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Cosa succederebbe in Italia se si facesse un referendum per uscire dall'Euro

Nulla di buono, come ci ha spiegato l'economista Thomas Manfredi.

È un dato di fatto che, ciclicamente, in Italia si torni a parlare di alternative all'Euro. Di solito succede in concomitanza con le oscillazioni dei mercati, con gli appuntamenti elettorali importanti o con le dichiarazioni del politico di turno. Come Berlusconi, che ieri ha detto che servirebbe una nuova moneta da affiancare all'Euro, una "moneta interna provvedere a tutti i pagamenti dello Stato per aiutare chi è rimasto indietro."

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O come Matteo Salvini, che ha fatto dell'uscita dall'Euro uno dei punti fondamentali del suo programma. Nonostante non sia chiaro come dovrebbe avvenire quest'uscita—alle volte ha dichiarato di volerla fare con "un blitz veloce, dalla mattina alla sera," altre volte parlato dell'introduzione di due monete—di certo è che non parla di un eventuale referendum.

O come il Movimento 5 Stelle, che sull'Euro ha una posizione ancora diversa. La linea che sembra prevalere è quella di un Movimento favorevole all'Europa ma contrario alla moneta unica—sulla quale deve esprimersi la popolazione attraverso un referendum.

Ma cosa succederebbe in Italia se veramente decidessimo di fare un referendum sull'Euro? Ho provato a immaginarmi uno scenario nel quale il M5S, con il tema del referendum ancora in cima alla sua agenda, si trovi tra i protagonisti della campagna elettorale e poi arrivi al governo. In ognuna delle fasi scaturite da questi due eventi, ho cercato di capire le ripercussioni economiche con l'aiuto di Thomas Manfredi, economista ed econometrico nel Direttorato di Politiche del Lavoro dell'OCSE.

FASE 1: CAMPAGNA ELETTORALE

Con buona pace di tutti, prima o poi verrà fissata una data per le prossime elezioni. Poniamo, come sembra più probabile al momento, che questa sia febbraio 2018—ossia alla scadenza naturale della legislatura iniziata nel 2013.

Forse non ci accorgeremmo del cambio di passo, ma ci ritroveremmo ufficialmente in campagna elettorale.

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Come è logico aspettarsi vista la situazione attuale, M5S, centrodestra e Partito Democratico si ritroverebbero a spartirsi in percentuali molto simili la stragrande maggioranza dei voti. Nessuno dei partiti in corsa sarà però in grado di arrivare al 40 percento, e quindi ottenere il premio di maggioranza necessario per governare con un margine di sicurezza decente.

A fronte di questo scarto così ridotto, nel corso della campagna elettorale il MoVimento decide di puntare proprio sul tema del referendum per l'uscita dalla moneta unica—un punto capace di intercettare i malumori e spostare voti. Ma quali sarebbero le conseguenze reali di una campagna elettorale in cui uno dei partiti favoriti ha nel suo programma il referendum sulla moneta unica?

Un piccolo assaggio di ciò che potrebbe essere, mi spiega Manfredi, lo abbiamo avuto negli scorsi giorni, quando l'incertezza sulle future politiche monetarie—causata anche dalle dichiarazioni di Marine Le Pen del Front National—ha provocato il nervosismo dei mercati dei titoli di Stato e il conseguente rialzo dello spread in Italia (e non solo).

"La famosa reazione dei mercati," mi dice Thomas Manfredi, "non è altro che una anticipazione attesa dagli operatori economici sulle politiche economiche future. Sarà quindi ragionevole aspettarsi un rialzo dello spread sui debiti sovrani della zona euro, ma è difficile credere che con l'ombrello del Quantitative Easing della BCE ancora aperto tali tensioni possano scaturire in una crisi simile a quella del 2011."

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FASE 2: IL M5S VINCE LE ELEZIONI

Fin qui niente disastri dunque, ma soprattutto incertezze sui mercati e aumento dello spread. Per continuare in questo scenario, lo step successivo è la vittoria del Movimento 5 Stelle alle elezioni.

