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L'alluvione di Genova raccontata da chi ha spalato fango

Nella notte di giovedì 9 ottobre il torrente Bisagno è esondato di nuovo e ora bisogna rimettere tutto a posto. Sì, di nuovo, perché ormai qui a Genova l’alluvione sta rischiando di diventare un’abitudine.

In corso Torino, una delle vie più colpite nel maltempo che ha travolto Genova nell'ultima settimana, il titolare cinese mette a disposizione la sua manichetta per lavare pale, scope, guanti e stivali. È domenica mattina e la sua copisteria è già ripulita dalla melma. A ogni grazie accenna un sì con la testa. Poco distante un negozio ha allestito un banchetto di occasioni con scarpe e vestiti a 5 euro—non che prima costassero molto di più, ma hanno già una fila di possibili clienti intenti a curiosare. Tutto intorno il delirio.

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Nella notte di giovedì 9 ottobre il torrente Bisagno è esondato di nuovo e ora bisogna rimettere tutto a posto. Sì, di nuovo, perché ormai qui a Genova l’alluvione sta rischiando di diventare un’abitudine. L’ultima è stata tre anni fa. E giovedì, quando dopo le 23.30 leggo “Bisagno esondato” penso a quanti morti potrebbero esserci: nel 2011 furono sei in via Fereggiano, chiamata così perché costruita sopra il rio che porta quel nome, un affluente del Bisagno. Penso a quanti negozi e scantinati saranno stati nuovamente distrutti. Le associazioni di categoria dei commercianti parlano di 10 mila posti di lavoro persi.

Per chi non fosse capitato qui negli ultimi anni, bisogna sapere che il cambiamento climatico sta rendendo Genova un’area particolarmente sfigata nel periodo autunnale. L’umidità portata dallo scirocco cozza con la tramontana fresca e chi sta sotto a questo scontro deve solo sperare che la battaglia finisca presto. Purtroppo, da qualche tempo a questa parte, i meteorologi ci spiegano che questi fenomeni, invece di spostarsi, restano sullo stesso punto e si accaniscono in modo esagerato.

In un’ora, e in uno stesso punto, giovedì sono stati scaricati più di 140 millimetri di pioggia. Questo hanno registrato i macchinari dell’Arpal, l’Agenzia che si occupa delle previsioni del tempo per la Regione Liguria, e che supera il record precedente, sempre genovese, dell’alluvione del 4 novembre 2011. Sono problemi ormai talmente frequenti da farci diventare molto attenti al sistema di allerta meteo: l’allerta 1 non è quella più grave e indica la possibilità di piena dei corsi d'acqua; l’allerta 2, invece, significa “attenzione, possibili esondazioni.”

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Il problema numero uno di giovedì scorso è che nonostante l’Arpal avesse emesso un bollettino meteo con temporali diffusi e persistenti, la Protezione Civile regionale non ha ritenuto necessario diramare l’allerta. L'ultima previsione delle 18 è toppata in pieno: per l’Arpal arriveranno schiarite e il numero verde della Protezione Civile viene disattivato alle 19. Neanche i grandi siti meteo nazionali riescono ad anticipare il disastro; qualcuno vergognosamente cambia a posteriori le carte, sconfessato da uno screenshot fatto proprio da Arpal il giorno prima.

“Bastava aprire la finestra per capire che sarebbe venuto il diluvio, già dal mattino eravamo sott'acqua.” Nei bar di Genova non si sente dire altro. Il Paese di commissari tecnici si trasforma in quello dei meteorologi, alternati a esperti di nozioni di idraulica. Il bersaglio numero uno è il sindaco Marco Doria, che durante il diluvio era alla prima dell'Elisir d'Amore, inaugurazione di stagione del teatro dell'opera che l'amministrazione sta cercando di salvare dalla bancarotta. Tutti scandalizzati. D'ora in poi “Sei andato a teatro!” sarà equiparato al peggiore degli insulti. Da parte sua, il sindaco ha semplicemente ribattuto che, non essendoci l'allerta, il Comune ha agito secondo le regole.

Agli altri—quelli che ripetono che "Il Bisagno era una foresta! Il Comune non si occupa della manutenzione, è ovvio che esondi!”—non serve diffondere le nozioni di chi la dinamica fluviale l'ha studiata davvero, che svelano quanto invece siano utili quegli arbusti nel greto del torrente. Ma queste convinzioni non sono niente di fronte a quelle dei “giganti” della pagina Facebook Via, Verità e Vita: secondo loro la colpa dell'alluvione è di Genova in quanto città di don Gallo e di nozze omosessuali. I complottisti delle scie chimiche hanno persino mostrato un video in cui si imputa il fenomeno alle taurus molecolar cloud installate su imbarcazioni. Il sito meteoweb.eu dava la notizia di una frana in autostrada, mostrando una collina collassata su entrambi i sensi di marcia di una A7 in cui in una giornata devono aver aggiunto una corsia, a giudicare dall'immagine allegata.

