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La pagina Facebook di Salvini viola le regole e fa finta di niente

Anche uno degli account politici più seguiti d'Europa cancella le foto che posta quando la situazione si fa scomoda.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Giulia Pacilli durante la manifestazione "People". Foto per gentile concessione di Luca Cortese.

Ogni mattina Matteo Salvini e il suo staff si svegliano e scandagliano giornali e social media alla ricerca di qualche contestatore da esporre al pubblico ludibrio.

Succede sempre più spesso, ed è successo anche ieri: il ministro dell’interno ha postato la foto di un manifestante a Treviso e scritto “i soliti ‘democratici’ si sono ritrovati (in quattro poveretti) al grido di 'ODIO la Lega' e 'Salvini MERDA’. Complimenti!” Chiaramente, non è stato scelto un manifestante a caso; ma un ragazzo nero. Vi lascio solo immaginare la fossa biologica di odio e razzismo che si è accumulata nei commenti.

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Il caso più eclatante degli ultimi tempi è però un altro—quello che riguarda Giulia Pacilli. Durante “People,” il corteo dello scorso 2 marzo a Milano contro razzismo e discriminazioni, la manifestante era salita sul carro de I Sentinelli di Milano con il cartello “Meglio buonista e puttana che fascista e salviniana.” Qualche giorno dopo, la sua foto è uscita sui social di Salvini.

E un anno prima era successo lo stesso, con un’altra foto scattata durante la manifestazione di Macerata del 10 febbraio 2018—una settimana dopo l’attentato razzista di Luca Traini. Lo slogan della manifestazione di Milano, come ha raccontato la manifestante a Repubblica, si riferiva al fatto che dopo la prima foto “mi avevano hanno dato della puttana in tutte le salse, augurandomi violenze sessuali, malattie e morte.”

Nella stessa intervista la ragazza spiegava poi di essersi “salvata con la privacy di Facebook,” di non portare più gli occhiali in pubblico “per non essere riconoscibile,” e di essersi “mossa per vie legali contro chi mi scriveva insulti privatamente.”

Se ne parliamo nuovamente oggi, però, è perché il post con la foto più recente è sparito qualche giorno fa; così, di botto, nel silenzio più assoluto.

Il come si è arrivati a questo punto me l’ha spiegato il fotografo Luca Cortese, autore dello scatto ripreso dal ministro dell’interno, con cui ho scambiato qualche messaggio. Subito dopo la pubblicazione sulla pagina di Salvini, mi dice, “ho scritto un messaggio diretto agli amministratori del profilo di Matteo Salvini chiedendo e motivando la rimozione [della mia foto].”

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La richiesta non ha però avuto seguito, e Cortese ha contattato il suo avvocato “per una valutazione della situazione” e “avviato la procedura di segnalazione di violazione di diritto d'autore” su Facebook. Il 21 marzo, infine, ha ricevuto la notifica della “chiusura della procedura perché il post era stato rimosso.” A darne notizia è stato lui stesso, sul proprio profilo Facebook.

“Venti giorni per i social sono un tempo lunghissimo,” afferma Cortese, “e la gogna per Giulia c’è stata e quindi il post di Salvini ha raggiunto il suo scopo. Diciamo che si tratta di un ripristino della legalità, e di un piccolo tentativo di arginare un uso barbaro dei social e dei contenuti pubblicati a buon diritto dagli utenti.”

Anche prescindendo dall’uso malevolo che è stato fatto in questo caso, per il fotografo c’è un “grave problema di violazione delle norme: il profilo di Salvini ha copiato e usato la mia fotografia (naturalmente senza richiedere alcuna autorizzazione), ed è molto diverso dal condividerla. Il diritto d’autore è una cosa seria ed è tutelato dalla legge. Chi rappresenta le istituzioni non può (non dovrebbe) ignorare le leggi, e tanto meno violarle.”

Per quanto minore, come scrive Cortese su Facebook, l’episodio testimonia il fatto che i gestori degli account social di Salvini da un lato “sono consapevoli di agire fuori dalle regole e messi all’angolo rinunciano e cancellano, forse sperando che la cosa non sia notata”; mentre dall’altro non sono nemmeno così intoccabili come sembrerebbe. Per questo, aggiunge nel corso della nostra conversazione, la pratica di far rimuovere determinati contenuti potrebbe “essere un buon metodo di contrasto.” A due condizioni, però: dev’essere “applicata sistematicamente” e rimanere “nel campo della più assoluta correttezza formale e legalità per evitare possibili ritorsioni.”

Le armi di difesa, a suo avviso, sono proprio queste—rendere "virale il messaggio" usando "i loro stessi meccanismi: credo sia una cosa che crei loro molte difficoltà.”

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