Non si tratta di pura speculazione: in base alle ultime rilevazioni il M5S si conferma come le seconda forza politica italiana, con una forte presa sull'elettorato più giovane e a pochi punti di distanza percentuali da un Partito Democratico indebolito da lotte interne.

È naturale che le reazioni immediate sarebbero più simboliche che politiche: promesse di un parlamento aperto come scatolette di tonno, slogan sull'onestà al governo, nuove analisi sul populismo che avanza, il PD che promette di fare fronte comune per l'opposizione.

Ma all'indomani della vittoria non mancherebbero gli effetti sui mercati, con la dovuta cautela nell'ipotizzarli. "Innanzitutto, è doveroso premettere che cercare di prevedere la reazione dei mercati su eventi futuri, spesso non indipendenti da altri eventi geopolitici—come nel caso dei paesi europei—è impresa ardua," mi dice Manfredi. "In statistica ci si riferisce, in questi casi, a predizioni 'condizionate' a certi stati del mondo futuri, spesso con probabilità difficili da stimare, come nel caso italiano odierno, laddove neanche la legge elettorale con sui si voterà è perfettamente conosciuta ex-ante."

Con questo in mente, continua Manfredi, "è probabile che una eventuale vittoria del M5S sia seguita da una fase di alta volatilità sui mercati, soprattutto a causa dell'incertezza sul corso delle politiche economiche, fra cui quelle monetarie, che il Movimento di Grillo sponsorizza. L'incertezza sui mercati finanziari solitamente corrisponde a fasi ad alta volatilità dei prezzi azionari e degli strumenti finanziari e un sacco di 'alti e bassi'."

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Se a rendere ancora più difficile le previsioni è il fatto che il MoVimento non offre precedenti sul piano economico, più facile è prevedere come reagirebbe l'Europa, dalla quale secondo Manfredi dovremmo aspettarci una presa di posizione netta come nel caso della Grecia.

"Le nostre decisioni, avendo il debito più alto in UE e la stessa valuta di molti altri partner, hanno un impatto anche sulla tenuta dell'intero continente: impossibile aspettarsi indulgenza in questi casi. Sarebbe tentata la 'strategia greca', ovvero un impianto di negoziazione duro e inflessibile, su tutti i dossier economici più importanti," mi dice. "Chi crede che una vittoria dei sovranisti, siano essi quelli di Grillo o leghisti, comporti meno pressione sull'Italia da parte delle Istituzioni Europee, per me prende una colossale cantonata. Sarebbe il contrario: più pressione e osservazione speciale, non meno."

FASE 3: IL M5S AL GOVERNO

In questa terza ipotetica fase, il MoVimento è in carica: da partito di opposizione deve trasformarsi in partito di governo, con tutte le difficoltà e gli intoppi del caso.

In questa fase, immagino che il referendum passi in secondo piano. Non scompare del tutto dalle aspettative dell'elettorato né dall'agenda dei deputati, ma subentrano altre priorità che per un po' fanno sì che venga messo da parte.

Non è detto che durante questo periodo, e quindi nella fase iniziale di un governo a Cinque Stelle, mercati ed Europa siano a priori contro un partito che pure ne minacciava la tenuta. Tutto dipende da come questo si porrà nei loro confronti, e da quanto sia disposto a tornare sui suoi passi sul tema della moneta unica.

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"La fase di transizione post-elezioni diverrebbe molto turbolenta solo nel caso mancassero rassicurazioni del partito vincitore sulla tenuta del progetto monetario unico," mi dice Manfredi. "Se le rassicurazioni per i nostri partner, sempre nell'ipotesi che solo l'Italia abbia un governo apertamente No Euro, non dovessero essere sufficienti, allora i mercati potrebbero reagire a seconda dei piani alternativi degli altri paesi della moneta unica."

