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Tutti i cliché sulla Brianza sono veri

Il "brianzolo" è davvero solo una persona dedita al soldo e alla sua ostentazione nelle forme più ignoranti e volgari, uno che spesso anche dopo i cinquanta mette i pantaloni cargo al ginocchio con la camicia fuori e ha la casa a Bormio?

Esiste in italiano un insulto sottovalutato da chi non ne è mai stato bersaglio, un insulto fine perché, come tutti gli insulti fini chirurgicamente, esatto e fattualmente innegabile: brianzolo. Come in tutti gli insulti di questo tipo, il veleno sta nell'allusione: "brianzolo" è spesso usato per indicare una persona eccessivamente dedita al soldo e alla sua ostentazione nelle forme più ignoranti e volgari, uno che spesso anche dopo i cinquanta mette i pantaloni cargo al ginocchio con la camicia fuori e ha la casa a Bormio.

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Lo so perché sono cresciuta in questa pozza di reddito massimo nel mezzo del Nord Italia, dove il mio ramo materno ha attecchito ai tempi del contado. Perciò conosco bene la macchia qui sotto, quella color sangue sputato da tutte le generazioni prima della nostra che si sono fatte il culo per garantirci il presente (perché qualcuno, prima o poi, se siete adolescenti in Brianza vi farà questo discorso), questo conglomerato di comuni molto ricchi, molto simili tra loro e che amano pubblicizzare la propria vivibilità e i gemellaggi con le città dell'Île-de-France.

Vita in Brianza. Foto dell'autrice

Probabilmente conoscete la Brianza per le ville con piscina arroccate sui primi colli a nord della pianura Padana o le villette a schiera, che ogni volta che qualcuno mi chiede da dove vengo l'unica cosa che vorrei rispondere è, citando lo Sciascia brianzolo Carlo Emilio Gadda, "Di ville, di ville!; di villette otto locali doppi servissi; di principesche ville locali quaranta ampio terrazzo sui laghi veduta panoramica del Serruchón – orto, frutteto, garage, portineria, tennis, acqua potabile, vasca pozzonero oltre settecento ettolitri."

Oppure per Berlusconi e il berlusconismo, e in effetti qualunque stereotipo brianzolo mi sia stato proposto (e ho chiesto a persone del centro Italia, ai milanesi, ai siculi e anche ai liguri che ospitano la transumanza estiva del brianzolo a Santa) altro non è che una variazione sul tema imprenditoria-ignoranza-abuso della parola "impegno"-abuso di sostanze-battute che non fanno ridere. E quindi al di là del credo politico, chiunque un abitante di Arcore se lo immagina così.

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C'è da dire che, appunto, come tutti gli stereotipi in fondo è vero: il posto in cui sono cresciuta è pieno di ville e di uomini che hanno una fabbrichetta o qualche attività nel terziario (dentisti, notai, consulenti finanziari). Non a caso il primo e forse unico romanzo compiuto della letteratura italiana parla della lotta di un giovane operaio tessile dei dintorni di Colico in provincia di Lecco che alla fine, dopo aver rischiato di perdere tutto, si stabilisce nella bergamasca e apre una fabbrichetta tessile insieme a suo cugino. Un brau bagai.

Ora, per quanta poca simpatia io abbia per I Promessi Sposi, l'atteggiamento nei confronti della vita del brianzolo è spesso manzoniano: galleggia in una piscina sul cui bordo sta seduta una madre illuminista che guarda alle sorti progressive della casa, del lavoro, della moda e in cui tira una corrente di deriva oscura, colpevole e giansenista. Insomma, la fabbrichetta non è che una riduzione ad unum di un sentimento molto più totalizzante: il triangolo Lecco Como Monza è il centro di massima polarizzazione del binomio successo-fallimento.

Il metro per misurare la tua posizione in questo specchio sono i soldi. E la differenza, io credo, da quello che spesso succede nelle altre province e in generale nei posti in cui ci sono tante persone benestanti che hanno dei figli che si preoccupano di scialacquare ed essere genderfluid (mettiamo Meno di zero, mettiamo Acqua dal sole) sta nel fatto che questo pragmatismo è geneticamente trasmesso ai figli, che sono sì tra i maggiori consumatori di sostanze ma—nonostante questo? grazie a questo?—contribuiscono a mantenere la disoccupazione della provincia di Lecco la più bassa d'Italia. Credo si possa racchiudere lo Zeitgeist della zona in questo scambio di battute che ho avuto con un amico e conterraneo all'alba di questo articolo.

