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crisi dei migranti

Come l'Italia identifica i cadaveri dei migranti morti nel Mediterraneo

Un processo complesso e delicato, ma fondamentale per restituire dignità ai 'morti del mare': lo spiega a VICE News Vittorio Piscitelli, Commissario per le persone scomparse in Italia.
Un'operazione di recupero di un relitto. [Foto via Marina Militare]

"Abbiamo ritrovato materiale toccante, oggetti che ricordano pezzi della propria terra d'origine. C'erano persino delle pagelle scolastiche. Con quel che è stato recuperato si potrebbe aprire un museo, una Ellis Island del Mediterraneo."

Il prefetto Vittorio Piscitelli è il Commissario per le persone scomparse in Italia. Nel 2014 il suo ufficio ha firmato un protocollo con il Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell'Università Statale di Milano, per riconoscere i 387 cadaveri rimasti sepolti nel Mediterraneo nei naufragi del 3 e dell'11 ottobre di quell'anno, a largo di Lampedusa.

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Nel primo le vittime per il 40 per cento, furono bambini. La metà dei cadaveri venne riconosciuta dai superstiti, ma 187 dei corpi rimasero senza nome. Oggi, a tre anni da quella tragedia, altre 30 famiglie hanno potuto scoprire la tragica sorte dei familiari di cui avevano perso traccia.

La prova madre per i riconoscimenti dei cadaveri è quella del DNA, ma nel caso dei migranti spesso è la più difficile da utilizzare. Perché sia efficace, infatti, il DNA deve essere confrontato con quello di un parente diretto (padri, madri, fratelli, nipoti, nonni).

Nel caso dei naufraghi, tutti eritrei, i parenti si trovano ancora nel paese d'origine. Per loro non c'è alcuna possibilità di raggiungere l'Italia, oltre che per motivi economici anche per motivi di sicurezza. Viaggiare legalmente fuori dall'Eritrea non è possibile, e così la prova del DNA si è dimostrata troppo complessa da applicare.

Così 30 tra amici, parenti alla lontana, conoscenti - tutti già emigrati - si sono recati in questi ultimi due anni a Roma per sfogliare il materiale fotografico e documentale raccolto dai medici legali del laboratorio Labanof.

I raffronti sono stati effettuati all'interno di stanze della polizia protette, individuate dall'ufficio del prefetto Piscitelli "per evitare che i servizi segreti eritrei potessero accedere ad informazioni sul conto delle famiglie," come precisa lui stesso.

Perché per i migranti che fuggono dal regime di Isaias Afewerki l'incubo è quello di rilasciare deposizioni alle persone sbagliate, legate al regime, che poi si rivale vessando con ulteriori tasse i familiari che si trovano ancora in patria.

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Una volta raggiunto un luogo sicuro, accompagnati da una squadra di psicologi, gli amici e parenti dei naufraghi hanno preso visione del materiale: foto di oggetti, tatuaggi, segni particolari del corpo, in qualche caso immagini recuperate dai social network per le quali è stato possibile un confronto di arcate dentali, padiglioni auricolari o altre parti del corpo uniche in ognuno di noi. Una precisa - e straziante - documentazione scientifica. Un almanacco di speranze interrotte in mare.

Il sistema messo in piedi dall'ufficio del Commissario per le persone scomparse in Italia è unico in Europa. Per realizzarlo, il Viminale non ha speso un euro in più dei compensi che già avrebbe pagato al prefetto e ai suoi collaboratori.

"La conferenza dei rettori universitari (Crui) ha stabilito che le università fornissero il loro contributo in modo gratuito," spiega Piscitelli. Sono 21 gli atenei che collaborano per i quali non sono considerati costi extra. Così come nessun extra viene richiesto a tutte le altre squadre che collaborano al progetto.

Nel tentativo di raggiungere le famiglie d'origine dei migranti, in questi anni Piscitelli e la sua squadra hanno stretto altri protocolli di collaborazione con l'ICMP (Istituto internazionale delle persone scomparse) e con la Croce rossa internazionale, che nel paese africano hanno diversi uffici operativi sul territorio.

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"È una missione umanitaria che mette in mostra la parte migliore del nostro Paese," afferma Piscitelli. E ora, grazie alle collaborazioni nate con il progetto per il recupero dei migranti, esiste un protocollo unico da seguire quando ci si trova di fronte ad un cadavere senza nome.

Da fine ottobre ricominceranno i colloqui con le famiglie. A quel punto all'elenco di cadaveri da identificare se ne aggiungeranno altri 180 circa: sono le vittime estratte da un barcone affondato il 18 aprile 2015 al largo di Lampedusa. Il relitto, che trasportava centinaia di persone, è stato recuperato a giugno grazie a un'operazione ambiziosa e controversa. Ora i medici legali stanno lavorando al recupero delle informazioni a Melilli, in provincia di Siracusa.

Il processo di recupero delle identità delle persone scomparse è lungo e difficoltoso; a livello europeo le cose non sono agevolate dalla burocrazia.

L'Unione Europea non dispone di un database unico per i cadaveri ancora senza identità, e a livello continentale non esistono figure omologhe al prefetto Piscitelli. Senza dimenticare che con alcuni Paesi - ad esempio Malta -condividere e scambiare informazioni è particolarmente difficile. L'istituzione di "un Commissario europeo forse potrebbe cambiare qualcosa", dice Piscitelli. Ma finora è solo un auspicio.

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