L'allusione alla possibilità che l'Italia non rappresenti un caso isolato è necessaria, considerati i prossimi appuntamenti elettorali: a marzo si vota in Olanda, dove potrebbe vincere l'euroscettico Geert Wilders; il mese successivo in Francia, dove il Front National—partito fortemente nazionalista e anti-Unione Europea—dovrebbe arrivare agevolmente al secondo turno; in autunno è invece il turno della Germania, dove si teme l'avanzata del partito nazionalista di estrema destra dell'AfD.

Quindi, in quest'ipotetico scenario rientra anche il presupposto che l'Europa regga fino al 2018. In questo caso, di fronte a un governo in carica che ha nei suoi piani il referendum per uscire dall'Euro, l'Europa nel concreto potrebbe reagire in due modi diversi—nessuno dei due positivo per l'Italia.

"Se i paesi europei decidessero per la strategia dell'isolamento, convenendo che nulla cambierebbe se non nei rapporti con l'Italia, i mercati potrebbero reagire più pesantemente nei confronti dei mercati azionari e obbligazionari italiani, rispetto a quelli della zona euro," mi spiega Manfredi. "Al contrario, se il continuo chiacchiericcio minasse alla base la fiducia nella moneta unica, questa si deprezzerebbe sui mercati, in confronto alle maggiori valute. Sarebbe una fase di alta incertezza, anche perché le procedure legali dei trattati, necessarie per dirimere la questione che solitamente viene semplicemente definita 'uscita dall'Euro', non sono chiare, e i costi difficilmente stimabili."

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FASE 4: IL M5S ANNUNCIA IL REFERENDUM

Il caso Brexit può insegnarci più di una cosa: a volte i politici si trovano costretti a mantenere le promesse fatte in campagna elettorale, indipendentemente da quanto lo vogliano. Così, come Cameron è stato "costretto" a indire la consultazione per uscire dall'UE, il MoVimento 5 Stelle—nonostante le minacce dell'Unione Europea, le incertezze dei mercati e i dubbi sulla reale fattibilità dell'operazione—deciderà di fissare la data per il fatidico referendum sulla moneta unica.

Le cose a livello economico si fanno ovviamente sempre più complicate, ma ancora non è finita: quello che succede a questo punto, come mi spiega Manfredi, dipende molto dalle previsioni sul risultato.

"La reazione dei mercati dipenderebbe in gran parte dall'esito atteso dal referendum stesso. Nel caso di vittoria attesa dei no il nostro spread sui titoli di stato rispetto ai Bund tedeschi salirebbe in modo vigoroso da subito. In caso di una vittoria attesa dei sì alla moneta unica probabilmente nulla di disastroso accadrebbe," mi dice.

Nella fase finale di questo scenario ci troveremmo quindi nelle mani dei sondaggi, con le conseguenze che questi possono avere nell'influenzare il risultato. Considerato quanto ci hanno azzeccato negli ultimi appuntamenti elettorali e quanto siano servite—e state accurate—le previsioni sulla reazione dei mercati in caso di vittoria del No al referendum costituzionale, non si tratta di mani affidabilissime; ma saranno loro, paradossalmente, a "tenere a galla" l'economia.

A questo punto, lo step successivo sarebbe quello di azionare le procedure per uscire dall'Euro—ma i suoi effetti sono già stati profilati dettagliatamente infinite volte. Manfredi è comunque d'accordo con la maggior parte degli economisti nell'immaginare uno scenario drammatico fatto di "prezzi in aumento, reddito in caduta, salari reali tagliati implicitamente nel medio periodo."

Dal canto mio, che di economia non sono un'esperta, quando penso all'uscita dall'Euro più che a spread e Bund mi viene in mente sempre la stessa immagine: quella di uno scivolo molto lungo e molto buio, che sfocia su una discarica di pentimenti, letame, e tantissime monetine. In lire ovviamente.

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