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"Non ho mica una bomba" – L'italiano finito in galera a Phuket per una battuta

Dopo i ragazzi italiani arrestati e poi espulsi per aver bruciato la bandiera thailandese, un altro caso di vacanze finite male.

Ci sono battute semplicemente inappropriate, di quelle che nel momento stesso in cui le stai pronunciando ti rendi conto che non fanno ridere, e anzi con tutta probabilità faranno cadere il gelo, ti faranno passare per stronzo, offenderanno qualcuno. E poi ci sono le battute di un altro livello, quelle che ti possono mettere nei guai—fino a portarti, magari, in una galera thailandese.

È più o meno quello che è successo a Giorgio Pasquinucci, ex insegnante 70enne di Grosseto. Il suo caso, a distanza di qualche mese da quello dei due ragazzi italiani arrestati e poi espulsi per aver bruciato da ubriachi la bandiera nazionale, conferma la Thailandia come un luogo a rischio per le esternazioni dei nostri connazionali. A fine febbraio infatti Pasquinucci tornava da una vacanza Phuket quando, per aver pronunciato una (inutilissima) battuta al momento del controllo bagagli, si è trovato a passare 48 ore in una cella thailandese, e poi tre settimane tra attese, udienze in tribunale e cauzioni.

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Mi sono imbattuta nella sua storia sulla cronaca locale de Il Tirreno il 3 marzo, quando Pasquinucci si trovava ancora a Phuket in attesa del giudizio del tribunale, e tramite Skype aveva raccontato per la prima volta l'accaduto. Quando ho provato a contattarlo qualche giorno dopo, era ancora in attesa del processo. Aveva ricevuto dal console l'indicazione di non parlare.

Oggi che la vicenda si è conclusa ed è tornato in Italia, lo ho contattato per farmi raccontare cosa è successo.

VICE: Mi racconta cosa è successo e come tutto ha avuto inizio?
Giorgio Pasquinucci: Mi trovavo all'aeroporto di Phuket, pronto per tornare in Italia. Il mio bagaglio era passato attraverso lo scanner e dentro vi avevano individuato tre bottiglie (shampoo, doposole, eccetera). La ragazza al controllo le ha tolte e ha continuato a frugare dentro al bagaglio.

A quel punto io le ho detto, in italiano, "guardi che non c'è mica una bomba". Se si fosse presa un minuto per utilizzare il cervello avrebbe realizzato che il bagaglio era passato attraverso lo scanner e che non c'era nessuna bomba. Invece è entrata nel panico e ha cominciato a urlare "bomb, explosive!" come se avesse trovato qualcosa. A quel punto sono arrivate prima la sicurezza e poi la polizia.

Lei come ha reagito? Era tranquillo fino a quel momento?
Sì, io ero tranquillissimo, non avrei mai pensato potesse veramente succedere qualcosa. Poi mentre la polizia parlava con questa ragazza si sono messi tutti a ridere, e mi sono ulteriormente convinto che sarebbe finita lì. Invece in realtà c'era stato un procurato allarme.

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Il fatto credo che sia che dal momento in cui il procurato allarme era partito, la polizia doveva dare la colpa a qualcuno, e non volendola dare alla ragazza della sicurezza, la ha data a me.

Ed è finito in galera. Come è una galera thailandese?
Non sono neanche stato interrogato. Mi hanno subito portato in galera, dove sono stato per 48 ore senza sapere nulla. La galera in cui sono stato io era formata da stanze in cui non c'era assolutamente nulla. Non ci sono sedie, non ci sono materassi: delle stanze spoglie in cui si dorme a terra, e che da un lato hanno una latrina per fare i bisogni, di una sporcizia incredibile. Mi hanno anche detto che quella era una bella prigione. Figuriamoci quelle brutte.

E dopo le 48 ore di galera?
Il giorno dopo mi sono venuti a prendere, e mi hanno portato in tribunale. Lì mi hanno spiegato che di fatto c'erano solo due cose da fare: pagare e pagare. Innanzitutto dovevo pagare subito la cauzione per uscire dalla galera (circa 1300 euro), poi dovevo pagare l'avvocato, un avvocato d'ufficio thailandese con cui cercavo di comunicare in inglese. Ho trovato i soldi, ho pagato tutto, e a quel punto almeno il capitolo della galera si è concluso.

In questa fase, le istituzioni italiane le sono state di aiuto?
L'ambasciata italiana più che essermi d'aiuto mi ha danneggiato. Le cose hanno cominciato a muoversi solo quando hanno avvertito il console. Il fatto è che è stato avvertito in ritardo: se lo avessero avvertito subito probabilmente avrebbe potuto fermare tutto con una telefonata, invece ha saputo del fatto quando i documenti erano già arrivati in tribunale, e a quel punto non ha potuto fare molto.

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Una volta pagata la cauzione si è trovato ad aspettare di essere chiamato in tribunale.
Sì, a quel punto si è trattato semplicemente di attendere. La causa doveva essere subito, poi è stata rimandata diverse volete e alla fine mi sono trovato bloccato a Phuket ad aspettare per diversi giorni—in un albergo pagato a mie spese.

Comunque, per quanto riguarda la causa, non avevo altre soluzioni se non dichiararmi colpevole—procurato allarme, ma neanche so di preciso cosa avrei fatto. Infatti l'avvocato mi ha spiegato che se mi fossi dichiarato colpevole sarebbe finito tutto e sarei tornato in Italia, in caso contrario, e quindi in caso mi fossi dichiarato innocente, mi avrebbero messo dentro in attesa del processo vero e proprio, che chissà quando ci sarebbe stato.

Quindi si è dichiarato colpevole ed è stato condannato.
Esatto. Neanche sono andato davanti al giudice, ho mandato il mio avvocato che mi ha informato che sono stato condannato a due anni e mezzo di galera, commutati in sei mesi con la condizionale, e 40mila bath [circa 10mila euro].

In teoria doveva finire lì, ma invece di darmi direttamente il passaporto mi hanno mandato all'immigrazione. Per prassi, avrebbero dovuto mandarmi in un centro di detenzione temporanea a Bangkok, in cui sarei dovuto stare dalle due alle tre settimane per poi finalmente tornare in Italia. Grazie al cielo a quel punto è intervenuto il console, che mi ha fatto fare tutto in un giorno. Sono stato mandato a Bangkok in questo centro di detenzione ma ci sono stato solo un giorno, e la sera stessa sono partito.

In tutto ciò ho dovuto pagare il biglietto aereo per me e i poliziotti andata e ritorno Phuket–Bangkok, e poi quello per l'Italia. Infine, non mi hanno rilasciato i documenti e una volta atterrato in Italia sono stato accolto da un poliziotto, che solo a quel punto me li ha consegnati.

E se mai volesse tornare in Thailandia? Può?
Sono in contatto con il console e mi ha detto che sul timbro che mi hanno fatto nel passaporto ci sono scritti reato e condanna, però non sa se sono stato inserito in una specie di blacklist che mi impedisce di tornarci. Diciamo che anche potendo, al momento non ho molta voglia di farlo.

Perché crede di aver ricevuto questo trattamento?
Il problema della Thailandia credo sia che in questo momento c'è un governo militare, si tratta di uno stato di polizia molto autoritario. In galera ho visto gente in quantità industriale, mi sono trovato a contatto con un iraniano che per il semplice fatto di essere rimasto in Thailandia oltre il tempo consentito era in galera, stessa cosa per una ragazza pakistana. Non si respira un bel clima.

Thumbnail via Flickr. Segui Flavia su Twitter.