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Cosa succederebbe in Italia se fossero depenalizzate tutte le droghe

Il Portogallo, che ha introdotto la depenalizzazione nel 2000, ha riscontrato una diminuzione di contagi da HIV, morti da overdose e consumatori problematici. Abbiamo cercato di capire quali sarebbero gli effetti di un cambio di passo in Italia.
Foto di Zack McCarthy/Flickr

Lo scorso aprile, i 193 paesi membri delle Nazioni Unite si sono riuniti per discutere di droga in una sessione speciale dell'Assemblea Generale (UNGASS). Tra questi, il Portogallo ha destato un particolare interesse, derivante dalle politiche sulle droghe rivoluzionarie messe in atto dal paese.

Nel 2000, infatti, il Portogallo, che si trovava ad affrontare seri problemi legati al consumo di droga - da un elevato numero di "consumatori problematici" a un tasso particolarmente alto di contagi da HIV - ha deciso di depenalizzare tutte le droghe. Una piccola rivoluzione in un'epoca in cui la war on drugs (guerra alla droga) era ancora sulla cresta dell'onda e l'obiettivo di "un mondo senza droga" sembrava ad alcuni ancora possibile.

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Sedici anni dopo, la sperimentazione portoghese è stata presentata all'UNGASS come un esempio di successo: sono diminuiti le morti da overdose, i nuovi casi di HIV e il numero di persone in carcere per reati legati alla droga.

Ma mentre l'esempio del Portogallo ha promosso una discussione sulla decriminalizzazione e sulla depenalizzazione delle droghe in diversi paesi del mondo, in Italia il dibattito pubblico e l'azione politica si sono incentrati - pur con difficoltà o esitazioni - sulla sola legalizzazione di cannabis e derivati.

Il prossimo 27 giugno infatti inizierà alla Camera dei Deputati la discussione su una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis. La proposta, presentata a luglio 2015 e firmata da 220 deputati, promuove una riformulazione della legge italiana in materia di legalizzazione della produzione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati.

Al momento, in Italia, l'uso personale di droghe leggere non è più considerato reato, ma è soggetto a sanzioni amministrative. Si è fatto ritorno alla distinzione tra droghe leggere e pesanti, differenza che ha un impatto nel caso una persona venga accusata di produzione o spaccio di sostanze: chi detiene droghe leggere ai fini di spaccio è punito con la reclusione dai due ai sei anni, mentre la pena per quella di droghe pesanti va dagli otto ai 20 anni.

La legge sulle droghe attualmente in vigore è infatti la Iervolino-Vassalli del 1990, applicata nuovamente nel 2014 in seguito all'abrogazione della legge Fini-Giovanardi da parte della Consulta per incostituzionalità.

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Ma cosa succederebbe se, in una realtà ipotetica, invece di mirare alla legalizzazione delle droghe leggere in Italia si decidesse di depenalizzare tutte le droghe?

Se infatti, da una parte, la legalizzazione è una misura di portata più ampia in quanto viene regolamentato non solo il consumo, ma anche la produzione, la lavorazione e la vendita di una sostanza che non viene più considerata illegale, la depenalizzazione applicata a tutte le sostante stupefacenti potrebbe avere un impatto significativo su diversi aspetti attualmente problematici.

Con la depenalizzazione le sostanze sono ancora considerate illegali, ma il loro consumo e possesso, entro certi limiti per uso personale, non viene sanzionato penalmente.

Guardando all'esempio del Portogallo e a diversi studi raccolti dalla campagna Non me la spacci giusta di CILD (Coalizione italiana libertà e diritti civili), l'impatto di un'eventuale depenalizzazione in Italia di tutte le droghe si riscontrerebbe su diversi fronti.

I costi della lotta alla droga

Dal punto di vista economico si prevedono risparmi in diversi settori, dalle spese per la sicurezza a quelle per le carceri e i detenuti.

L'ultima Relazione Annuale al Parlamento su droga e dipendenze evidenzia che, tra il 2008 e il 2013, sono stati spesi in media circa 180 milioni di euro l'anno in attività di contrasto legate alla droga. In particolare per il 2013, il rapporto ha rilevato che il 44,6 per cento dei costi è relativo alle operazioni di contrasto di produzione e vendita della sola cannabis.

