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stili di gioco

Un elogio alla difesa, o il Chelsea di Di Matteo

Finalmente su VICE si parla di calcio, rigorosamente giocato.

Parlare di calcio è difficile, scriverne quasi impossibile. Stili di gioco è una rubrica di calcio e di buoni propositi in cui si affrontano i seguenti temi: tattica, tecnica, campioni con brutti caratteri, allenatori fissati, giocatori mediocri ma di cuore, partite fondamentali per la storia dell'umanità, cos'è il buon giornalismo sportivo. Una rubrica pretenziosa da leggere al bar o in biblioteca, insomma. Il calcio è uno sport o uno spettacolo? È uno sport di gruppo, individuale o una via di mezzo? Quanto contano gli allenatori? I calciatori sono tutti dei bambini viziati? Alla ricerca di risposte a queste domande, Daniele Manusia analizzerà tattiche, partite e intere carriere sportive. Perché guardare una partita in TV è una cosa, capire cosa si sta guardando un'altra.

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Chissà cosa è passato per la testa di Roman Abramovich quando, lo scorso 4 marzo, ha deciso di esonerare Villas-Boas. Non sapremo mai se era sua intenzione riportare Hiddink sulla panchina del Chelsea, prima che glielo soffiasse l'Anzhi di Kerimov (dispetti/favori tra oligarchi?); di sicuro non poteva sapere che Di Matteo, allenatore ad interim fino alla fine della stagione, avrebbe regalato ai blues la prima Champions League della loro storia.

Ho scritto altrove (qui) come la scelta di Villas-Boas (e il suo successivo licenziamento) fosse basata su un fraintendimento di fondo. Su due fraintendimenti di fondo, anzi.

Il primo è quello di aver pensato che fosse davvero lo Special Two. L'allievo capace di ripercorrere, più velocemente, la storia del maestro, sostituendo il suo ricordo nel cuore dei tifosi con un calcio persino più bello e spettacolare. E invece la sua scelta di abbandonare il Porto dopo un solo anno (anziché provare a vincere con la stessa squadra Europa League e Champions come aveva fatto Mourinho) si è rivelata affrettata, impulsiva, dovuta alla troppa sicurezza. Coetaneo di Lampard, Terry, Cole, Malouda, Villas-Boas (abbreviato all’inglese in AVB) non è riuscito a legarli a sé nel modo perverso in cui ci riesce sempre Mourinho: esaltandoli, consumandoli, spremendo fino all'ultima goccia del talento e dell'energia nervosa di cui dispongono (lasciandoli poi, di fatto, inutilizzabili ai suoi successori).

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Di buona famiglia, educato, troppo misurato e onesto nelle sue risposte in conferenza stampa, non è riuscito a portare dalla sua parte una cultura calcistica fondamentalmente working-class come quella inglese. Simon Kuper e Stefan Szymanski, nel loro brillante Calcionomica, hanno illustrato come questo sia uno dei problemi principali dell'Inghilterra calcistica. “La riduzione del bacino da cui si pescano i talenti è solo parte del problema. Almeno fino alla fine degli anni Novanta, il calcio inglese era ancora pervaso, senza nemmeno saperlo, dalle abitudini della classe operaia britannica. Alcune di esse erano dannose, come la dieta a base di salsicce e patatine o l'idea che ubriacarsi sia un passatempo”. Non molto sembra essere cambiato, guardando il video in cui i giocatori del Chelsea festeggiano la F.A. Cup: si spruzzano reciprocamente con lo champagne e poi si dissetano con delle lattine di birra.

Quindi: AVB e la lotta di classe. Ma il vero fraintendimento è avvenuto sul piano del gioco (e sul tipo di annata da far passare ai tifosi del Chelsea). È evidente che Villas-Boas pensava di essere stato chiamato per rifondare una squadra a fine ciclo. Le esclusioni eccellenti di Lampard, Essien, Drogba, non stupivano più di tanto in un'ottica di questo genere, così come le epurazioni di Alex e Anelka a gennaio. Un anno di transizione, a lui, sarebbe andato bene. Se Abramovich aveva in mente le verticalizzazioni spericolate del Porto di Hulk e Falcao, però, si sbagliava di grosso. Il nuovo AVB, infatti, si ispirava molto più a Guardiola che a Mourinho (non per niente nei festeggiamenti della finale di Europa League AVB ha ringraziato, sorprendendo tutti, prima lo spagnolo e poi il portoghese) con un 4-3-3 basato su pressing alto e possesso palla sempre sopra il 60 percento.

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Ma il Chelsea d'inizio anno si avvicinava di più a una cosa come la prima Roma di Luis Enrique che alle fluidità del Barça: possesso palla sterile, mancanza di idee, pressing inefficace, difesa sempre in affanno. L’asturiano, da parte sua, ha modificato in peggio questo tipo di gioco, ricorrendo a lanci lunghi e a manovre meno ragionate, trasformando la sua squadra affascinante ma immatura in una squadra brutta e immatura lo stesso. E lui sì che avrebbe avuto tutto il tempo che voleva, con Baldini pronto a giurare in tribuna che avrebbe preferito andarsene lui piuttosto che esonerare Luis Enrique. Anche se Villas-Boas può consolarsi con la propria coerenza, e pensando che un gioco come quello del Barcellona non si insegna in pochi mesi, è pur vero che praticare un calcio praticamente privo di verticalizzazioni in Inghilterra equivale a un suicidio calcistico. E poi, chi può rimproverarne, adesso, la prematura sostituzione?

