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Tutte le volte che hai 'finanziato' la camorra senza saperlo

Dal cocco in spiaggia alle pompe funebri, gli interessi della camorra sono sempre più numerosi e quasi inimmaginabili.
Foto di mararie/Flickr

Se si cerca su Google "Le mani della camorra su" si scopre che i risultati sono numerosissimi e disparati.

Da sempre, per strategia criminale e commerciale, gli interessi della criminalità convergono su più mercati, anche i più impensabili.

Capita quindi che spesso, in qualche modo, la camorra entri in mercati o settori che mai ci immagineremmo essere "contaminati" e che ci sono familiari.

Mercati ai quali probabilmente, ignari di tutto, partecipiamo "finanziandone" gli "azionisti" - i clan - senza esserne minimamente al corrente.

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Quella che segue è una breve lista dei settori sui quali si sono allungate "le mani della camorra," e che in qualche modo hanno toccato il nostro vissuto quotidiano senza che ce ne potessimo accorgere, o potessimo anche solo immaginarlo.

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I sacchetti della spesa

Foto di Alessandro Scarcella/Flickr

Secondo alcune stime, circa la metà dei sacchetti di plastica per la spesa - o shopper - che circolano in Italia sarebbero illegali: si tratterebbe di circa 40mila tonnellate di plastica, per produrre sacchetti definiti bio - ma che bio non sono - che gravano in modo pesantissimo dal punto di vista ambientale ed economico.

Sarebbero 160 i milioni persi nella filiera, comprendendo anche i 30 di pura evasione fiscale, e senza dimenticare i 50 milioni aggiuntivi stimati come costi per lo smaltimento effettivo di un rifiuto che viene etichettato come ecologico in modo fraudolento.

"Del resto - spiegava il presidente di Legambiente Rossella Muroni - produrre fuori legge costa la metà: un chilogrammo di bioplastica cosa circa 4 euro, mentre un chilogrammo di materiale in polietilene ne costa due."

Nelle settimane scorse è stata lanciata una campagna dal nome #unsaccogiusto patrocinata dall'attore di "Gomorra" Fortunato Cellino, per cercare di sensibilizzare l'opinione pubblica circa gli interessi della criminalità su un settore che ha già provocato due vittime, "colpevoli" di aver cercato di ostacolare questo sistema.

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I vestiti usati

Foto via Caritas Tarvisina

I raccoglitori gialli dei vestiti usati sono da tempo al centro dell'interesse di inchieste di magistratura e giornali.

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Nel 2015, la Squadra Mobile di Roma ha lanciato un'operazione che ha portato all'arresto di 14 persone accusate di traffico illecito di rifiuti e associazione per delinquere.

Il loro scopo era raccogliere, trasportate e gestire quantità ingente di vestiti usati, prendendo in concessione la gestione del servizio di raccolta a livello locale — a Roma, in Abruzzo, in Campania.

Alla fine si è scoperto che a capo dell'organizzazione - secondo gli inquirenti - c'era il boss del clan di Portici-Ercolano Pietro Cozzolino, ma non mancavano i collegamenti anche col sistema di Mafia Capitale.

In termini economici, il guadagno su ogni chilo venduto all'estero - soprattutto verso Nord Africa ed Est Europa - era avvicinabile a una cifra che andava dai 35 ai 58 centesimi, da moltiplicare poi per le decine di tonnellate di materiale raccolto e messo di nuovo in circolo.

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Il pane del supermercato

Foto di Bless_Pictures/Flickr

Un'inchiesta del giugno scorso ha portato alla luce un sistema di monopolio - di stampo camorristico - anche nella settore della distribuzione del pane.

Carabinieri e Guardia di Finanza hanno in pratica scoperto che alcuni dei 24 raggiunti da ordinanze di custodia cautelare - e presunti affiliati del clan Lo Russo - avrebbero imposto a supermercati, botteghe e ambulanti l'acquisto e il prezzo di vendita della merce.

Così facendo, l'organizzazione sarebbe stata anche in grado di lucrare sul prezzo del pane, che veniva aumentato anche a 1,30 euro al chilogrammo per ricavare 20 centesimi da garantire al sistema. Si sospetta, inoltre, che tre panifici siano addirittura riconducibili direttamente ai clan.