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È difficile immaginare che con la depenalizzazione la quantità di soldi spesi nelle attività di polizia non cali, o non venga dirottata da reati di possesso o vendita di piccolo calibro ad attività di lotta ai grandi mercati di spaccio e alla criminalità organizzata, come sottolinea la campagna Non me la spacci giusta.

In particolare, in questo caso, la legalizzazione della cannabis porterebbe a una diminuzione della spesa del 44 per cento — una riduzione più che significativa.

Un altro costo significativo derivante dalle attuali politiche sulla droga è la spesa per i detenuti, che la Relazione stessa indica come "particolarmente alta." Tra il 2008 e il 2013, si è speso in media circa un miliardo di euro l'anno per i detenuti reclusi per reati legati alla droga — considerando una media di circa 25.000 detenuti l'anno con una spesa pro capite media di circa 125 euro al giorno.

Dato che i costi relativi ai detenuti per droga rappresentavano il 36,8 per cento dei costi totali nel 2013 (in calo rispetto al 42,9 per cento del 2008 non per una diminuzione dei detenuti ma per il calo dei costi di detenzione), la depenalizzazione potrebbe portare a una diminuzione almeno di un terzo delle spese per i detenuti.

Infine, un ulteriore costo ingente per lo stato italiano è rappresentato dalle spese per i tribunali, ed è la Relazione stessa a indicare che "la stima sui costi dei tribunali è solo indicativa e fortemente sottostimata."

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Tra il 2008 e il 2012, il costo annuale medio per i procedimenti penali legati alla legge Iervolino-Vassalli è stata di circa nove miliardi, per una media di circa 48.000 processi penali l'anno.

Gli effetti sul sistema giudiziario

Le conseguenze di un'ipotetica depenalizzazione sul sistema giudiziario non si avrebbero quindi solo in termini di costi, ma anche di funzionalità e di numero totale di detenuti, oltre anche sullo sforzo nella lotta alla criminalità organizzata.

La riduzione del numero di reati in seguito alla depenalizzazione potrebbe quindi contribuire all'alleggerimento del carico di lavoro imposto al sistema giudiziario italiano, notoriamente rallentato e sovraccarico.

Come indicato dalla Relazione Annuale del 2015, "negli ultimi venti anni, circa un detenuto su tre entra in carcere ogni anno" per la violazione dell'articolo 73 della legge Iervolino-Vassalli (detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti), un numero molto più alto di quelli detenuti per aver violato l'articolo 74 della stessa legge (associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Un dato su tutti: nel 2013 i detenuti accusati di associazione finalizzata al traffico (il reato più grave) erano 810, mentre coloro che erano incarcerati per aver violato l'articolo 73, quindi per detenzione e spaccio, erano 17.953 — più di 20 volte tanto.

Oltre infatti a far lievitare il numero di detenuti nelle carcere italiane - e contribuendo quindi al grave problema del sovraffollamento - secondo l'analisi della campagna Non me la spacci giusta, le precedenti legislazioni sulla droga, e in particolare la legge Fini-Giovanardi, sarebbero state strutturate "per colpire i 'pesci piccoli,' senza spaventare le associazioni criminali più organizzate."

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I ricavi del crimine organizzato dal mercato della droga illegale sono enormi, e costituiscono una delle loro principali fonti di sostentamento e di forza.

Nonostante rimanga molto difficile avere dati accurati sui guadagni delle mafie dal traffico di droga, uno studio di Transcrime rileva che nei 27 paesi UE (esclusa la Croazia che non era ancora membro dell'Unione quando è stata realizzata la ricerca) la criminalità organizzata guadagni circa 27,7 miliardi di euro dal mercato della droga.

In particolare, per l'Italia, Transcrime ha riscontrato che le organizzazioni criminali guadagno annualmente tra 1,1 e 1,8 miliardi di euro grazie all'eroina, mentre il mercato della cocaina vale tra 1,3 e 1,9 miliardi di euro. Le cifre sono leggermente più basse per la cannabis (tra i 550 milioni e il miliardo di euro) nonostante l'Italia sia il secondo mercato europeo dopo la Spagna.

Secondo i promotori della depenalizzazione, concentrando le risorse statali non sulla lotta al consumo e al piccolo spaccio ma su azioni di contrasto della grande criminalità, i risultati sarebbero benefici per la società e per lo stato.

Anche se, come sottolinea Andrea Oleandri, coordinatore della campagna Non me la spacci giusta, la "legalizzazione della cannabis toglierebbe sicuramente mercato alla criminalità organizzata," cosa a cui non porta necessariamente la depenalizzazione.

