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Gli yuccie sono i nuovi hipster e sono ancora peggio degli hipster?

E soprattutto, esistono? Un articolo di Mashable ha cercato di definire una vita post-hipster: quella dello "yuccie", uno "Young Urban Creative" che dovrebbe corrispondere al vero volto della nostra generazione.

Altre sottoculture probabilmente mai esistite ma oggetto di grande attenzioni della stampa.

E di questo nostro articolo.

Nonostante solo un paio di mesi fa il TG1 gli abbia dedicato uno speciale di un'ora definendola "una nuova tribù giovanile," è chiaro che l'hipster è ormai solo un ricordo e che la sua stagione mediatica è definitivamente finita. Ora che tutti hanno ultimato le battute sul tema e che molte altre "tendenze giovanili" ancora più stupide hanno avuto il loro momento di gloria, sembra non esserci più nulla da dire sull'argomento—fatto che diventa sempre più palese ogni volta che si torna a parlarne.

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L'ultimo esempio risale solo a poche ore fa: si tratta di un articolo apparso su Mashable in cui si cerca di definire una nuova esistenza post-hipster pronta a invadere le strade delle nostre città e le colonne dei nostri siti d'informazione. Secondo l'autore si tratterebbe, in poche parole, del vero volto della nostra generazione.

Se l'hipster è morto con l'ingresso nel mainstream e la sua assimilazione da parte delle dinamiche sul cui rifiuto si basava quella stessa identità—diventando un termine adatto a identificare praticamente qualsiasi cosa con una vaga connotazione offensiva—è dalle sue ceneri, spiega l'autore dell'articolo, che sarebbero nati gli "yuccie". Yuccie come Young Urban Creative, una specie di incrocio incredibilmente evoluto tra gli hipster e gli yuppie degli anni Ottanta.

Secondo l'autore dell'articolo, il terreno di coltura su cui si innesterebbero gli yuccie è quel tipo di cinismo egocentrico che può esistere solo in una condizione di privilegio. In sostanza, giovani creativi per cui la soddisfazione personale e l'appagamento del proprio narcisismo sono strettamente legati alla gratificazione economica.

Seguendo la linea esposta dall'articolo, si potrebbe quindi concludere che gli yuccie sono degli hipster a cui non basta più mostrare di essere in qualche modo diversi e speciali, ma che pensano di doverlo dimostrare in modo oggettivo e indubitabile—ossia a livello economico. Da questo punto di vista, il fatto di riuscire a monetizzare la loro creatività diventerebbe la prova che sono effettivamente creativi.

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Detto ciò, e anche se le riflessioni di questo tipo vengono spesso considerate come constatazioni di uno stato di cose effettivamente esistente e sotto gli occhi di tutti, la verità è che si tratta pur sempre di opinioni—il cui unico fondamento sembra essere il fatto che qualcuno, per qualche aspetto, ci si può riconoscere.

Ma di tutto l'articolo di Mashable, l'aspetto che forse vale più la pena sottolineare non è tanto l'indagine antropologica su questa nuova tendenza, quanto il fatto che l'autore rivendichi con orgoglio la sua appartenenza a questo gruppo sociale—il suo essere lui, in prima persona, uno yuccie. Quella hipster, infatti, non è mai stata propriamente una sottocultura proprio perché le è sempre mancato questo aspetto: non c'è mai stato un senso d'appartenenza hipster, perché si è sempre trattato di un'etichetta affibbiata dall'esterno—dall'alto—a qualcuno o qualcosa. Per opposizione, "l'orgoglio" dell'autore nel definirsi yuccie testimonia un cambiamento e un'appropriazione di identità.

E che ci sia questa appropriazione segnala forse che un'evoluzione, in qualche modo, c'è stata. Ma come questo concetto, lo yuccie, verrà consumato e dato in pasto ai lettori dalla stampa è ancora da vedere.

In secondo luogo, c'è da considerare che il discorso espresso nell'articolo riguarda ovviamente la situazione americana. Questo non significa che le dinamiche di cui parla—la ricerca di una gratificazione personale e sociale data dallo svolgere una professione creativa e, allo stesso tempo, la necessità che questa gratificazione si manifesti concretamente in termini economici—non esistano, almeno in forma embrionale, anche qui in Italia. Semplicemente, ho dei dubbi che basti questo per determinare una tendenza (o una sottocultura, anche se l'autore dell'articolo non utilizza mai esplicitamente questo termine).

Sì, in Italia esistono persone che fanno lavori creativi, così come esistono persone che si mettono in proprio. Ma questi due aspetti non possono bastare a definire un'identità, perché non definiscono proprio nulla. Del resto, anche la stessa caratterizzazione dello yuccie che emerge dall'articolo è tutt'altro che precisa: i suoi cardini—"volersi guadagnare da vivere da solo," "essere se stesso," "dare valore alle proprie idee"—sono abbastanza vaghi perché chiunque ci si possa rispecchiare.

Chiunque vorrebbe valorizzare le proprie idee, guadagnarsi da vivere da solo e, per quanto possibile, cercare di unire le due cose. Ora come ora, e prima che i giornali e la televisione ci riempiano minuti di pregiatissima informazione, se questo significa "essere yuccie" è uno yuccie chiunque ambisca a fare un lavoro creativo ed essere pagato. E se le cose stanno così, allora più che di una cultura si tratta della naturale unione tra il bisogno di affermazione e realizzazione caratteristico dell'animo umano e la semplice necessità biologica di sopravvivere.

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