Tra i ribelli sudanesi del Nilo Azzurro

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Tra i ribelli sudanesi del Nilo Azzurro

Un'altra guerra della quale non sembra fregare niente a nessuno.

Mentre i conflitti in Libia, Egitto e Siria hanno richiamato centinaia di inviati di guerra e giornalisti freelance, altri, come quello del  turbolento stato sudanese del Nilo Azzurro, rimangono  completamente ignorati dai media. Probabilmente, alcune guerre sono più alla moda di altre. Ne ho avuto la conferma dopo aver trascorso un mese in compagnia dei ribelli del Movimento per la Liberazione del Sudan (SPLA-N) che combattono nel Nilo Azzuro; ero il primo giornalista che avessero mai incontrato.

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Il Nilo Azzurro è una delle regioni più isolate sulla Terra. Non esistono strade asfaltate, e i ribelli sono obbligati a farsi strada attraverso la fitta vegetazione con i bulldozer. Ogni poche settimane cambiano le rotte per tenersi ben lontani dalla Sudanese Air Force, apparentemente dedita a bombardare ogni singolo veicolo venga intercettato nel suo raggio. Guidare attraverso il territorio dei ribelli significa combattere senza sosta con un groviglio di strade fangose, tra la desolazione di villaggi abbandonati e rasi al suolo, fuggendo al riparo ogni volta che un bombardiere del governo passa in ricognizione.

Ogni ribelle ha con sé ciondoli, amuleti di pelle ed erbe sacre ritenute capaci di deviare i proiettili nemici, eppure tutti concordano sul fatto che nessuna magia possa difenderli dagli Antonov, aerei cargo prodotti in Russia che il governo sudanese usa come bombardieri di ripiego. Ogni volta che intercettano un bersaglio, gli aviatori sganciano bombe dalla piattaforma posteriore di lancio, migliaia di metri  sotto di loro. È un metodo rischioso, poiché da quelle distanze i piloti non possono distinguere tra miltari e civili. La scarsa precisione degli Antonov ha fatto sì che i trattati internazionali ne condannassero l'utilizzo, ma apparentemente il governo sudanese sembra non interessarsene.

Stare sotto le bombe è una strana esperienza. Chi l'avrebbe mai detto, eh? Una mattina stavo bevendo il caffè quando abbiamo sentito il boato di un Antonov sopra di noi. I ribelli si sono fermati, con le tazze ancora tra le mani, e  hanno guardato il cielo con una sorta di distaccata e professionale curiosità. Poi, senza dire una parola, sono corsi nelle trincee poco profonde sparse per tutto il campo. Dopo che le bombe—ben nove—sono esplose nella foresta a qualche centinaio di metri, i combattenti sono sgusciati fuori e hanno ripulito le uniformi dalla polvere per poi tornare ai caffè e ai giochi di carte.

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"È un rischio del mestiere," fa uno scrollando le spalle. Poco dopo mi chiede se so dove trovare dei missili contraerei, come se entrare in possesso di armi del genere non fosse un gran problema per un giornalista freelance.

I civili sono un bersaglio più semplice per gli Antonov, e il governo sembra non farsi domande sulla legittimità della pratica. Anzi. Come in ogni guerriglia armata, lo SPLA-N deve fare affidamento sui pochi rimasti per il cibo, la legna da ardere e l'acqua. Il governo ha risposto con una brutale ed efficace strategia militare, che consiste nel bombardare i civili e radere al suolo i loro villaggi, così da privare la popolazione del cibo e costringere i combattenti alla resa. La maggior parte della gente del Nilo Azzurro è ora rifugiata nei campi ONU oltre il confine.

Senza volerlo, l'ONU si è trovata ad essere l'unica fonte di sostentamento per i ribelli. La distribuzione del cibo per i civili dei campi è gestita dai combattenti, i quali sopravvivono coi rifornimenti dell'USAID e con qualsiasi cosa a cui possano sparare con i loro Kalashnikov. Quasi tutti vivono con le loro famiglie nei campi per rifugiati e tornano a combattere con cadenza regolare, e lo stesso atteggiamento indifferente di normali pendolari del lunedì mattina.

I convogli armati di Jeep Toyota percorrono costantemente i campi profughi in direzione del confine, ma i volontari fingono di non notare niente; del resto, chi vorrebbe mai farsi carico di una lamentela del genere? Anche se nella realtà sono i ribelli a gestire i campi, ufficialmente lo SPLA-N non esiste in Sudan.

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Il confine tra il Sudan e il Nilo Azzurro è una singola linea che si stende lungo una strada sterrata, gestita da pochi ribelli annoiati. Ma una volta dentro il Nilo Azzurro, è la guerra a dominare. Privi di benzina, proiettili, cibo e trasporti, i ribelli camminano a fatica attraverso la Savana per tendere agguati ai convogli del governo al fine di accaparrarsi le loro scorte. I soldati, provenienti per lo più dall'arido nord del Sudan, evitano il più possibie gli scontri. Si accalcano nelle loro basi circondate da campi minati e bombardano alla cieca la fitta foresta ogni volta sospettino la possibilità di un attacco.

"Sono spaventati dalla savana," mi dice una volta un ufficiale ribelle. "Pensano ci sia un ribelle dietro ogni albero. Se uscissero dai loro campi e combattessero come degli uomini vinceremmo la guerra nel giro di una settimana." Ma le forze del governo rimangono serrate nei loro campi, i ribelli fanno avanti e indietro tra le basi segrete, e la guerra si trascina. Come si può intuire dalla mancanza di effettivi combattimenti, le perdite tra i militari sono poco consistenti su entrambi i fronti—così, sono i civili a sostenere il peso maggiore di questa piccola e malvagia guerra.

In un villaggio, i ribelli mi hanno mostrato le tombe di 11 civili uccisi quando degli Antonov hanno bombardato quello che una volta era un mercato. Prima di fuggire attraverso il confine, i sopravvissuti hanno scaricato i corpi martoriati nel cratere di una bomba e ricoperto la fossa con dei rami per evitare che gli animali si accanissero contro i cadaveri.

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"Cosa pensano in Occidente della situazione qui?" mi chiede un generale. "Pensano che stiamo vincendo? Pensano siamo dalla parte giusta?" No, rispondo io, in Occidente nessuno pensa nemmeno lontanamente al Nilo Azzurro.