La questione sanitaria e sociale

Il terzo - ma non per questo meno importante - ambito su cui la depenalizzazione potrebbe avere effetto è quello sanitario.

Come riportato in un recente articolo di VICE News, in Portogallo dopo la depenalizzazione i contagi da HIV sono scesi drasticamente, da 1.016 casi nel 2001 a soli 56 nel 2012. Nello stesso intervallo temporale, le morti da overdose sono scese da 80 a 16 l'anno, mentre il tasso di morte per droga nel paese è cinque volte più basso della media europea di 17,3.

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Questi dati positivi del Portogallo derivano da una serie di conseguenze della depenalizzazione. Innanzitutto, il fatto che il consumo e il possesso siano accettati permette di promuovere iniziative di riduzione del danno e riabilitazione prima impensabili.

Le stanze del consumo, ad esempio, dove i tossicodipendenti possono recarsi per consumare in maniera sicura, con strumenti sterili e la presenza di personale qualificato, prevengono la trasmissione di HIV ed epatite e aiutano a superare la stigmatizzazione del tossicodipendente.

La depenalizzazione aiuterebbe a prevenire i problemi alla salute dei consumatori anche perché, senza il rischio di incorrere in sanzioni, i tossicodipendenti tendono a rivolgersi maggiormente a strutture attrezzate in caso di problemi. Oggi, infatti, viene spesso riscontrato che chi usa si tiene lontano dalle strutture sanitarie per paura delle conseguenze legali.

Anche la riduzione dei tossicodipendenti in carcere, che si otterrebbe spostando gli sforzi della lotta alla droga da un approccio penale a un approccio sanitario, potrebbe avere risvolti positivi, spiega Oleandri di Non me la spacci giusta.

Da una parte, "il carcere non è il luogo adeguato per effettuare la riduzione del danno," dice a VICE News. "In carcere, chi entra da tossico esce da tossico, viene applicata la terapia metadonica ma non c'è traccia di un vero recupero." Togliendo le persone dal carcere, risparmiando soldi, e investendoli invece in programmi di riduzione del danno, di recupero e disintossicazione, la questione sanitaria viene messa in primo piano rispetto alla criminalizzazione, con benefici per la popolazione dei consumatori.

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Per avere successo dal punto di vista sanitario, però, la depenalizzazione non può non essere accompagnata da investimenti nei servizi sanitari, come mostra l'esempio portoghese.

Come indicato dal sesto Libro Bianco sulla Legge sulle Droghe redatto dalle principali associazioni che si occupano della tematica, "attualmente il costo dell'intero sistema dei servizi per le dipendenze si aggira intorno allo 0,8 per cento della spesa sanitaria." Per mantenere e migliorare l'offerta dei servizi, dalla prevenzione, alla riduzione del danno, al reinserimento sociale, è necessario aumentare la spesa, perlomeno fino "all'1,2 per cento."

La fine della 'guerra alla droga'?

Trent'anni dopo l'inizio della war on drugs arrivano ormai da più parti i segnali del suo fallimento. Non solo con casi come quello del Portogallo.

Addirittura negli Stati Uniti, storicamente promotori di una "guerra alla droga" particolarmente repressiva, il Presidente Barack Obama ha più volte spinto per un cambio di passo nelle politiche di lotta alla droga, da affrontare non come una questione penale ma come un problema sanitario.

Forse la ricerca di un approccio diverso, lentamente, sta arrivando anche in Italia. A febbraio dello scorso anno, presentando la Relazione Annuale al Parlamento il Procuratore generale antimafia Franco Roberti ha riscontrato "l'inadeguatezza" di un approccio repressivo nella lotta alla droga.

In particolare per quanto riguarda la cannabis e i suoi derivati, Roberti ha dichiarato che "davanti a questo quadro, che evidenzia l'oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia."

E sul fallimento delle azioni repressive insistono molto anche le associazioni a favore della depenalizzazione. "I dati dimostrano che la criminalizzazione non funziona, la guerra alla droga non ha portato a un mondo a droga zero," dice a VICE News Andrea Oleandri di Non me la spacci giusta.

"Tutti sappiamo che le droghe fanno male, ma l'approccio criminalizzate non funziona e va cambiato," conclude Oleandri. "Bisogna cambiare punto di vista."


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Foto di Zack McCarthy rilasciata su licenza Creative Commons