A casa ho due copie del libro La Scienza In Cucina e L’Arte di Mangiar Bene di Pellegrino Artusi. Una è un regalo di laurea in ottime condizioni, l’altro una serie di fogli scompaginati e tenuti insieme da un nastrino che apparteneva alla mia bisnonna. È la cosa più simile a un ricettario di famiglia che abbiamo: negli anni lei, la mia prozia e mia nonna ci hanno infilato dentro dei fogli su cui scribacchiavano alcune ricette, dal Liquore al cioccolato al Fiordilatte. Mi sarebbe piaciuto avere un ricettario ben rilegato a cui fare riferimento, e invece mi ritrovo con un foglietto volante che cita un misterioso Elisir i cui unici ingredienti sono spicchi d’aglio e alcol.“Di trentotto solo due sono di mano maschile: il primo di un cuoco e il secondo di un suo zio che non si era mai sposato e che aveva nella cucina la sua passione più profonda”
Per questo sono stata estremamente affascinata da RAGU. Me ne ha parlato la prima volta Mila Fumini, storica riminese che non poteva trovare acronimo più appropriato — Reti e Archivi del Gusto — per un progetto che si propone di raccogliere, catalogare e mettere a disposizione di tutti quello che può essere definito un patrimonio immateriale della tradizione culinaria italiana: i ricettari di famiglia.Da una ricetta su un quaderno, per dire, tu puoi anche geo-localizzare la provenienza della persona che lo ha redatto. E tutto questo è davvero straordinario.
MUNCHIES: Com’è cominciato il progetto di RAGU?“La prima cosa che mi è saltata all’occhio è la pressoché totale mancanza di quantificazione degli ingredienti. Molte volte c’è scritto ‘q.b.’”
Mila Fulmini: Un giorno stavo sgomberando la cantina di un’amica e a un certo punto trovammo uno scatolone pieno di quaderni, buste contenenti scontrini, ricette mediche, tutti materiali cartacei della persona che aveva posseduto quella cantina prima di lei. Cerano un paio di quaderni contenenti ricette di famiglia. Io mi sono sempre occupata di scritture religiose femminili e, in particolare, dei cosiddetti ego-documents (diari, epistolari, quaderni di discernimento spirituale) e anche questi quaderni secondo la mia sensibilità avevano qualcosa di sacro ed erano tracce, importanti, di scritture di donne delle epoche passate.
Non ci sono riuscita [ride, NdR]. Nel senso che ho presentato al pubblico il mio progetto a settembre del 2019 e ho iniziato a far conferenze, lezioni e qualche incontro di raccolta ma poi è iniziata la pandemia, sicché, dato che eravamo tutti chiusi in casa, ne ho approfittato per studiare gli strumenti che mi avrebbero permesso di creare la digital library che avevo in testa. Quindi la sistematizzazione dei materiali digitalizzati per ora è proprio — e solo — quella dentro l’HD, mentre uno studio a tappeto delle fonti potrà essere fatto solo con un numero consistente di questi quaderni e dopo qualche raccolta di testimonianza orale legata ad essi.Quanti ricettari hai raccolto finora, da dove provengono, a che periodo risalgono? C’è qualcosa che li accomuna tutti?
Fino ad ora ne ho raccolti trentotto e la maggioranza sono emiliano-romagnoli perché le call publiche che ho fatto le ho svolte tutte tra Castelfranco Emilia e Bologna. Me ne sono arrivati tre, diciamo così, spontaneamente da tre fanciulle riminesi. Di trentotto solo due sono di mano maschile: il primo di un cuoco e il secondo di un “signorino” - così lo descrisse il signore che me lo portò una mattina al Mercato della Terra - ovverosia suo zio, che non si era mai sposato e che aveva nella cucina la sua passione più profonda.
Ti racconto questo perché descrive molto bene quella che è, per la mia sensibilità, ciò che accomuna tutti questi quaderni, ovverosia, la cura, la volontà di tramandare un sapere, dei gesti, i trucchi, dei riti, semplici ma fondamentali per ognuna delle persone che le hanno vergate.Quali sono le differenze principali con i ricettari di adesso?“In uno dei ricettari che ho raccolto, c’è la Torta di Guerra una torta senza farina, fatta col pane secco. Pensa che roba”
La prima cosa che mi è saltata all’occhio è la pressoché totale mancanza di quantificazione degli ingredienti. Molte volte c’è scritto “q.b.” e anche quando ho chiacchierato con le signore che mi hanno portato i loro quaderni sovente mi dicevano “mo’ dai, lo vedi a occhio!” e, se ci pensi, è vero nel senso che, ad esempio, quando impasti, lo vedi quando la massa dell’impasto ha assorbito la giusta quantità di olio, di acqua, di latte o di qualsiasi altra cosa.
In parte proprio in quello che ti dicevo poc’anzi, ossia dagli ingredienti che usa. E poi c’è una cosa, altrettanto emozionante per la mia sensibilità, che emerge, ossia il costante occhio all’economia domestica. In uno dei ricettari che ho raccolto, c’è la Torta di Guerra una torta senza farina, fatta col pane secco. Pensa che roba. Eppure è vero e io me lo ricordo: sono nata in un borgo molto popolare adiacente il centro storico di Rimini, il Borgo di San Giovanni, che si interseca con la piazza dell'Arco di Augusto. Fino al 1985 nella strada principale è esistita una drogheria a fianco di una bottega alimentare: io ho imparato a fare la spesa lì, quando mia mamma mi mandava da loro — e conta che avrà avuto 5/6 anni — con una sportina che conteneva la lista della spesa e i soldi. Tutto era strutturato affinché l’economia in primis familiare e domestica e in secundis delle attività commerciali si sorreggessero. Nessuno ti avrebbe mai dato una cosa scadente. Oppure se un cibo era ammaccato, a fine giornata magari te ne facevano omaggio. E, ancora, spesso il bottegaio ti avvertiva che la settimana successiva avrebbe avuto il baccalà.
Per quanto mi riguarda è di mettere in piedi il portale e farlo nella maniera più semplice e funzionale possibile. Questa è una ricerca che, potenzialmente potrebbe proseguire ad libitum. Fino ad ora l’ho portata avanti io nel poco tempo che sono riuscita a ritagliare dalle mie principali attività di ricerca in università. E proprio per questo motivo, poche settimane fa, ho firmato una convenzione con l’Istituto Parri di Bologna. Lì, con l’interessamento di una persona che è stata fondamentale per lo sviluppo del progetto, Agnese Portincasa. una importante studiosa del cibo, come mi piace sempre dire “RAGU ha trovato casa”.
“Ho come obbiettivo far parlare i silenti. Perché la storia più bella e appassionante è quella che è stata costruita da chi non ha mai avuto voce, in larga parte donne”