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L'uomo più odiato del Bangladesh

Sohel Rana era il proprietario dello stabilimento di Dacca che è crollato il 24 aprile causando la morte di oltre 600 persone.

Immagine AP

Primo maggio in Bangladesh, dalle pagine di un quotidiano locale: "Mercoledì la serenità del cimitero di Jurain impressionava più che in altri giorni. 32 operai, i cui corpi rimangono non identificati, hanno intrapreso il loro ultimo viaggio."

Ma facciamo un passo indietro, alla ragione di quei cadaveri. Jim Yardley del New York Times, da tempo impegnato a documentare gli la questione dei diritti dei lavoratori in Bangladesh, ha fornito un breve e incredibile profilo di Sohel Rana, il trentacinquenne proprietario del Rana Plaza, l’enorme stabilimento alla periferia di Dacca crollato il 24 aprile uccidendo almeno 600 operai—tra cui i 32 non identificati.

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A prima vista, Rana sembra incarnare un certo genere di magnate bengalese—un parvenu, coinvolto in egual misura nel crimine organizzato e nella politica che conta. Girava con il suo seguito in una specie di gang, è accusato di trafficare armi e droga, ha sottratto con la forza e tramite pratiche amministrative illegali i terreni su cui lui e il padre costruirono il Rana Plaza, e negli anni diversi ufficiali corrotti gli hanno assicurato la protezione.

Rana era coinvolto nella divisione giovanile della Lega Popolare Bengalese attualmente al governo. I gruppi giovanili dei partiti nazionali del Paese funzionano spesso come mere bande: le due formazioni politiche principali sono opposte soltanto in apparenza, e dipendono in larga parte dall’intimidazione e dal ricambio assicurato ormai per tradizione. Ogni due o tre mesi indicono scioperi generali per protestare contro questa o quella politica o come pura dimostrazione di forza: il Paese si ferma, e qualunque sfortunato guidatore di risciò venga sorpreso mentre trasgredisce allo sciopero rischia di essere picchiato o ucciso.

Rana ha ordinato che la fabbrica rimanesse aperta nonostante le emittenti locali avevessero documentato le crepe nel palazzo e un ingegnere si fosse rivolto a lui chiedendogli di chiudere. Sembra piuttosto chiaro che si tratti di una figura per niente impeccabile, e ora tutto il mondo—anche il Papa ha parlato della “schiavitù” in Bangladesh—guarda al Bangladesh per vedere se verrà punito. È stato arrestato poco dopo il disastro, dopo essere stato intrappolato per breve tempo nel suo covo e aver tentato la fuga riuscendo quasi a oltrepassare il confine indiano. Gran parte del Paese chiede la sua esecuzione.

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Sarebbe bello se le azioni legali contro di lui procedessero, anche solo per dimostrare ai proprietari di aziende alleati col partito al potere che, nel caso di un importante disastro, si troverebbero ad affrontare delle vere e proprie ripercussioni. E la probabilità che un evento del genere si verifichi esiste, diversamente da quanto accaduto dopo l'enorme incendio alla Tazreen dello scorso novembre—in quel caso, il proprietario è stato segnalato per accuse, ma fino a questo momento non è stato arrestato né condannato.

Ma il caso di Sohel Rana rappresenta comunque un'eccezione. La Benetton, per esempio, è uno dei molti marchi stranieri in affari con la sua ditta attualmente impegnati a minimizzare i danni del crollo. Il modello sembra essere stato imposto per la prima volta da Walmart, altra azienda che potrebbe aver fatto affari con Rana, e consiste nel negare di essere a conoscenza di una produzione nello stabilimento. Almeno finché, quando attivisti e giornalisti sono riusciti a mostrare capi Benetton rinvenuti tra i cadaveri e le macerie, il marchio ha rilasciato una dichiarazione che negava qualsiasi seria responsabilità:

“Un unico ordine è stato completato e spedito molte settimane prima dell’incidente da uno dei produttori coinvolti. Da allora, questo appaltatore è stato rimosso dalla nostra lista di fornitori.”

La logica di questo approccio è sinceramente scioccante. O è scioccante quanto bene abbia funzionato in passato: la strategia consiste nel lasciare che i proprietari di aziende locali sembrino gangster e delinquenti, e di professarsi ignari quando quegli stessi gangster e delinquenti fanno qualcosa che porta alla morte di centinaia di innocenti.

Ma non c’è bisogno di complicare ulteriormente le cose. Non c’è nemmeno bisogno di negare questa tendenza. Ci aspettiamo che le aziende che operano negli Stati Uniti e in Europa non facciano affari con i criminali. Rana potrebbe essere stato uno di loro. Potrebbe essere stato corrotto. Il governo potrebbe averlo protetto. Il governo potrebbe ancora proteggerlo, e lui potrebbe ancora essere libero. Ma  non importa. Sono anche i marchi occidentali ad avergli assicurato la posizione che rivestiva fino a una settimana fa—quando si divertiva con gli ufficiali, giocava a biliardo e spadroneggiava sulle migliaia di lavoratori che andavano ogni giorno al Rana Plaza per guadagnare meno di 40 dollari al mese.

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