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Anche io ho preso in mano una pala, conservata gelosamente dall’alluvione di Sestri Ponente del 2010, quella snobbata da tutti (anche dal sindaco di allora, Marta Vincenzi) perché capitata in concomitanza con il Salone Nautico: guai a spaventare i facoltosi in arrivo per comprare le barche, anche se Sestri dista 16 km dal centro cittadino che era rimasto totalmente indenne dagli allagamenti.

La mia prima tappa è a Borgo Incrociati, casette antiche e tante attività commerciali sotto il livello della strada, che sorgono accanto all’ultimo tratto visibile del Bisagno prima della foce. Durante il fascismo infatti il torrente è stato coperto per creare una strada con tanto di aiuole che tutta Italia avrebbe dovuto invidiarci. All’epoca l’effetto Nimby non esisteva ancora, ma probabilmente neanche il problema delle esondazioni, visto che il ponte di fronte a Borgo Incrociati, che oggi ha solo sei arcate, una volta ne aveva 28. In pratica il torrente aveva tutto lo spazio necessario per sfogarsi e intorno l’acqua degli affluenti era assorbita dalle colline ancora libere dalla cementificazione. Quello spazio è stato rubato da strade e palazzi costruiti sempre nella prima metà del Novecento. E qui arriviamo al problema numero 2, quello più importante e strutturale: un torrente di 30 km, costretto in poco spazio per gran parte del suo corso e con il tratto finale diventato come un imbuto.

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Ora Borgo Incrociati è un enorme formicaio. “Avete bisogno?”. “No grazie, qui siamo a posto.” A rispondere è il titolare di una trattoria, mentre qualcuno sta spostando una friggitrice appena ripulita dalla melma. Trovare la propria collocazione in questo puzzle tutto da rifare non è facile. La quantità di volontari è impressionante, l’età media è molto bassa. Non mi sembra neanche di stare nella città più vecchia d’Italia. Semmai a mancare sono i miei coetanei tra i 30 e i 40. I più giovani sono armati soprattutto di scope, tanti non hanno neppure gli stivali di gomma, anche i guanti sono un optional. Nessuno coordina, si chiede semplicemente a quelli che sembrano i proprietari dei negozi se hanno bisogno di aiuto. Ogni tanto passano i vigili del fuoco a controllare che non ci siano fughe di gas.

È proprio a Borgo Incrociati che è morto Antonio Campanella. Era in un bar e ha detto “vado a vedere com’è il Bisagno,” ma non è più tornato. Un pizzaiolo si è salvato arrampicandosi sul forno a legna, altri hanno scalato le impalcature di un palazzo. Chi era in auto ha dovuto mantenere la calma mentre la corrente lo stava trascinando via. I binari della stazione Brignole, sopraelevati rispetto alla strada, sono diventati l’isola sicura per chi era a piedi.

I social network servono a fare il passaparola tra chi vuole coordinarsi per spalare, ma nei giorni successivi al disastro sono anche il concime per i soliti post razzisti rilanciati da partiti come Forza Nuova: "Perché a Genova non si vedono immigrati spalare? Non è la loro terra, perché dovrebbero?" è il testo che accompagna l'immagine di un africano che guarda un volontario spalare. Per tutta risposta viene diffusa una serie di foto che ritraggono senegalesi ed ecuadoriani con secchi e scope in mezzo alla melma. Quelli dell’Est, presenti anche loro, non se li caga nessuno. Qualcuno cerca anche di cavalcare politicamente la cosa: il Movimento sociale Fiamma tricolore ha sfruttato l’hashtag #orabasta creato spontaneamente da alcuni genovesi per organizzare una manifestazione di protesta.

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Dopo aver dato il mio contributo, torno nella piazza della stazione e costeggio i negozi sotto le arcate della ferrovia. Il muro del retro è sfondato e dal buco si vede il torrente. Rimango a bocca aperta. La foto è già su Facebook e scatena un’ondata di indignazione. Ora come ora, il pensiero è che nessuno progetterebbe un locale simile nel letto di un corso d’acqua. Eppure 60 anni fa qualcuno lo ha fatto. E più recentemente (anni Ottanta) qualcun altro ha avuto la brillante idea di aggiungere un grattacielo (Corte Lambruschini) con tanto di parcheggio sotterraneo. L’alluvione dell’ottobre 1970 (44 morti) aveva già dimostrato che quella zona era adatta più ai sottomarini che alle auto.

