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crisi dei migranti

Così l'Italia continua a violare le politiche internazionali sui rimpatri dei migranti

Quarantotto migranti di origine sudanese sono stati rimpatriati con un volo da Torino a Khartoum: un provvedimento illegale, che scavalca i Centri di identificazione ed espulsione.
Un gruppo di migranti su una barca di Medici Senza Frontiere in Italia, lo scorso 24 giugno. [Foto di Antonio Parrinello/Reuters]

Quarantotto migranti di origine sudanese sono stati rimpatriati con un volo da Torino a Khartoum, con scalo a Il Cairo, partito intorno alle 13 del 24 agosto.

Non ci sono mai stati tanti rimpatri "diretti" in una volta sola. "Diretti" perché, di fatto, scavalcano i Centri di identificazione ed espulsione (Cie), le strutture dove vengono detenuti i migranti irregolari prima dell'espulsione. Una pratica illegale.

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I rimpatriati erano migranti che si trovavano a Ventimiglia e che pare non abbiano richiesto l'asilo politico per timore di non poter più tentare di oltrepassare il confine francese. Non avevano i documenti e invece che ricevere, come stabilito per legge, un foglio di via, sono stati portati in questura, dove il giudice di pace di Imperia ha convalidato in blocco il loro rimpatrio.

"Mi inquieta," spiega a VICE News l'onorevole Luigi Manconi, presidente dell'associazione A buon diritto, "perché è una procedura troppo rapida per consentire a ciascuno di presentare le proprie ragioni. Oltretutto stiamo parlando del Sudan che non è solo un Paese che viola i diritti sistematicamente, ma è un Paese dove la guerra è dispiegata e scatenata. Mi sembra una cosa molto grave."

Tanto più grave perché risponde ad un accordo bilaterale, firmato a Roma il 3 agosto dalla polizia sudanese e da quella italiana finalizzato a combattere il crimine organizzato e l'immigrazione irregolare. Tra le conseguenze dell'accordo, c'è la possibilità di effettuare rimpatri più veloci. La legge internazionale, però, prevede che i rimpatri avvengano solo in "Paesi terzi sicuri".

"Quindi l'Italia considera il Sudan un Paese terzo sicuro quando invece non lo è," dichiara a VICE News Fulvio Vassallo Paleologo, professore ed avvocato dell'Associazione studi giuridici per l'immigrazione (ASGI). "Questi rimpatri 'diretti' violano norme di diritto e nazionale e internazionale inderogabili. E lo stanno facendo in un Paese dove chiunque rischia trattamenti inumani e degradanti. Nessuno chiede asilo se pensa di poter andare in Francia o in Germania, lo chiede se sta per essere espulso. Ma a queste persone non è stato permesso."

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Il 'reato' commesso dai migranti era sostare a Ventimiglia nonostante ci fosse stato un ordine di sgombero a maggio. Stesso 'reato' commesso dai migranti alla stazione ferroviaria di Como o al Brennero: ogni volta che una frontiera viene "chiusa". Secondo Paleologo, il rimpatrio è "un sistema per sgomberare Ventimiglia instillando lo spauracchio che chi sta vicini alle frontiere rischia questo trattamento. È un invito a una 'clandestinizzazione' ulteriore."

Accordi come quello in atto con il Sudan sono già in vigore da anni con l'Egitto del generale al-Sisi, con la Tunisia sotto minaccia dello Stato Islamico, con la Nigeria terrorizzata da Boko Haram e in Marocco, l'unico Paese della lista ad avere pieno titolo ad essere considerato 'sicuro'. Sono stati formalizzati in tempi in cui la situazione era ben diversa, ma mai nessuno li ha messi in discussione.

Leggi anche: I migranti del Brennero ci hanno mostrato gli oggetti che li proteggono durante il viaggio

Nel 2015 i rimpatri dall'Italia sono stati 3.668, a fronte di 35mila decreti di espulsione: risultati "insufficienti" per Bruxelles (che in 15 anni – dati Migrant Files – ha speso 11,3 miliardi per i rimpatri).

Per dare un'accelerata a questo processo servivano accordi bilaterali: per questo l'Italia nel 2014 ha cominciato il Processo di Khartoum, un'azione diplomatica con i Paesi a forte pressione migratoria per semplificare e velocizzare i rimpatri. In cambio di denaro: al vertice di La Valletta del novembre 2015 per i Paesi africani la Commissione europea ha stabilito un trust fund da 1,3 miliardi di euro. Parte andrà anche al Sudan.

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In passato l'Italia è stata condannata per la violazione dei diritti delle persone rispedite a casa. Un caso importante nel 2015, quando la Corte ha chiesto all'Italia 30mila euro per il rimpatrio, avvenuto quattro anni prima, in piena Primavera araba, di tre tunisini&facetNode2=12(2015)&previsiousPage=mg120&contentId=SDU1187525).

L'Italia aveva fatto ricorso in appello: la Grand Chambre, la corte di secondo grado di Strasburgo, ancora non ha reso pubblico il suo verdetto. "Se dà ragione all'Italia, queste procedure ricevono un forte supporto," spiega Paleologo. "Ho la preoccupazione che l'Italia sappia già che questa sarà la decisione e anche per questo abbia deciso di procedere ai rimpatri."

Il sospetto è confermato da ciò che avviene anche in altre Questure d'Italia, sempre al Nord. Casi che riguardano gli altri Paesi con i quali l'Italia ha accordi bilaterali. In particolare, a Milano, ci sono diversi casi di egiziani che si sono recati in Questura a chiedere asilo politico e che invece sono stati rispediti nel Paese d'origine.

Persone sul territorio da qualche anno, per le quali è legittimo pensare che la Questura abbia giudicato "strumentale" la richiesta di asilo. Ma ancora una volta, avrebbero dovuto essere portati in un Cie, alla presenza di un avvocato di loro fiducia. E invece, raccontano gli operatori che hanno seguito i casi, non è accaduto.

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