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In Irlanda abortire è quasi impossibile — ma le donne stanno iniziando a protestare

Ogni anno migliaia di donne irlandesi sono costrette a recarsi all'estero per abortire. I movimenti pro-choice vogliono cambiare le cose, ma la battaglia è ancora molto lunga e complessa.
Foto di NurPhoto/Corbis via Getty Images

Migliaia di persone sono scese per strada sabato scorso per manifestare a favore del diritto all'aborto per le donne irlandesi. Le manifestazioni non hanno interessato solo Dublino, ma anche altre città come New York, Toronto, Londra, Parigi, Wellington, Sydney e persino Phnom Penh in Cambogia.

Nella capitale irlandese i partecipanti hanno marciato sotto una fitta pioggia, intonando slogan come "Il corpo è mio, la scelta è mia."

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Oggi l'Irlanda ha ancora una tra le legislazioni sull'aborto più restrittive al mondo.

La normativa irlandese, infatti, considera l'aborto un atto criminale punibile con 14 anni di carcere — anche in caso di stupro, incesto o di anomalia fetale grave.

Per la prima volta dalla Marcia per la Scelta di Dublino del 2012, la campagna ha assunto dimensioni globali, riportando l'attenzione su leggi che l'ONUha descritto come "crudeli, disumane e degradanti."

Gli organizzatori della campagna ritengono che si tratti di una questione fondamentale per i diritti umani. "Le donne vengono ancora trattate come cittadini di seconda classe nel proprio paese," ha spiegato a VICE News Vanessa O'Sullivan, che ha lavorato per l'organizzazione della marcia a Dublino. "Vengono ancora trattate come fossero, bambini quando si tratta della loro assistenza sanitaria. In un certo senso, non gli viene data fiducia."

Il suo però non è l'unico punto di vista sulla questione. In Irlanda, infatti, ci sono ancora molti sostenitori del movimento 'pro-life'. "Il fatto che alcuni paesi si coprano gli occhi e non affrontino quel che comporta l'aborto non è una buona ragione perché l'Irlanda si unisca a loro e introduca una legge che spogli il feto di qualsiasi protezione," ha detto a VICE News Cora Sherlock della Campagna Pro-Life.

Per certi versi, l'Irlanda è un paese molto moderno. Soltanto l'anno scorso è diventato il primo paese ad approvare il matrimonio omosessuale tramite un referendum, conquistandosi l'ammirazione e il plauso di tutto il mondo.

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Ma è anche un paese che affonda ancora le proprie radici in un'epoca in cui la Chiesa Cattolica dominava incontrastata. Nonostante anni di polemiche inerenti gli abusi sessuali, il calo dei fedeli, un deficit di preti e una congregazione sempre più anziana, la Chiesa Cattolica estende ancora la propria influenza su tutto il paese. E il caso delle leggi sull'aborto ne è l'esempio più evidente.

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Secondo quanto afferma l'articolo 40.3.3 della Costituzione irlandese - noto come l'ottavo emendamento - lo stato "riconosce il diritto alla vita del non-nato e, con la dovuta attenzione al diritto alla vita della madre, garantisce nelle proprie leggi il rispetto e, per quanto possibile, la difesa e la rivendicazione di quel diritto."

Questo nella pratica dà a un embrione, dal momento del concepimento, gli stessi diritti della donna che lo porta in grembo. Secondo coloro che vogliono cambiare la legge ciò "determina un sistema sanitario discriminatorio in cui una donna incinta ha solo un diritto condizionato alle cure mediche."

Il risultato è che migliaia di donne irlandesi ogni anno devono recarsi al di fuori del proprio paese per poter abortire. L'unico caso in cui un aborto è ritenuto legale in Irlanda è quando c'è un rischio immediato per la vita della madre.

Sebbene le donne abbiano manifestato per abrogare l'ottavo emendamento dal giorno in cui il paese ne votò la legge nel 1983, il loro movimento ha ricevuto un'accelerazione decisiva negli ultimi due anni. A innescare il dibattito è stata la tragica morte, avvenuta nel 2012, di Savita Halappanavar, una donna indiana a cui erano state negate le cure mediche in un ospedale irlandese mentre stava subendo un aborto spontaneo. Savita alla fine è morta di shock settico.

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L'incidente ha ridato vigore alla campagna per l'abrogazione, e oggi sempre più donne che sono state costrette ad uscire dal paese per abortire stanno raccontando la propria storia. Tra di loro c'è Vanessa O'Sullivan che, un mese prima della Marcia per la Scelta del 2012, è stata stuprata.

"Sono dovuta partire da sola per l'Inghilterra per poter abortire. Per me è qualcosa di molto personale," ha raccontato O'Sullivan a VICE News. "E' qualcosa che sono costretta a portarmi dietro e a rivivere, e non credo che la mia storia clinica o le mie scelte mediche dovrebbero essere politicizzate — ma lo sono, ed è tutta colpa dell'ottavo emendamento."

