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analisi

Terrorismo e conflitti armati sono i veri nemici della lotta alla fame nel mondo

L'Indice Globale della Fame pubblicato oggi indica un generale miglioramento in tema di carestie e denutrizione, mentre l'ottimismo viene oscurato dal timore per la situazione geopolitica del pianeta.
Foto di Crystal Wells/Cesvi

Benché la fame nel mondo stia lentamente diminuendo, 795 milioni di persone - vale a dire una su nove - soffrono ancora di denutrizione cronica. E a far registrare i livelli più preoccupanti di insicurezza alimentare sono i paesi afflitti da guerre e instabilità politica.

È questo il quadro che emerge dal rapporto sull'Indice Globale della Fame pubblicato oggi dall'International Food Policy Research Institute (IFPRI) e presentato a Milano presso il Conference Center di Expo 2015.

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L'indice assegna a ogni nazione un punteggio da 0 a 100 calcolato in base a quattro indicatori: la percentuale di popolazione denutrita; la percentuale di bambini sotto i cinque anni affetti da deperimento; la percentuale di bambini sotto i cinque anni con altezza insufficiente in base all'età; il tasso di mortalità dei bambini sotto i cinque anni.

Un punteggio elevato comporta un rischio maggiore per la stabilità alimentare del paese.

Quindici anni di progressi

Dal 2000 ad oggi il valore dell'indice nei paesi in via di sviluppo è sceso del 27 per cento, da 29,9 a 21,7. I paesi che nel corso dell'ultimo decennio hanno fatto di più per rilanciare il benessere alimentare delle proprie popolazioni sono Brasile, Perù, Azerbaigian, Mongolia e Croazia.

"L'indice globale del 2015 conferma un trend positivo," spiega a VICE News Lylen Albani, communications advisor di Cesvi, la ONG che cura la versione italiana del rapporto. "Le cause del miglioramento sono molteplici, ma principalmente legate alle politiche economiche e sociali applicate nei paesi che più soffrono la fame. Ci sono stati investimenti che hanno favorito il diritto alla terra per gli agricoltori, la partecipazione delle donne e una migliore scolarizzazione."

Tuttavia, nonostante i progressi incoraggianti, si viaggia ancora a velocità diverse: in 52 dei 117 paesi analizzati, i livelli di fame restano gravi e allarmanti. L'Africa subsahariana e l'Asia meridionale sono le regioni che presentano i tassi di denutrizione più elevati.

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Le conseguenze di conflitti e instabilità

L'ottimismo di fondo viene inoltre oscurato da un certo timore per l'attuale situazione geopolitica del pianeta. Sono i conflitti armati, tema di approfondimento del rapporto 2015, a destare preoccupazione per la sicurezza alimentare dei paesi meno abbienti.

La guerra - che decima le risorse alimentari e costringe le persone a fuggire - viene infatti identificata come la causa principale della fame acuta e persistente.

"Il problema è che questi conflitti vanno ad aggravare situazioni di già alta insicurezza alimentare," aggiunge Lylen Albani. "La gente patisce la fame perché c'è chi scappa e non coltiva più, come sta succedendo adesso in Siria e in paesi dell'area saheliana. Chi rimane, invece, soffre gravissimi problemi alimentari, perché mancano le reti di produzione e distribuzione del cibo."

Non a caso le prime posizioni della classifica di quest'anno sono occupate da Repubblica Centrafricana e Chad, entrambi paesi devastati da scontri armati e colpi di stato.

Nella Repubblica Centrafricana imperversa da oltre due anni una guerra etnico-religiosa che ha mietuto migliaia di vittime civili e causato lo sfollamento di un quinto della popolazione.

Il Ciad, invece, sta facendo i conti con i violenti attacchi dei fondamentalisti islamici di Boko Haram. Due giorni fa l'ennesimo attentato kamikaze ha colpito il paese causando la morte di almeno 38 persone.

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Ma ci sono altri paesi che, assenti dall'indice per mancanza di dati affidabili, versano comunque in condizioni critiche. Uno di questi è la Libia. Già diviso in due dalla guerra civile scoppiata oltre un anno e mezzo fa, il paese nordafricano sta subendo anche l'avanzata dello Stato Islamico. A farne le spese, inevitabilmente, sono le fasce più vulnerabili della popolazione. Sfollati locali, rifugiati e migranti economici per i quali l'accesso ai servizi di base diventa sempre più complicato.

Storicamente l'economia libica si è basata sull'importazione di generi alimentari, ma l'attuale presenza di di gruppi armati sta portando alla distruzione della rete di distribuzione e ostacolando l'approvvigionamento di scorte di cibo sufficienti.

"Le vie di comunicazione sono presidiate dalle varie entità coinvolte nel conflitto," spiega a VICE News Lorena D'Ayala Valva, emergency coordinator di Cesvi, attiva in Libia fin dal 2011. "Il porto di Bengasi è occupato, e per questa ragione le rotte navali sono ridotte al minimo. Alcune città sono sede di conflitti quotidiani. Ci sono situazioni diverse che precludono il trasporto e la distribuzione del cibo. Di conseguenza, i prezzi sono aumentati moltissimo."

Per alleviare la grave situazione umanitaria Cesvi sta prendendo parte a un progetto finanziato dell'UNHCR, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

"Noi ci occupiamo prevalentemente della distribuzione di denaro contante," aggiunge D'Ayala Valva. "In questo modo possono essere garantiti servizi essenziali e le persone rischiano meno di essere coinvolte in situazioni di pericolo."

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