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reportage

La Repubblica immaginaria di Molossia

Un viaggio all'interno della dittatura militare più piccola del mondo.

Sono in macchina, diretta verso un luogo che non esiste. Lo sto facendo perché il Presidente di Molossia mi ha mandato un’e-mail. Ha visto un pezzo che avevo scritto sulla sua piccola Nazione, e mi ha invitata per una visita. “Sarò felice di farle da guida e mostrarle le attrazioni di Molossia; sarebbe un onore. Spero vorrà considerare il mio invito con favore e venire a vedere di persona la nostra grandiosa nazione! I più calorosi saluti, Sua Eccellenza Kevin Baugh, presidente della Repubblica di Molossia.”

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“È pazzo?” mi chiedono i miei amici, ma non so ancora la risposta.

Un venerdì di settembre comincio il lungo viaggio da Berkeley attraverso la Sierra Nevada. Costeggio la sponda nord del Lago Tahoe e mi imbatto nel traffico diretto a Reno per il fine settimana. Pernotto in un casinò. La mattina dopo oltrepasso Virginia City, in Nevada, vecchio centro fiorito su una vena di argento in cui Mark Twain ha cominciato la sua carriera come scrittore, proprio fuori da un locale fittizio reso famoso da Bonanza. Molossia è un po' più avanti, nel deserto. Poi vedo il cartello:

Sua Eccellenza Kevin Baugh, Presidente di Molossia, si presenta vestito come un caudillo: porta una fascia tricolore nei toni della bandiera nazionale abbinata a una spallina dorata. Sotto il cappello, un paio di occhiali da sole in stile Kim Jong Il gli coprono metà della faccia. Mi accoglie con entusiasmo, stringendomi la mano come se fossi un diplomatico a lungo atteso. Vengo incoraggiata a pagare il dazio doganale: le monete che ho in tasca. Lo deposito in un barattolo appeso alla porta dell’Ufficio della Dogana. Un cartello mi informa sulle molte cose che non sono permesse nella Repubblica di Molossia. Tra queste: armi da fuoco, munizioni, esplosivi, pesci gatto, spinaci, missionari e venditori porta a porta, cipolle, trichechi e qualunque cosa provenga dal Texas con l’eccezione di Kelly Clarkson.

Faccio un giro del “Paese”—c’è una ferrovia su piccola scala, parchi nazionali, campi di battaglia e cimiteri, tutto a misura di Molossia. Il Presidente si sposta da un posto all’altro parlando dei vari conflitti di Molossia: la Guerra del Cane Morto, la Guerra con il Mustachistan. Partecipo al Programma Spaziale Molossiano lanciando un razzo a pressione e mi viene assegnato il titolo di Cadetto Spaziale, assieme a un certificato.

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Dopo il tour, il presidente Baugh timbra il mio passaporto e mi regala alcune monete molossiane, dei cerchi di carta incollati su fiche da poker. Esamino una delle monete: Dieci Valora, il taglio con il disegno dell’Imperatore Norton I. In effetto, l’eccentrico cittadino vissuto a San Francisco nel diciannovesimo secolo e dichiaratosi “Imperatore degli Stati Uniti e Protettore del Messico” sembra la persona ideale per raffigurare la valuta di questa nazione.

Quando non è il presidente di Molossia, Kevin Baugh è un sergente di prima classe dell’esercito americano in pensione che lavora nel dipartimento di risorse umane della Guarda Nazionale del Nevada. Si è portati a pensare che dichiararsi capo supremo di una Nazione sovrana possa rappresentare un problema per la sua carriera militare, ma il riconoscimento della giocosità di Molossia lo mantiene al di fuori dal radar formale del governo americano. Quando arrivano dei visitatori lui appare con tutti i paramenti, orgoglioso, gentile, e profondamente calato nel personaggio.

Quando era un adolescente, il Presidente Baugh seguiva con passione Il ruggito del topo. All’epoca, lui e il suo amico James vivevano a Portland, in Oregon. “Eravamo davvero colpiti dalla sua fantasia,” dice. “Un piccolo Paese che attacca gli Stati Uniti, aspettandosi la sconfitta—ma finisce per vincere. Abbiamo pensato che sarebbe stata una bella idea.” Molossia è nata come Gran Repubblica del Vuldestein. James diventò re, Baugh primo ministro. Poi James perse interesse per il progetto, e la proprietà della Nazione andò a Baugh. La Gran Repubblica del Vuldestein ha viaggiato con il suo unico abitante. Solo negli anni Novanta il Paese ha trovato una casa in Nevada e ha adottato il suo nome attuale.

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Negli ultimi anni, sono cambiate molte cose a Molossia. Si sono sviluppate molte nuove attrazioni: un emporio, il bar-ristorante, l’ufficio del presidente. Non è una questione di soldi—se ne possono fare pochi o niente con quest’iniziativa—e nemmeno di potere. E non è nemmeno una questione di delusione nello stile dell’Imperatore Norton, nonostante Baugh potrebbe lasciarvelo credere, per un po’. Con i suoi costumi, i personaggi e le interazioni sia con elementi del mondo reale che fittizi, sembra un gioco di ruolo dal vivo.

Per esempio, il Paese è in una fase di conflitto internazionale con la Germania dell’Est dal 1983, quando Kevin Baugh era nell’esercito. Le esercitazioni militari notturne lo tenevano sveglio, e giurò che il Vuldstein sarebbe stato una lotta contro l’ingiustizia. Anni dopo il crollo della Germania dell’Est, ce n’è ancora, secondo Baugh, un pezzo che rimane in vita—l’Isola Ernst Thälmann, situata al largo della costa cubana. L’isola fu donata come regalo alla Germania dell’Est da Fidel Castro nel 1972 e non è citata in nessuno dei trattati di accordo alla fine della Guerra Fredda. Più di recente, la Molossia è stata brevemente “invasa” dal comico Doug Walker, che in compagnia di alcuni amici se ne è impossessato e ha ribattezzato il Paese Kickassia. Alla fine, la Molossia è stata restituita ai suoi legittimi governanti.

La Molossia esiste. È in parti uguali gioco e parodia, narrazione e invenzione. Non è immaginaria come l’amico frutto della fantasia di un bambino; è immaginaria perché nata nell’immaginazione. Non è un luogo per separatisti o cinici o teorici della cospirazione.

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Chiedo al Presidente che cos’è Molossia. Cerco di inquadrare la domanda in modo che non sai offensiva né sprezzante. Cerco di spiegarmi. Si considera un personaggio, tipo Stephen Colbert, che spinge costantemente i limiti della caricatura e della realtà? Una performance artistica? O è soltanto un hobby?

“È un’estensione di me stesso,” dice. “Non è un hobby, è—è come una passione.”

Ma perché un microstato?

“È un’espressione di sovranità personale, creatività, immaginazione e satira politica,” dice alla fine. “È un bel modo per guardare il mondo. Puoi vedere quello che fanno gli altri Paesi e dire, ‘Posso farlo anche io.’”