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"Ho raccolto cosa pensa la gente della Brianza: ricchi industrie Berlusconi gioventù bruciata ville, c'è qualcosa di non vero?" "No è tutto vero, anche troppo." "Cosa manca?" "Puoi fumare la coca la sera, l'importante è che la mattina dopo vai a lavorare."

Altre piscine in Brianza ai tempi in cui non c'era Instagram. Foto dell'autrice

Per quanto fosse cretino al liceo, per quanto nella cameretta di quando era adolescente abbia ancora appesa sopra il letto la ROOR che si è portato a tutte le vacanze in Salento quando aveva i rasta, a un certo punto il brianzolo—per pagarsi la coca, per guadagnarsi la coca, per guadagnarsi la necessità di essere sempre fatto di coca o qualsiasi altra cosa desideri—trova giusto cominciare a monetizzare. Non è la quantità di soldi che fa il brianzolo, è la fermezza con cui li persegue. Il pragmatismo che informa le sue scelte. Con questo voglio dire che non è vero, non è affatto vero che in Brianza ci vivono solo i ricchi: ci vivono anche la classe media e la classe medio-bassa, gli operai delle fabbrichette e i muratori, i commessi e gli impiegati, esattamente come in ogni altra provincia d'Italia. Ma quello a cui ambiscono, più che in ogni provincia d'Italia, sono i soldi.

Ovviamente il mito brianzolo della "gioventù bruciata" non viene solo (né principalmente) dal binomio coca e mignotte. Viene prima di tutto dal tedio, dal fatto che fuori dalle case non c'è niente. L'errore numero uno che fanno i milanesi quando pensano alla Brianza è pensare che sia Monza: Monza che Milano schifa perché se ne vede imitata farraginosamente e che la Brianza delle ville schifa perché non solo piatta e noiosa (tutta la Brianza è piatta e noiosa) ma pure perbene. Ecco, il punto è che la Brianza non è fatta di quella miniatura di centro città, miniatura di quartieri residenziali e miniatura delle catene commerciali che è Monza, ma di piccoli centri nelle cui piazze si ritrovano solo i vecchi accompagnati dalle badanti rumene (che non volevano in casa), in cui l'unico posto per fare la spesa sono i supermercati aperti sette giorni su sette e ovunque tu voglia andare ci devi andare in macchina.

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Non che il problema siano i piccoli centri di per sé: l'Italia è storicamente e geograficamente conformata per una distribuzione in piccoli centri. È che dovrebbero buttartici fuori a calci nel culo quando cominci l'adolescenza, dai piccoli centri—così, se non finisci con la fabbrichetta, almeno per reazione non finisci eroinomane.

Perché con la stessa determinazione con cui ti viene insegnato a perseguire il successo tu poi persegui il fallimento se qualcosa ci si mette di mezzo e ti impedisce di crescere rispetto a quando eri adolescente e influenzabile, e quel meccanismo di arrivare ad avere una credibilità, che era basato sulla credibilità che ti danno i soldi, le borse di Louis Vuitton, i cani sdraiati sul divano e la cyclette in salotto sotto un quadro (brutto) si ripercuote sulla droga.

E con questo voglio dire che: come il Gonzalo Pirobutirro di Gadda per quanto difforme dalla società brianzola ne è difforme in quel modo egoista, cinico, sprezzante—antipatico—che ne informerebbe anche il suo farne parte, così gli eroinomani in Brianza (gli eroinomani "brianzoli" nel senso d'insulto del termine, non quelli uguali a tutti gli eroinomani del mondo) arrivano all'eroina come una sorta di apice "sociale". Ed è solo quando crescono o sono nella merda abbastanza da non confondere un fallimento con un supposto "successo" sociale che pagano le conseguenze tali e quali a quelle che pagano tutti gli eroinomani d'Italia.

Insomma, ogni tanto penso a tutto l'orgoglio delle periferie quando reagiscono al centro città. Cerco di capire se ci possa essere un orgoglio simile che vada oltre la Brianza Alcolica, se ci sia qualche collante che tiene insieme il tutto e mi può far dire che quello che vedete voi non è quello che ho vissuto io. Ma la verità è che la base del posto più ricco d'Italia è l'individualismo, l'orgoglio si limita al fiorire della propria magnolia e la 'ndrangheta, sì, c'è, ma pare che condivida lo stesso credo dei brianzoli: il quieto vivere di chi ti brucerebbe la casa, se gli rompi i coglioni.

La differenza sostanziale tra Il capitale umano e La grande bellezza, insomma, sta qui: che Il capitale umano originariamente era ambientato in Connecticut. Che cazzo c'è da fare in Connecticut, a parte spendere i soldi finché c'è qualcuno che li fa per te, poi fare i soldi e con i soldi comprarsi lo status quo?

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