempi, e che ha conosciuto casi simili anche in Calabria—dove il 5 ottobre scorso, per esempio, anche i funerali del boss Pantaleone Mancuso si sono tenuti alle prime luci dell'alba su disposizione del questore di Vibo valentia Filippo Bonfiglio, durante una breve cerimonia officiata da un parroco nel cimitero di Limbadi (Vibo Valentia).

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Sul tema, precisa monsignor Raspanti a VICE News, "ho semplicemente applicato quello che i codice di diritto canonico imporrebbe quando si parla di casi di persone che si sono macchiate di delitti gravi, come aver aderito a organizzazioni mafiose senza alcun pentimento ravvisato o rilevabile, e con accusa definitiva da parte dello Stato."

La mafia - aggiunge il religioso - è un'organizzazione "antisociale, antiuomo, antivangelo: non mi è mai sembrato opportuno mostrare saldature che non ci devono essere. Devono anzi esserci rotture, e devono essere palesi: se una rottura nella tua vita c'è stata e tu non l'hai mai voluta saldare, non la puoi imporre, perché il tuo percorso non è più riconoscibile dalla nostra comunità." A meno che non arrivi il pentimento, "che accogliamo e sanciamo, così come sanciamo la rottura: come Chiesa siamo qui per perdonare, non per giudicare."

Sulla concessione della funzione pubblica e del coinvolgimento della Chiesa, nel 2013 la città di Mazara è stata percorsa da un dibattito pubblico, quando al boss Mariano Agate - ex detenuto del carcere di Viterbo sottoposto a 41 bis e morto di cancro in aprile - è stato negato l'ingresso della salma all'interno della chiesa dal vescovo, monsignor Domenico Mogavero.

L'episodio ha portato alla stesura di un'indignata lettera pubblica diretta al religioso da parte della vedova di Agate, Rosa Pace. La risposta di monsignor Mogavero, tuttavia, non si è fatta attendere.

"La prassi ormai diffusa e consolidata di negare le esequie ecclesiastiche ai condannati per delitti di mafia - si legge nella risposta - è il punto di arrivo di un percorso di maturazione religiosa e pastorale, considerata l'assoluta incompatibilità di tali delitti con i principi evangelici e il magistero della Chiesa."

Un rifiuto che brucia, presso le famiglie di mafia. E che ne rimette in discussione il dominio territoriale.


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