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Cosa pensano gli italiani a Barcellona della situazione in Catalogna

"All'inizio l'indipendentismo m'incuriosiva, eppure più andavo a fondo sulla questione più cambiavo opinione. Adesso non sono per niente indipendentista."
Tutte le foto per gentile concessione degli intervistati, tranne ove diversamente indicato.

Per molti italiani vivere a Barcellona è il modo migliore per andarsene fuori di casa senza allontanarsi troppo: usi e costumi simili, un clima più che accettabile e una lingua che si può imparare decentemente in meno di un anno, o in qualche mese se ti fidanzi con qualcuno del posto. A dimostrarlo ci pensa l'IDESCAT, l'Istituto di Statistica di Barcellona, secondo cui siamo la seconda comunità più numerosa dopo quella marocchina nell'area di Barcellona, e la prima comunità straniera nei quartieri più ricchi della città.

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In questi ultimi giorni, insieme a tutti gli altri stranieri residenti in città, ci siamo ritrovati spettatori di uno scenario che non ci riguarda personalmente, ma che si potrebbe dire riguardi il mondo intero. Dopo il referendum del 1 ottobre, dichiarato illegale dal governo centrale, martedì si è tenuta una partecipatissima manifestazione contro le violenze della Guardia Civil e contro il presidente spagnolo Mariano Rajoy.

Per farmi un'idea di come la comunità italiana di Barcellona stia vivendo la situazione ho parlato con alcuni italiani che conosco, e altri che mi sono stati suggeriti per la loro opinione politica. Alcuni fremevano all'idea di potermi dire la loro su questa fase storica, per altri è stato una sofferenza, e altri ancora non ci vedevano niente di buono.

Foto via.

STEVEN, 35 ANNI, DOCENTE DI STORIA CONTEMPORANEA (UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA)

Più che di "referendum" io parlerei di "protesta," di "mobilitazione popolare"—quanto alle violenze, sono state senza dubbio esagerate, vergognose e inaccettabili in un paese europeo del ventunesimo secolo. Manca il dialogo da parte di entrambi i governi: uno (quello catalano) va verso la via unilaterale; l'altro si difende con la costituzione e non si apre al dialogo.

L'indipendenza della Catalogna è stata ciò che chiamerei un'utopia disponibile che ha riempito un vuoto in un momento di crisi economica, sociale, istituzionale: la crisi post 2010 del sistema politico spagnolo che ha fatto andare in cortocircuito il modello nato durante la transizione dalla dittatura franchista alla democrazia degli anni Settanta.

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Personalmente mi ritengo contrario al creare nuovi stati; per me la vera lotta è il "sociale," non il "nazionale". Sinceramente mi preoccupano i giovani che si politicizzano oggi, nelle strade di Barcellona, e che non lo fanno nelle piazze del 15-M, degli indignados, evitando uno sfratto, ma con una estelada [la bandiera indipendentista catalana] sulle spalle, cantando l'inno catalano e cercando l'indipendenza; è significativo vedere come si evolveranno. Anche il discorso del Re di pochi giorni fa mi è sembrato preoccupante, perché non parla di dialogo, ma della necessità di restaurare l'ordine costituzionale dando mano libera al governo di Rajoy.

MATTEO, 30 ANNI, ODONTOIATRA

All'inizio della mia esperienza lavorativa a Barcellona (dove vivo da sette anni) l'indipendentismo m'incuriosiva, e mi sembrava affascinante, eppure più andavo a fondo sulla questione più cambiavo opinione. Adesso direi che non sono per niente indipendentista; nell'Europa del ventunesimo secolo mi sembra ridicolo chiedere l'indipendenza, ma magari direi di sì a un federalismo moderno, raggiunto chiaramente attraverso strumenti democratici.

In questi giorni ho visto e sentito fischiare e insultare la Spagna, sputare e bruciare bandiere spagnole, e questo mi ha intristito molto. Fino a qualche anno fa tutta questa storia non era così presente, mentre adesso non si parla d'altro e stanca. Il referendum è stata una buffonata, soprattutto perché ottenuto con una maggioranza troppo risicata del parlamento catalano. Insomma, sono convinto non rappresenti per niente la totalità dei catalani, perché sicuramente molti di loro avevano in mente altre soluzioni al "problema" catalano.

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Le violenze (totalmente immotivate) hanno ottenuto l'effetto contrario; so di gente che non aveva intenzione di votare ma che è andata dopo aver visto cosa stava succedendo in televisione. È come se Puigdemont [il presidente della Catalogna] avesse ottenuto quello che voleva.