In questi anni comunque le istituzioni non sono state del tutto a girarsi i pollici: quando il 23 settembre 1993 il Ponente genovese, soprattutto Voltri e Pegli, è stato colpito da una devastante alluvione in cui persero la vita 7 persone, la Regione Liguria approvò una legge che affidò alle Province il compito di redigere il primo piano di bacino per il territorio.

Oggi si sa quali sono le aree inondabili non solo di Genova, ma di tutta la Liguria: il 46 percento degli abitanti sta in una zona a rischio inondazione. Motivo in più per elaborare un piano di emergenza che funzioni alla perfezione, soprattutto nel capoluogo. Invece l’unica novità arrivata dopo l’alluvione del 2010 è stata l’installazione di cartelli di pericolo con scritto “area allagabile” e di pannelli lampeggianti all’imbocco dei sottopassi, che quando sono accesi ti dicono che forse è meglio non transitare perché c’è dell’acqua, come se un rapido sguardo non bastasse per capirlo. Il protocollo di emergenza scritto dopo il 2011, lo ha fatto notare Il Secolo XIX, è stato dichiarato insufficiente sia dalla Procura della Repubblica sia dal Comune stesso (!) attraverso una commissione creata ad hoc tre anni fa.

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Per non farci mancare nulla, siamo anche un territorio particolarmente soggetto a frane. Nella sola provincia di Genova ce ne sono oltre 200 di categoria R4, quella più rischiosa. Al conteggio va aggiunta l’ultima, quella caduta sui binari della linea ferroviaria Genova-Milano proprio a causa della pioggia del 9 ottobre. Stavolta però la causa non è solo naturale: lì sopra è in piena attività il cantiere del Terzo Valico per l’alta velocità, duramente contestato dai cittadini costretti a cedere case e terreni “per la causa” e da chi pensa che in un territorio così fragile sia un azzardo imperdonabile aggiungere altre infrastrutture così impattanti.

A opera finita i due capoluoghi saranno raggiungibili col treno in 50 minuti anziché l’ora e mezza di oggi, su 53 chilometri, 37 dei quali in galleria. Visti i tempi di apertura dei cantieri (2013) rispetto alla costituzione della società affidataria dei lavori (1991), non stupisce che la Regione Liguria abbia deciso che nell’attribuzione delle responsabilità di quest’ultima alluvione, il cerino rimanesse in mano al fantomatico “sistema burocratico”.

Il presidente Claudio Burlando in conferenza stampa ha distribuito un foglio con tutti gli interventi per ampliare la portata della copertura del Bisagno. I soldi ci sono già, ma i lavori sono bloccati da 30 mesi per i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato da parte di chi non ha vinto la gara d’appalto. In sostanza il Bisagno esonda così spesso perché la soletta che copre l’ultimo tratto non è neanche in grado di assorbire una portata d’acqua di piena con periodo di ritorno ventennale. Ma Genova è diventata lo zimbello del mondo quando, per la prima volta, una talpa per creare una galleria è stata fatta tornare indietro dall’entrata. È accaduto durante i lavori per lo scolmatore del Fereggiano, il rio tombinato che, quando il Bisagno è già in piena, va in merda anche lui ed esonda a monte, con l’aggravante che è tutto in discesa. Il canale che avrebbe deviato parte dell’acqua, evitando probabilmente i danni e i morti del 2011 e di oggi, era stato finanziato durante le ultime fasi della Prima Repubblica. L’ondata giustizialista aveva contagiato tutti e anche quell’opera “doveva” per forza essere legata a Tangentopoli.

Arrivo alla foce: piazzale Kennedy è lo spazio in cui sono state ammassate le auto distrutte dalla piena. La settimana scorsa era pieno di gente in visita al Salone Nautico. In quei giorni Renzo Piano ha presentato il progetto per il nuovo waterfront genovese dal costo previsto di 140 milioni. Intanto il candidato presidente della Regione Raffaella Paita, oggi assessore alle Infrastrutture, spinge sulla costruzione della gronda di Ponente per alleggerire il traffico autostradale, altra grande opera dall’impatto ambientale devastante. E chissà se qualcuno, dopo quello che è successo in questi giorni, avrà il coraggio di dire che la vera priorità è un'altra.

Segui Emanuela su Twitter: @EmanuelaMortari. Foto di Giangiacomo Pepe.