C'è comunque un altro aspetto della vicenda. Nel 2013 una donna che era andata a Londra per abortire alla clinica Marie Stopes è morta in taxi soltanto poche ore dopo essere stata operata. "È solo uno di tanti esempi," ha commentato Sherlock. "Le persone hanno il diritto di vedere entrambe le facce della medaglia, e purtroppo questo non sta accadendo."

Sherlock sostiene che i media irlandesi siano schierati con la campagna pro-choice, anche se le marce pro-life tenutesi in Irlanda negli ultimi anni hanno attratto fino a 50mila persone. Tuttavia, "l'attenzione dei media era insignificante rispetto a quella riservata agli eventi organizzati dai sostenitori dell'aborto, che hanno radunato un numero di partecipanti molto inferiore."

È vero che i media irlandesi sembrano aver dato maggior risalto alla campagna per l'abrogazione negli ultimi anni, ma è anche probabile che ciò sia il risultato di uno spostamento dell'opinione pubblica a favore del referendum.

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A Portland, in Oregon (USA), Fiona Gwozdz ha organizzato un picnic per portare l'attenzione sull'argomento. Gwozdz, che è nata a Dublino e ci ha vissuto per sette anni quando era una ventenne, ha lavorato con l'amica Karen Twomey a Vancouver per organizzare un evento per parlare di questo senso di frustrazione e rabbia.

"Ci sentivamo escluse dal dibattito nel paese. Sentivamo che il tema non stava ottenendo l'attenzione che merita," ha raccontato Gwozdz a VICE News.

Gwozdz ha ammesso che sia lei che Twomey si sentivano in imbarazzo per la situazione irlandese, ma l'hanno usata a proprio vantaggio e "incanalato quel sentimento per stimolare il cambiamento."

L'imbarazzo ha assunto termini ancora più reali quando, a giugno, un report del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha evidenziato che una donna, costretta a scegliere tra l'intraprendere un viaggio all'estero per abortire o tenere il bambino fino alla fine della gravidanza nonostante la presenza di una grave anomalia, è in genere sottoposta a "discriminazione e trattamento crudele, disumano o degradante."

Sebbene un gran numero di politici irlandesi oggi sia a favore di un referendum sull'abrogazione dell'ottavo emendamento, le ultime elezioni politiche hanno suggerito che non si tratta di un argomento al centro del dibattito pubblico. "Dalle elezione di quest'anno si evince che lo smantellamento dell'ottavo Emendamento non è affatto un tema di grande interesse tra gli elettori," ha dichiarato Sherlock. "Non a caso, i parlamentari più radicali a favore dell''Abrogazione dell'ottavo', hanno perso la loro poltrona."

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Sherlock ha nuovamente indicato un pregiudizio dei media nel raccontare questo aspetto della campagna. Lo scorso giugno il giornale online irlandese The Journal aveva chiesto a ciascun parlamentare irlandese in carica di esprimere se fosse o meno a favore dell'abrogazione dell'ottavo emendamento.

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Soltanto il 30 per cento dei 158 politici eletti si è dichiarato apertamente a favore, mentre solo il 14 per cento ha dato una risposta negativa. Più della metà dei politici non ha risposto al sondaggio, suggerendo così che in molti sono consapevoli che prendere una posizione o l'altra potrebbe alienarli da una fetta di potenziali elettori. E con un'altra elezione possibile entro i prossimi 12 mesi, è evidente che mentre l'Irlanda sta certamente cambiando la propria visione sull'aborto, un cambiamento del genere non avverrà sicuramente nell'immediato.

Abrogare l'ottavo emendamento costituirebbe un primo passo in un lungo processo per cambiare il modo in cui l'Irlanda pensa all'aborto, e in definitiva il modo in cui l'orientamento delle sue leggi lo rendono possibile. Gli ultimi sondaggi sembrano mostrare che il referendum potrebbe passare, ma prima di vedere una depenalizzazione dell'aborto potrebbero volerci ancora molti anni.

L'annullamento dell'ottavo emendamento non garantirebbe comunque alle donne l'accesso all'aborto senza restrizioni. Questo perché il Protection of Life During Pregnancy Act, introdotto nel 2013 all'indomani della morte di Savita Halappanavar, rende l'aborto ancora illegale con pene fino a 14 anni di carcere.

Per la campagna pro-choice, si tratta soprattutto di creare consapevolezza e aprire gli occhi della gente sulla realtà della situazione in Irlanda nel 2016.

"Non possiamo nemmeno discutere delle nostre inclinazioni, della possibilità di cambiare la legge entrata in vigore e ancora attuale nel 2013 [Protection of Life during Pregnancy Act], non possiamo fare alcun dibattito finché l'ottavo emendamento non verrà abrogato," ha concluso O'Sullivan.


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