È necessario un dialogo, ma lo vedo difficile—in politica non è di moda dimettersi dopo aver fatto un errore, anche se enorme. Mi farebbe piacere che l'Europa, come una paladina della giustizia, scendesse in campo a prendere posizione.

ROSSELLA, 39 ANNI, RICERCATRICE

Personalmente sono a favore dell'indipendenza della Catalogna, e penso che uno stato catalano sarebbe economicamente sostenibile; del resto la Catalogna apporta il 20 percento del PIL alla Spagna, tanto quanto il PIL del Portogallo.

A chi parla di referendum anti-democratico, dico che anti-democratico è stato il trattamento che ha fornito la classe politica spagnola alla vicenda catalana—da destra a sinistra, Podemos incluso. La maggioranza del governo Rajoy è labile, non dimentichiamo che ci sono voluti dieci mesi per formare l'esecutivo dopo le elezioni.

In più nessuno ha avuto né tempo né volontà di affrontare il tema referendum, almeno fino a quando poi non è stato troppo tardi. Il referendum è stato un meraviglioso atto di disobbedienza civile, che ha lasciato scoperte le pezze e l'incapacità politica di questo governo. Chi vuole l'indipendenza sta provando a costruire qualcosa di diverso, combattendo mano nella mano con nonni e genitori. Provo sinceramente invidia e sono profondamente grata per quello che mi stanno insegnando. Una cosa su tutte: se il popolo non esegue gli ordini, le strutture dello stato sono automaticamente private del loro potere.

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Come italiana che ha vissuto in Francia e vive qui da nove anni, mi piaceva l'idea di sentirmi anzitutto europea, cioè integrata in un sistema di valori sociali e tutela dei diritti umani che al di fuori di questi confini è molto diverso. Gli episodi di questi giorni mi hanno definitivamente fatto capire che questa Europa esiste solo nella mia testa.

MARCO, 29 ANNI, INGEGNERE INFORMATICO

Giusto oggi, a pranzo con i colleghi, quasi arrivavamo alle mani parlando di indipendentismo. Mette tutti in disaccordo, è impressionante… Sinceramente credo un po' utopisticamente che non esistano razze né paesi; nel mio caso, grazie all'Unione Europea sette anni fa sono potuto venire a lavorare a Barcellona e conoscere la mia ragazza, anch'essa di un paese membro dell'UE. Qui nessuno si è mai interessato realmente a noi "stranieri" e al nostro parere, anche se siamo una fetta importante della popolazione di questa città, e nonostante siamo quelli che in fin dei conti le danno "vita."

C'è una grande disinformazione sulla questione dell'indipendentismo, e sembra che si punti molto sull'impulso patriottico e sull'emotività, come se non ci fosse una reale strategia. Credo che nessuno sappia realmente che cosa succederà, anche se ora in tanti sostengono l'indipendenza e molti di quelli che dicevano avrebbero votato no sono passati al sì dopo quelle violenze totalmente gratuite. Davvero sapete cosa vuol dire? Davvero sapete quali saranno le ripercussioni tra 20 anni? Non credo.

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Ora dovrebbe cadere qualche testa ai vertici affinché si possa dialogare. I due interlocutori si sono spinti troppo oltre il limite, per non parlare della stampa: ci sono casi clamorosi di distorsione e manipolazione delle notizie da entrambi le parti, ed è vergognoso.

SIMONE, 35 ANNI, GIORNALISTA

La situazione è molto tesa, e molti di noi pensano che sia troppo tardi per tornare indietro. Si parla molto della situazione economica, ma sinceramente credo non sia tanto questo: in questi anni si è creata una frattura profondissima che sarà complicato risanare—una frattura trasversale rispetto alle stesse famiglie, con la parte più "vicina" alla Spagna che si sente tagliata fuori dalla corrente attuale.

Sono anni che in Catalogna tutto il discorso pubblico e politico è monopolizzato dal pensiero nazionalista. I temi sociali, politici e culturali sono stati messi da parte in favore di questo pensiero unico, e questo si vede in particolare nelle nuove generazioni, che sono state educate in nome di una nazione che parte come un paese già indipendente, e non messo in un contesto più grande come quello spagnolo, o come quello dell'Unione Europea.

A proposito dell'Unione Europea, non penso interverrà a meno che non ci siano violazioni dei diritti umani. Così, se si accetta il precedente che uno stato possa rompersi in maniera unilaterale (dato che il referendum del 1-O non dava nessun tipo di garanzia, non solo quelle previste dalla costituzione spagnola ma anche della Generalitat de Cataluña), ovvero con qualcosa che potrebbe chiamarsi a tutti gli effetti un colpo di stato, si rischia che si apra un vaso di Pandora, e che tutta Europa inizi a sgretolarsi.

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