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Il procuratore Colangelo ha infatti parlato di vero e proprio "cartello" che riusciva a "spuntare condizioni più convenienti della concorrenza (…) determinando così un grave inquinamento dell'economia libera."

"Dal grano al pane i prezzi a Napoli aumentano del 950 per cento," ha commentato la Coldiretti: "I sequestri di farina, pane e pasta adulterati o contraffatti hanno raggiunto il valore di 49,7 milioni di euro nel 2015."

Secondo Legambiente, sarebbero 30 i clan mafiosi coinvolti nel settore agroalimentare.

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Il "cocco fresco" in spiaggia

Foto via acca-67/Flickr

Secondo le informative di polizia e carabinieri inviate alla Direzione Distrettuale Antimafia, alcuni tra i gruppi criminali più potenti della Campania sarebbero coinvolti nella vendita del cocco sulle spiagge italiane.

Due inchieste di questa estate pubblicate dal Mattino di Napoli e il Messaggero di Roma - che raccontano anche il processo di reclutamento della manovalanza - parlano di profitti che vanno dalle 800mila euro al milione a stagione.

Si tratterebbe di un mercato facile da gestire, apparentemente innocuo, per il quale verrebbero reclutati degli incensurati insospettabili da spedire poi in giro per le spiagge italiane — la Sardegna la meta più ambita.

Sulla stessa isola, il quotidiano napoletano parla di interesse decennale da parte del clan Contini nella zona della provincia di Olbia-Tempio, con un vasto dispiegamento di forza lavoro pagata in nero, alla quale verrebbero forniti vitto, alloggio e circa il 40 per cento dell'Incasso giornaliero.

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Il modus operandi è comunque quello criminale: la lotta per il controllo delle spiagge rispetto alla concorrenza è - per così dire - muscolare, per un copione che si ripeterebbe anche sui lidi della riviera romagnola, da Viareggio all'Argentario in Toscana, sul litorale Laziale.

Come riporta Il Mattino, "qualche anno fa proprio in Sardegna i carabinieri riuscirono a incastrare e arrestare due pregiudicati napoletani che gestivano il racket del cocco e che massacrarono di botte uno straniero che aveva 'osato' mettersi a vendere in spiaggia il frutto esotico. Vennero condannati per tentato omicidio."

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Le pompe funebri

Foto di Enrique Lopez-Tamayo Biosca/Flickr

A giugno, a Castellammare di Stabia (Napoli) un titolare di pompe funebri locale è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione aggravata ai danni di una ditta concorrente che avrebbe lavorato - secondo la ricostruzione degli inquirenti - "senza il suo permesso."

Di coinvolgimento della criminalità organizzata nel settore delle pompe funebri si parla da anni: nel 2014 un'indagine della polizia aveva portato al sequestro di beni per 150 milioni, nell'ambito di un'inchiesta che aveva coinvolto un'azienda di Casoria ritenuta - secondo gli inquirenti - vicina al clan Moccia di Afragola, e che impediva alla concorrenza di lavorare liberamente e ai cittadini di scegliere a chi affidare le esequie dei propri cari.

Qualche anno fa il Corriere del Mezzogiorno ha raccontato la storia di un imprenditore di San Giorgio a Cremano, "reo" di aver raccontato alle forze dell'ordine il sistema del racket delle pompe funebri campano.

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Enzo Amoroso - questo il suo nome - diventò il primo e unico imprenditore di pompe funebri in Italia a cui era stata assegnata una scorta 24 ore al giorno: nella sua testimonianza, si parla di divisione territoriale scientifica da parte dei clan nel settore funerario, e di coinvolgimento degli infermieri dell'ospedale, che indirizzerebbero subito la famiglia - una volta avvenuto il decesso del proprio caro - verso una ditta ben precisa.

Leggi anche: Neomelodici e digitale terrestre: come la camorra ha occupato le tv napoletane


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Foto d'apertura di mararie via Flickr, rilasciata su licenza Creative Commons