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Siria

Abbiamo incontrato un trafficante che accompagna i foreign fighters nello Stato Islamico

VICE News ha incontrato uno dei molti trafficanti di combattenti attivi sul confine tra Turchia e Siria. Dal 2013 a oggi, Ahmad ha accolto e 'scortato' verso IS oltre 150 combattenti stranieri.
Foto via VICEonSkyTG24

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L'autostrada del Jihad. Così gli esperti di antiterrorismo definiscono Gaziantep, città situata nel sud della Turchia a poche decine di chilometri dal confine con la Siria.

Dal 2013 a oggi, sono stati oltre 30mila i foreign fighters ad avere raggiunto i territori dell'autoproclamato Stato Islamico (IS) da 86 paesi diversi. Oltre cinquemila di questi provengono dall'Europa—tra loro anche 81 italiani, sospettati di essersi uniti a IS.

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Le tracce di questi futuri combattenti si perdono quasi sempre nel sud della Turchia, all'interno di quella sottile lingua di terra che demarca il confine con la Siria. Un confine fin troppo facile da valicare, dove per circa 130 euro - a volte anche meno - i trafficanti sono disposti a guidarti attraverso i campi minati e i rarissimi controlli dell'esercito, fino agli avamposti del califfato.

VICE News ha incontrato Ahmad - nome che abbiamo dovuto modificare per proteggere la sua identità -, uno dei molti trafficanti di foreign fighters attivi nell'area nel corso dell'ultimo biennio. Un tempo l'uomo lavorava come contrabbandiere di beni, ma con l'avvento della rivoluzione siriana ha stretto accordi con IS e accettato di fare da guida ai loro combattenti. Dal 2013 a oggi, Ahmad ha accolto e 'scortato' oltre confine oltre 150 combattenti stranieri.

Lo abbiamo intervistato a Gaziantep, dove ci ha raccontato del suo lavoro e di come è cambiato il traffico di combattenti nel corso del conflitto.

VICE News: Come hai iniziato a fare questo lavoro?

Ahmad: Un tempo lavoravo nel settore delle calzature. Con l'inizio della rivoluzione, quando il presidente siriano Basharal-Assad ha cominciato colpirci con l'artiglieria e i barili esplosivi, il lavoro ha cominciato a mancare. Così sono finito nel giro del contrabbando, imparando dai più esperti: quando iniziavano ad arrivare combattenti dall'estero, li aiutavo a entrare in Siria. L'obiettivo era quella di abbattere Assad.

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Leggi anche: I disertori di IS spiegano perché hanno abbandonato lo Stato Islamico

Come si aiuta un foreign fighter a unirsi allo Stato Islamico?

Di solito, se sono in tanti, c'è qualcuno di IS che li aspetta a Istanbul quando arrivano: li vanno a prendere e li accompagnano fino a Gaziantep. A quel punto i combattenti siriani mi chiamano e mi avvertono: "C'è gente che vi aspetta al garage," e io li vado a recuperare.

Il confine tra Siria e Turchia è lungo 800 km. La maggior parte delle volte, comunque, passiamo per Alì Muntar. Dall'altra parte del confine, ad attenderli, ci sono guerriglieri stranieri e siriani che agiscono anche come interpreti.

Vista di Istanbul, lo snodo principale per i foreign fighters provenienti dall'occidente.

Io consegno le persone ai combattenti, che poi li portano ai loro amici stranieri, che provengono da vari paesi. Gli ultimi che ho fatto passare erano ceceni: parlavano lingue che io non capisco. Chiunque, a eccezione dei siriani, paga una cifra tra 100 e i 150 dollari. Quelli di IS ci controllano, e non possiamo alzare i prezzi. Al netto dei costi, mi rimane in tasca ben poco.

Negli ultimi due anni ci risultano due casi di ragazze italiane che sembra si siano unite allo Stato Islamico. Hai mai sentito parlare di italiane che hanno passato il confine, come Merieme e Fatima?

Quando si tratta di donne, io non comunico con loro in alcun modo. Sono quelli di IS a venirle a prendere, e come sai con i combattenti di IS non si scherza—per la minima cosa si può essere uccisi. Il nostro coinvolgimento in questi casi è minimo: anche quando siamo presenti, magari per guidarli attraverso i campi minati, non le chiamano mai per nome e non lasciano che le vediamo. Potrei persino averle accompagnate io senza sapere che si chiamavano Fatima o Merieme.

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Hai fatto passare molte donne? Che cosa vanno a fare, le mogli o le combattenti?

Entrambe le cose, ma la maggioranza va a combattere. In realtà devono sposarsi in ogni caso, solo successivamente possono recarsi sul campo di battaglia, e sempre insieme ai mariti. Comunque la maggior parte delle operazioni coinvolge anche guerrigliere donne.

Spesso, le famiglie dei combattenti cercano di rintracciare i loro figli, o di avere informazioni su di loro. Qualcuno si è mai messo in contatto con te?

Con me non prende mai contatto nessuno, non posso intromettermi in queste cose. Oltretutto, sapendo che lavoro con IS, evitano.

L'area attorno a Gaziantep, in Turchia. Da qui passano centinaia di foreign fighters.

La tua identità è segreta?

Tutti usiamo pseudonimi. Non ci sono nomi reali, e ognuno si fa chiamare come gli pare—non si sa chi sia, né da dove venga. Se domani cambiassi pseudonimo, non sarebbe facile ritrovarmi.

Il tuo è un 'lavoro' pericoloso. Hai mai ricevuto minacce?

Certo. Sai quanto sono pericolosi i combattenti dell'ISIS. Con loro non si scherza, potrebbero farmi fuori in qualsiasi momento. Parlando di queste cose rischio la testa. Tuttavia, la cosa che temo di più è essere catturato dalla polizia turca. Se vieni arrestato in Turchia diventa difficile poi tornare in Siria e ricominciare: a quel punto avrei paura di cadere nelle mani da IS. Li temiamo: facendo questo mestiere, li vediamo uccidere in continuazione. I combattenti stranieri vengono qui ingannati dall'idea che lo Stato Islamico sia il vero Islam—nei fatti, però, loro sono dei fuoriusciti dall'Islam.

Leggi anche: Abbiamo incontrato l'italiano che è andato a combattere lo Stato Islamico a Kobane

Questa intervista è tratta dalla seconda puntata della nuova stagione di VICE on SkyTG24, "Le spose della jihad." Guarda i documentari di VICE on SkyTG24 ogni mercoledì alle 21.10 e in replica alle 23 sul canale 100 e 500 di Sky e 50 del digitale terrestre.


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