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Iran

Nessuno sa perché questo giornalista del Washington Post sia in carcere in Iran

La Corte Rivoluzionaria iraniana ha condannato il reporter Jason Rezaian, ma i dettagli della sentenza e le prove di colpevolezza rimangono ancora sconosciuti.
Foto via EPA/Stringer

Dopo aver trascorso 447 giorni in una prigione iraniana, Jason Rezaian, corrispondente del Washington Post a Teheran, è stato condannato senza che il governo iraniano chiarisse i dettagli del suo processo - conclusosi due mesi fa - e della sua condanna.

Gholam-Hossein Mohseni-Ejei, un portavoce della magistratura iraniana, domenica sera ha confermato la condanna a Rezaian dalla TV di stato, ha aggiunto di non conoscere "i dettagli della sentenza", e che il giornalista avrà la possibilità di presentare ricorso.

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A Rezaian, che è stato processato dalla Corte Rivoluzionaria, sono stati imputati quattro diversi capi d'accusa - inclusi lo spionaggio, la "collaborazione con governi ostili" e la "propaganda contro le autorità".

Il suo avvocato e i procuratori erano gli unici a conoscenza dei dettagli del processo. Rezaian è attualmente detenuto nella prigione di Evin, nota per essere il carcere nel quale vengono rinchiusi molti prigionieri politici. Le accuse contro di lui potrebbero aver portato a una condanna massima di 10 o 20 anni, ma non è ancora chiaro per quali reati sia stato condannato.

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Lunedì, i suoi famigliari hanno affermato di esser venuti a conoscenza della condanna dalla stampa, e che finora non hanno ricevuto ulteriori informazioni dal governo iraniano. Quando poi la moglie e l'avvocato di Rezaian si sono recati al tribunale di Teheran per chiedere spiegazioni, sono stati prontamente allontanati.

L'annuncio da parte della magistratura iraniana ha attirato critiche da tutto il mondo, inclusa quella di Edward Snowden e del Dipartimento di Stato americano.

Iran's shocking conviction of a journalist on secret evidence must not stand. — Edward Snowden (@Snowden)October 12, 2015

"Sfortunatamente non è una sorpresa, considerato che il processo è stato poco trasperente e oscuro fin dal suo inizio," ha dichiarato John Kirby, portavoce del Dipartimento di Stato americano. "Continuiamo a chiedere al governo iraniano di far cadere le accuse contro Jason, e di rilasciarlo immediatamente."

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La famiglia di Rezaian, il Washington Post e le associazioni per i diritti umani hanno reagito in maniera decisa al verdetto di lunedì.

"I fatti di oggi sono solo l'ultima puntata di questa farsa giudiziaria, un incubo ininterrotto per Jason e per la nostra famiglia," ha affermato il fratello di Rezaian, Ali, in una dichiarazione inviata a VICE News. "Fino a oggi, il governo iraniano non ha fornito alcuna prova dei presunti reati commessi da Jason."

Martin Baron, redattore esecutivo del Washington Post, lunedì ha rilasciato una dichiarazione in cui definisce l'annuncio "una scandalosa ingiustizia."

"L'Iran si è comportato in modo irragionevole dall'inizio della vicenda, ma mai quanto adesso - dopo questa indifendibile decisione presa dalla Corte Revoluzionaria di condannare un giornalista per dei crimini gravi, e dopo un processo che si è svolto in segreto, senza alcuna prova", ha spiegato Baron.

Sherif Mansour, coordinatore del programma per il Medio Oriente del Committee to Protect Journalists, è convinto che l'incertezza che circonda il verdetto sia "un altro segnale della mancanza trasparenza e regolarità nel processo."

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Rezaian è stato arrestato il 22 luglio 2014 insieme alla moglie, una giornalista del quotidiano The National con sede ad Abu Dhabi, e altri due giornalisti. Il reporter ha la doppia cittadinanza - iraniana e americana - e lavorava come corrispondente da Teheran per il Washington Post dal 2012.

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Le accuse contro di lui sono state rese pubbliche nove mesi dopo il suo arresto. Negli ultimi 14 mesi, l'Iran ha condotto una serie di udienze a porte chiuse nelle quali ha presentato delle prove segrete contro di lui.

Stando a suo fratello Ali, intercettato da VICE News ad agosto, le accuse contro Rezaian sarebbero inventate e puramente politiche. "Era un giornalista e nulla più, stava solo facendo il suo lavoro. Chiunque dica che stava facendo altro si sbaglia—punto."

Nonostante sia stato difficile ricostruire i dettagli del caso, gli organi di stampa parlano di una lettera, trovata dal governo iraniano, che Rezaian aveva inviato alla campagna presidenziale dell'allora senatore Barack Obama tre anni prima che iniziasse a lavorare per il Washington Post. Il governo iraniano ha accusato Rezeian di aver offerto nella lettera i suoi servizi come esperto conoscitore dell'Iran. Il Washington Post ha smentito l'accusa, dimostrando che Rezaian aveva solo compilato una richiesta online per lavorare per Obama, ma che non era mai stato assunto.

Ad aprile, il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha accennato al fatto che Rezaian potesse aver ricevuto l'incarico da qualcuno nel governo americano di raccogliere informazioni durante la sua permanenza in Iran come giornalista. In un discorso tenuto alla New York University, Zarif ha spiegato che un "agente di basso livello" potrebbe aver tentato di "approfittarsi" di Rezaian, che stava cercando di ottenere un visto per la moglie.

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Nel corso dell'ultimo anno, il processo si è svolto in contemporanea con i negoziati nucleari tra l'Iran, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU — Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia - e la Germania. Nonostante i funzionari americani abbiano fatto pressione per il suo rilascio, la detenzione di Rezaian è stata considerata una "questione secondaria" durante i negoziati, e il suo destino è rimasto in sospeso anche dopo il raggiungimento di un accordo ad agosto.

L'avvocato di Rezaian aveva ipotizzato la pubblicazione di una sentenza entro alcune settimane dall'ultima udienza, il 10 agosto. Ma le settimane si sono trasformate in mesi.

Sempre intorno al 10 agosto, Ali Rezaian ha assicurato che la famiglia avrebbe fatto tutto il possibile per portare Jason a casa—anche a costo di chiedere la grazie al Leader Supremo dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei. "Useremo qualsiasi mezzo a nostra disposizione per farlo uscire. Non ha fatto nulla di male, e il suo posto è qui, a casa."

Negli ultimi mesi, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha accennato in numerose occasioni al fatto che Rezaian potrebbe essere incluso in un più ampio scambio di prigionieri. Attualmente gli Stati Uniti hanno in custodia diversi cittadini iraniani accusati di aver violato le sanzioni americane contro l'Iran. Il governo di Rouhani ha lasciato intendere che Rezaian e altri tre americani attualmente detenuti in Iran potrebbero far parte di una trattativa di scambio.

Quando il 20 settembre, durante il programma della tv americana CBS "60 Minutes," è stato chiesto a Rouhani del possibile scambio di prigionieri, il presidente iraniano ha risposto: "Non mi piace particolarmente la parola 'scambio,' ma da un punto di vista umanitario, se possiamo fare un passo avanti, dobbiamo farlo. Gli americani devono fare altrettanto."

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