La scelta, forse di comodo, di dare lo scettro al secondo in comando, si è rivelata la più azzeccata per il Chelsea. Paradossalmente (Di Matteo è tornato al Chelsea insieme a Villas-Boas) lo sarebbe stata dall'inizio. Quarantenne, figlio di immigrati italiani in Svizzera, con un passato glorioso nell’ambizioso ma piccolo Chelsea pre-Abramovich (tre gol in altrettante finali) e una breve esperienza come allenatore in Inghilterra, Di Matteo, abbreviato subito anche lui in RDM, era l'uomo perfetto perché i giocatori lo accettassero subito, e l’allenatore perfetto in caso di fallimento (zero costi aggiuntivi, facile capro espiatorio). Il massimo che gli si poteva chiedere era di arrivare quarto in campionato: la sola cosa che non gli è riuscita.

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Il gol segnato da Roberto Di Matteo dopo appena 42 secondi nella finale della F.A. Cup del 1997

Anziché ispirarsi al Barcellona, cercando di insegnare quel tipo di gioco poco naturale a giocatori trentenni di fama internazionale, RDM ha utilizzato quanto di buono fatto da Mourinho a Londra dal 2004 al 2007. La mia teoria è questa: che la mutazione del Chelsea di quest'anno è dovuta agli insegnamenti di Mourinho che, rimasti in qualche modo nell'organismo dei giocatori allenati, Di Matteo ha avuto il merito di saper risvegliare (6/11 della formazione che ha battuto il Barcellona in casa risalgono all'era Mourinho). E trovo parziale conferma nel fatto che, nella sua breve carriera come allenatore, Di Matteo è stato esonerato una sola volta (dal West Bromwich che aveva fatto promuovere in Premier) proprio per i problemi in fase difensiva (contro il Chelsea di Ancelotti perse 6-0). In questo senso, anche se quasi certamente RDM non verrà riconfermato, se Abramovich voleva un erede di Mourinho, adesso lo ha trovato.

Tatticamente RDM ha modificato il 4-2-3-1 di Villas-Boas trasformandolo da sistema offensivo in difensivo: abbassando le ali, diminuendo il pressing sugli avversari fino a lasciare il gioco nelle loro mani e scegliendo giocatori con maggiore attitudine difensiva (due cambiamenti su tutti testimoniano una scelta di questo tipo: l’esclusione di Sturridge e Bertrand esordiente nella finale dell'Allianz Arena).

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Il capolavoro difensivo del Chelsea di Di Matteo è la doppia semi-finale con il Barcellona. Con tre centrocampisti centrali di contenimento (Mikel, Lampard e Meireles) il Chelsea era schierato in un 4-5-1 che, in fase di contenimento, con Mata che da destra si accentrava, diventava un 4-4-1-1. Difendeva quindi con un centrocampo a 4 davanti ad altri 4 difensori. Ma i sistemi difensivi non rinunciano del tutto all’attacco e la mossa vincente per Di Matteo si è rivelata quella di invertire Ramires e Mata sulle fasce. Come sottolineato da Michael Cox nel suo blog Zonal Marking: le intenzioni di RDM, giocando con Mata a destra per la prima volta in vita sua, o quasi, e Ramires a sinistra, erano sia quella seguire la spinta di Dani Alves, ma anche prepararsi per una rapida ripartenza schierando da quella parte il giocatore più “verticale” in possesso del Chelsea. E il gol dell'1-0 nella partita d'andata è nato proprio così, da una corsa di Ramires nello spazio lasciato da Alves alle sue spalle.

Se il gol di Drogba all’andata è una perla di tatticismo difensivo, quello di Ramires al Camp Nou nella gara di ritorno è l’esempio di come un’organizzazione difensiva di alto livello non impedisca un’alta qualità del gioco. Il triangolo strettissimo e lunghissimo tra Ramires e Lampard vale tanto quanto l'infinito fraseggio e i mini triangoli di quel Barcellona che con precisione esattoriale sottrae zolla di campo su zolla di campo agli avversari fino a ritrovarsi in porta con il pallone tra i piedi.

Non si può fare molto per impedire al Barcellona di tenere palla per il 70 percento del tempo. E fa parte del gioco del Barcellona che buona parte di questo 70 percento venga passato nella zona limitrofa all'area di rigore avversaria in cerca di un buco in cui far passare la palla. Se si prova a pressare per interrompere la loro trama di passaggi, allora si crea quel buco. E a nessuno piace prendere gol.

Ci sono milioni di grafici che illustrano il dominio della squadra blaugrana. Il migliore forse è questo, in cui si vedono le posizioni in campo tenute dai giocatori del Chelsea dopo l'espulsione di Terry nella gara di ritorno (pubblicato su Twitter da @1DavidWall):

Il punto è questo: chi protesta contro un tipo di gioco come quello del Chelsea, in sostanza, sta chiedendo una resa incondizionata. Segui Daniele su Twitter: @DManusia